Blog / Renato Pierri | 29 Dicembre 2018

Le Lettere di Renato Pierri – Dell’amata non si sente il padrone. Peccato sia solo una canzone

Lui partiva, e lei, in quel giorno di maggio, mentre stavano seduti sotto un ciliegio e le cadevano in grembo, “a schiocche a schiocche, li ccerase rosse”, aveva cantato: “Core, core! core mio, luntano vaje, tu mme lasse, io conto ll’ore… chisà quanno turnarraje!”. Conterò le ore… chissà quando tornerai. A tal punto lo amava. E lui aveva risposto: “Turnarraggio quanno tornano li rrose… si stu sciore torna a maggio, pure a maggio io stóngo ccá… “. Se questo fiore torna a maggio, anch’io a maggio starò qua. Torna maggio, tornano le rose, e torna l’innamorato, ma non sa se lei lo ama ancora. Le parla della sua ferita d’amore che non si sana, “ca sanata, si se fosse, gioja mia, ‘mmiez’a st’aria ‘mbarzamata, a guardarte io nun starría!”. Se si fosse sanata, infatti, la ferita d’amore, non starebbe certo lì a guardarla e a parlarle. Prima ancora che lei si pronunci, lui le dice: “Torna maggio e torna ‘ammore: fa’ de me chello che vuó’!”. Non le dice: “Se non torni con me ti picchio, ti tormento, non ti lascio in pace, ti uccido”, come accade troppe volte nel nostro paese. Rispetta la sua volontà: “Fa di me quello che vuoi”. Si mette nelle sue mani. Può renderlo felice, o infelice. Non si sente il padrone della persona che ama. Peccato sia solo una canzone. “Era de maggio”. Forse la più bella canzone napoletana.

Renato Pierri