Blog / Valentina Grimaldi | 03 Agosto 2018

La Dott.ssa Grimaldi risponde – Quando il pregiudizio e l’arroganza indossano un camice

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Cara Valentina,
sono un’ostetrica alle soglie della pensione e lavoro in un consultorio vicino Belluno. Voglio raccontare questa storia perché deve farci riflettere su dove stiamo andando.
Poco tempo fa la mamma di una bambina di circa 6 mesi (che seguiamo presso il nostro consultorio), è venuta con la piccola per un controllo della crescita. Quando è entrata mi ha detto che era contenta di vedermi, mi aveva cercato alcuni giorni prima ma io non ero di turno, perciò si era rivolta ad una mia collega. Mentre parlava io avevo già iniziato la solita routine delle visite di controllo e la signora, che chiamerò Maria, ha cominciato a raccontarmi che era stata da una ginecologa (del servizio sanitario pubblico, ma non del nostro consultorio) che le aveva prescritto un farmaco sconsigliato in allattamento pertanto doveva smettere di allattare. Proprio per questo motivo mi aveva cercata. Consultata una mia collega, questa aveva sentito un pediatra di turno in ambulatorio che l’aveva rassicurata dicendole che poteva prendere altri farmaci equivalenti compatibili con l’allattamento. Maria comunque non aveva fatto nessuna terapia, tanto meno smesso di allattare e aveva deciso di sentire un altro specialista perché questa dottoressa (ginecologa) non le era piaciuta per niente. Preferiva consultarne un’altra ed aspettare tutto il tempo necessario per un altro appuntamento piuttosto che smettere di allattare.
Ho subito provato a convincerla che questa decisione non era una buona idea, se lei stava male doveva curarsi e le ho chiesto di farmi vedere la prescrizione. Dopo aver letto la prescrizione l’ho fatta vedere alla pediatra che stava per visitare la figlia di Maria e l’ho messa al corrente della situazione ed anche lei ha confermato che avrebbe potuto curarsi sostituendo il farmaco prescritto con un altro equivalente compatibile con l’allattamento.

Maria però ha storto la bocca e ha continuato a ripetere che di quella ginecologa non si fidava. Insieme alla dottoressa abbiamo provato ad insistere, ma Maria sogghignando ha detto che era veramente tanto tempo che aveva quel disturbo, sicuramente sarebbe sopravvissuta ancora in attesa di un altro appuntamento con un altro ginecologo. Io a quel punto mi ero rassegnata e stavo uscendo dalla stanza, ma la dottoressa ha continuato dicendole “si fidi di noi, possiamo usare un farmaco simile che le permetterà di allattare, ma anche di curarsi, è importante per lei risolvere questa situazione, che oltretutto è anche dolorosa, perché vuole soffrire inutilmente?”

A questo punto Maria, che è nigeriana, ma parla un ottimo italiano, con un sorriso nervoso le ha chiesto “lei si fiderebbe di una dottoressa che appena mi ha visto mi ha chiesto quanto aborti avevo avuto? E quando io le ho risposto nessuno lei mi ha detto che era una bugia perché le nigeriane fanno tanti aborti?”
Io e la dottoressa eravamo senza parole, ci siamo guardate esterrefatte, a quel punto la dottoressa si è avvicinata a Maria l’ha guardata negli occhi e le ha detto che si vergognava profondamente per questa persona e che poteva capire quanto si fosse sentita umiliata da una simile affermazione tanto diffamante e cattiva. Ma purtroppo il racconto non era ancora finito, questa ginecologa, che vorrei chiamare con tutt’altro nome, aveva continuato dicendo che l’allattamento al seno ormai per la bambina era inutile, le faceva sicuramente più male che bene. A quel punto la povera Maria con molta lucidità ci ha raccontato di aver iniziato a piangere in silenzio, mentre si rivestiva e cercava di andar via da quella situazione così umiliante, ma la “brava” dottoressa non ancora contenta e forte della sua sensibilità e competenza l’ha salutata dicendole “ma che pure voi africane avete la depressione post partum?”
Ho abbracciato Maria come si fa con una figlia, abbiamo commentato a lungo tutte insieme la cattiveria e l’ignoranza che aveva subito. La dottoressa ha trovato il modo di farle avere un appuntamento con una ginecologa del nostro consultorio, per curare il suo problema, ma chi guarirà la ferita infertale da questa ginecologa folle guidata dal pregiudizio e dalla sottocultura?
Abbiamo sentito anche la direzione sanitaria della nostra ASL per sapere se è possibile avviare un provvedimento disciplinare, ma chissà… tutta questa storia non ha altri testimoni che il dolore di Maria! (Elsa, da Belluno)

Cara Elsa,
la tua lettera mi ha fatto venire i brividi: ho sentito l’umiliazione cocente di Maria e l’accoglienza premurosa tua e della pediatra, ma anche la rabbia ed il disgusto per chi, come questa ginecologa, svilisce e disonora una professione come il medico che ha come primo scopo il prendersi cura della gente. Purtroppo non sono mai abbastanza rari i casi nei quali un camice, una divisa, una toga oppure una tonaca diventano uno strumento per legittimare l’arroganza ed il pregiudizio, se non addirittura la violenza, come succede in alcuni casi.
Credo che la cosa più importante da fare sia denunciare queste situazioni, così come hai fatto tu, farle conoscere, condannarle pubblicamente, evitando che la gente “si abitui” a certi comportamenti e li reputi “normali”. Tolleranza zero per chi infanga la propria professione con comportamenti razzisti, aggressivi o violenti.
Le parole pronunciate da questa ginecologa – che mi rifiuto di chiamare collega – sono vergognose ed il suo comportamento è indifendibile, spero riusciate ad avviare un provvedimento disciplinare, perché in questo momento, in cui arroganza e prepotenza sembrano modelli positivi a cui ispirarsi, è fondamentale che chi crede nel dialogo, nella democrazia, nel rispetto e nell’accoglienza dell’altro faccia conoscere il suo dissenso.

 

Valentina Grimaldi è nata nel 1964, laureata in medicina e chirurgia nel 1989 all’Università Cattolica del Sacro Cuore a Roma e specializzata nello stesso Ateneo in Pediatria nel 1993. Autrice di diverse pubblicazioni scientifiche e relatrice in convegni nazionali ed internazionali; ha conseguito un master di II livello in Allergologia pediatrica. Dopo l’esperienza ospedaliera e di ricerca presso il Policlinico Gemelli di Roma, esercita a Roma la professione di pediatra di famiglia dal 1996. Da sempre attenta alle problematiche psicoeducazionali e della genitorialità si è specializzata in Psicoterapia Infantile per meglio soddisfare i bisogni di salute dei bambini e delle loro famiglie. Questa rubrica non vuole sostituirsi al medico curante né alimentare il fai da te, al contrario vuole indurre il lettore a riflettere su alcune tematiche comuni ai bambini ed alle famiglie per poi affrontarle nelle giuste sedi con il pediatra di fiducia o lo psicoterapeuta