Blog / Scritti segnalati dal blog | 30 Ottobre 2018

Corriere della Sera – L’età della sconnessione: l’off-screen diventa moda, va la «tecnoprudenza»

La dott.ssa Grimaldi segnala al blog questo articolo

Immaginate uno sceicco arabo che si raccomanda con l’autista dei figli di uscire tassativamente con l’auto elettrica («il petrolio inquina!»). Immaginate il capo di una compagnia aerea che si raccomanda con la famiglia di prendere il treno («gli aerei sono pericolosi!»). Ora immaginate i ricchi della Silicon Valley che pagano le proprie tate per non usare mai lo smartphone quando sono con i figli. O che mandano i figli in scuole private off limits per la tecnologia («fa male al cervello e distrae!»).

Le prime due scene non le vedremo mai, forse nemmeno al cinema. Ma alla terza stiamo già assistendo come ha riportato il New York Times in questi giorni: il fenomeno è chiamato off screen, vivere senza schermi. Ma che cosa significa se i turbo-digitali della Silicon Valley, con un evidente paradosso, iniziano ad esprimere tecno-prudenza? Che, perlomeno, vale la pena di rifletterci, tutti. La tecnologia di consumo dal punto di vista sociale potrebbe diventare come il fast food: più si appartiene a fasce agiate e meno si incede ad essa. A Manhattan gli hamburger ci sono, ma vengono ordinati nei ristoranti e costano 25 dollari. Così in sostanza se un bambino più agiato avrà magari anche i giocattoli svedesi in legno accanto al tablet chi ha di meno rinuncia a tutto il resto per uno smartphone.

Questo aspetto torna anche in Italia: il cellulare è socialmente ed economicamente trasversale. Cambia il modello e lo status symbol annesso ma non la sostanza. E d’altra parte è vero che questo strumento è ormai la porta di accesso a servizi e socialità: informazioni, auto e biciclette in condivisione, tasse, documenti e pubblica amministrazione. L’alternativa è l’esclusione ascetica dalla società moderna. Ma questa constatazione non vuole dire rinunciare allo spirito critico.

In questi giorni anche l’amministratore delegato della Apple, Tim Cook, ha elogiato la regolamentazione europea sul trattamento dei dati degli utenti. In parte è marketing: Apple ha fatto della difesa della privacy degli utenti il proprio punto di forza, fino ad arrivare all’eccesso di rifiutarsi di estrarre le informazioni nell’iPhone di un terrorista due anni fa. La sua posizione è in evidente contrapposizione con società come Google e Facebook i cui modelli di business si basano sul mantenimento del Far West dei dati. Ma in realtà anche la California è sinceramente preoccupata degli effetti totalizzanti dello screen del telefono, non solo su bambini e ragazzi in età scolastica.

Un’indagine su 2.612 studenti delle scuole superiori di Milano ha rilevato come siano in molti a guardare lo smartphone anche quando attraversano una strada (556) o guidano la bici (346). Si tratta di dipendenza patologica, lo sappiamo bene: un decimo degli intervistati ha confessato di controllare subito appena arriva una notifica, anche in fase di attraversamento della strada. È probabile che gli altri 9 decimi abbiano preferito non confessare. Noi lo faremmo? Il divario digitale potrebbe essere molto diverso da quello che ci aspettavamo: non una carenza di accesso alle piattaforme online ma, al contrario, un eccesso di permanenza sugli schermi.

Di fatto se la condizione sociale sarà una variabile rilevante nel creare una difesa dagli effetti negativi dell’on screen l’alfabetizzazione digitale di massa potrebbe accompagnarsi a un analfabetismo analogico diffuso. Mentre il privilegio di starsene in pace di fronte a un libro di carta, o a un giornale, diventerà roba per ricchi.

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