Blog / Renato Pierri | 20 Gennaio 2019

Le Lettere di Renato Pierri – “Per amare ci vuole la vita”, la vita insieme al prossimo

“Io penso che la preghiera non è solo stare rinchiuse tra quattro mura, è preghiera assistere ammalati, fare i missionari, anche fare le piccole cose quotidiane con amore è preghiera, preghiera è l’abbraccio di amore che si dà aiutando il prossimo… e questo mi basta a non concepire la clausura. “Per amare ci vuole la vita”, stare assieme agli altri, proprio come faceva Gesù”.

Sono parole di Onda, una frequentatrice del blog “Come Gesù”. “Per amare ci vuole la vita” è il verso di una poesia del titolare del blog, il prete e scrittore Mauro Leonardi. Però, a differenza dell’autore che allude alla vita tra due persone che si amano, la vita insieme, fare cose insieme, “cenare insieme”, “fare una passeggiata” insieme, Onda estende il concetto alla vita col prossimo: per amare bisogna vivere assieme al carcerato, assieme al malato nell’ospedale, assieme al mendicante per la strada. Per amare pienamente secondo il Vangelo, è necessario che la nostra vita si mischi alla vita degli altri, alla vita del carcerato, del malato, del diseredato. La monaca di clausura si preclude la possibilità di recarsi in un carcere, in un ospedale, nella strada dove vive il diseredato, si priva della libertà di fare queste cose.

Niente di male. Poche persone fanno tutte queste cose, poche persone vanno a trovare i malati negli ospedali, i detenuti nelle prigioni (“visitare i carcerati è l’azione di misericordia più disattesa”, scrive Enzo Bianchi), poche persone passano anche pochi minuti della propria vita con un accattone. La monaca di clausura, però, decide volontariamente di privarsi di questa libertà, di questa possibilità. Il motivo? Se lascia il monastero per recarsi in un ospedale, oppure in una prigione, oppure nel luogo dove vive un clochard, interrompe la sua relazione continua con Dio, la sua preghiera costante. Ma è un errore, giacché nell’ospedale c’è Cristo, nella prigione c’è Cristo, sotto il cavalcavia c’è Cristo. La monaca lascerebbe momentaneamente il monastero per stare ancora più vicino a Dio.

Ma poi, diciamo la verità, qualcuno pensa davvero che i pensieri delle suore nei monasteri siano costantemente rivolti a Dio? Non è possibile. Tutti sanno come lavora la fantasia, come volano i pensieri, persino quando siamo in chiesa.

L’errore delle monache di clausura, quindi, non è di separarsi dal mondo, ci mancherebbe altro, limitarsi a pregare per tutta la vita non risponde pienamente al Vangelo, ma non è cosa grave, l’errore è di dire: “Entro in questo monastero per uscirne solo da morta”. Lo stesso discorso che potrebbe fare un ergastolano, con la differenza che la monaca nella sua “prigione” ci entra di propria volontà, e che, ovviamente, la vita nel monastero niente ha da spartire con la vita nelle carceri.

Ed ora una domanda al lettore: come mai persone che avrebbero tutti gli strumenti per comprendere concetti così semplici, non li comprendono? Io ho la risposta.

Renato Pierri

Politicamentecorretto