Blog / Scritti segnalati dal blog | 13 Dicembre 2018

Avvenire – Nuova «sicurezza», i piccoli e gli innocenti. Storia di Victor, un chilo e 3 etti

In una piccola incubatrice in un ospedale di Roma c’è Victor nato a 30 settimane, d’urgenza: 1,3 kg di peso. I medici rimangono cauti ma ce la farà. A Victor al momento non mancano un posto caldo e le cure che merita. Una partenza in salita, la sua nel mondo. Mai i neonati sono un concentrato di energia, vita e possibilità. Lo sanno bene le ostetriche e le infermiere che curano lui e tanti altri piccoli come lui. Victor ha una mamma nigeriana, Hope, di 25 anni, in Italia con una protezione umanitaria. Ha un papà, Ali, gambiano di 23 anni, richiedente asilo, e una sorellina, Fatima, di 13 mesi, nata in Sicilia. Victor è nato d’urgenza. La mamma aveva la gestosi, lo hanno fatto nascere appena Hope è scesa dall’ambulanza.

Hanno rischiato seriamente di morire entrambi, ripetono i medici. Lei è stata dimessa da pochi giorni dall’ospedale. Deve fare una cura impegnativa per riprendersi e guarire ma anche Hope, come Victor, di forza ne ha da vendere. Due figli piccoli sono una motivazione altissima. Victor è nato a Roma, tutti gli altri sono arrivati da poco in città. Vivevano in provincia di Catanzaro in un Centro d’accoglienza straordinaria. Il Cas in Calabria ha chiuso e così si sono messi in viaggio per cercare un modo di stare insieme e per accogliere, al meglio delle loro possibilità, la nuova vita che si preparava a nascere.

Così sono arrivati a Roma. Hanno provato a chiedere un posto dove dormire ma nulla, soli non riuscivano. Tanti no, tanti uffici visitati, nessuna soluzione e sempre meno speranze. Qualcuno suggerisce loro di andare a via degli Astalli almeno per mangiare e lavarsi. Alla mensa arrivano Hope, Ali, Fatima e un pancione grande. Mangiano e poi chiedono di poter riposare un po’ al caldo, sono stremati. Gli operatori e i volontari trovano un angolo un po’ appartato dove farli sedere. Si addormentano all’istante, chi entra e se li trova davanti ripete: ‘Ecco la mangiatoia di via degli Astalli ora è al completo’. Sembrano, sono una sacra famiglia, con la piccola che dorme sul fratellino che arriverà e tra le braccia della mamma. Mentre loro dormono operatori e volontari si danno da fare per cercare una soluzione per la notte. Si chiamano i numeri di emergenza.

Una donna incinta a Roma è impensabile che dorma la notte all’aperto. E invece si susseguono no su no, uno dietro l’altro. Non c’è posto. Siamo pieni. Non abbiamo disponibilità. Alla fine si intravede una possibilità: ‘Un posto, ma solo per la mamma e il bimbo’, ‘Va bene ve li mandiamo’. Li vengono a prendere in auto. Dopo 20 minuti sono di nuovo a mensa. C’è stato un errore, il posto per loro non c’è. Spiacenti. Di nuovo a mensa, ancora stremati e impauriti. Rompiamo gli indugi, li accogliamo in uno dei nostri centri in emergenza. Da sempre il centro dispone di alcuni posti fuori convenzione Sprar, per le emergenze. E questa della famiglia lo è a tutti gli effetti. Anche se per la prima volta ci troviamo davanti persone i cui documenti darebbero diritto a un’accoglienza. Oggi facciamo per la prima volta i conti con il fatto che una protezione umanitaria in corso di validità e una richiesta di protezione internazionale rappresentano un’emergenza, in mancanza di risposte legali e accessibili a chi ne ha diritto. Entrano in accoglienza la sera, il giorno dopo Hope comincia a sentirsi male.

Si capisce immediatamente che la situazione è grave. Arriva l’ambulanza e poco dopo nasce Victor. Per loro ancora oggi non c’è posto. La mamma è stata dimessa ieri. Lui avrà una culla riscaldata ancora per un mese circa. Il nostro Paese, la nostra città che si accinge ad accogliere il mondo in visita per le feste, che mostra il suo lato più luminoso e accogliente, in realtà non ha posto per una coppia di giovani con una bimba e un neonato. Lui non ha diritto all’accoglienza e neanche lei grazie all’entrata in vigore del Decreto Sicurezza.

Al momento gli unici a preoccuparsi sono i volontari che si fanno in quattro per prendersi cura di loro e di tanti altri rifugiati, le famiglie accolte nel Centro tra cui è scattata una sorta di solidarietà e silenzioso aiuto; gli operatori che con competenza e professionalità continuano a cercare soluzioni progettuali, come sono abituati a fare. Anche la dottoressa dell’ambulanza che si è presa cura di Hope, mentre correvano in ospedale, e che non poteva credere a una pressione sanguigna così alta, aiuta. È tornata al centro per sapere come stanno.

Anche lei, mamma da poco, ha portato per Victor i vestitini e altre cose utili che erano di suo figlio poco più grande. In tanti si fanno carico delle spese e della vita di questa famiglia nuova, in una sorta di sussidiarietà chiaramente insostenibile a lungo termine. Per aiutare uomini e donne in difficoltà pare che nel nostro Paese siano rimasti solo quelli che una certa propaganda chiama ‘buonisti’. Ma in realtà a salvare il mondo da duemila anni a questa parte sono gli uomini e le donne di buona volontà.

Sacerdote, presidente Centro Astalli, servizio dei Gesuiti per i rifugiati in Italia

Tratto da Avvenire