Blog / Terry | 16 Giugno 2018

Le Lettere di Terry – Libertà e paura: il prezzo da pagare

E’ un periodo difficile. In realtà non è mai molto semplice, ma quando non hai più lacrime per piangere e quando ti arrivano le brutte notizie e non fai una piega, perché non hai neanche più la forza di reagire, e vai avanti per inerzia, si capisce che il periodo è più difficile del solito.

I pensieri si azzuffano: passano da quelli bui e neri per i quali vorresti “spegnere il mondo”, perché non ce la fai più, roteando verso coloro che stanno “veramente” male perché segnati dalla malattia, dalla perdita di persone care, dalla “vera” povertà, e poi cerchi di virare verso riflessioni di speranza e di fede, verso tentativi di innalzarti facendo la conta delle cose positive che comunque ci sono e che non bisogna dare per scontato. E così si vive la giornata, tra una zuffa e l’altra, schivando i colpi, cercando di godere degli istanti belli, arrancando mentre si procede verso la sera, quando puoi finalmente riposare e addormentarti. Il tentativo è sempre quello di arrivarci potendosi guardare allo specchio con la coscienza serena di aver veramente fatto tutto il possibile per compiere bene il proprio dovere, e chiedendo scusa per alcune inevitabili debolezze. Un giorno in meno da vivere: vista la fatica, è una buona notizia! Non è un pensiero di luce? Pazienza: è ciò che provo tutte le sere! “Fiu! Un giorno in meno da vivere! Alè…avanti il prossimo!” E comunque ringrazi di avere una casa, un letto, la salute….

Non è facile.

Ieri all’ennesima bordata, crollo! Per circa 30min il cervello va in acqua. Non riesco più a lavorare. Poi, in qualche modo, grazie a qualche tassello nascosto della personalità che il buon Dio mi offerto in dotazione, grazie a quel qualcosa che scatta in automatico senza che sia io a schiacciare il bottone….poco dopo mi ritrovo al telefono a “sostenere” una persona che mi chiede aiuto (!!!). Non è la prima volta che mi capita e francamente ogni volta mi stupisco: sono a pezzi, ma qualcosa reagisce in me e mi fa porre verso gli altri “come se niente fosse”. Un giorno forse capirò… E allora pian piano mi ripiglio e il mio angelo custode fa gli straordinari ispirandomi pensieri che mi avvolgono come una coperta: non va meglio, non so come potrà andare meglio, ma in qualche modo “so” che andrà meglio. Che roba strana! Forse è l’esito della preghiera incessante: “Accresci la mia fede”.

Poche settimane fa leggevo: “L’umiltà s’impara: passando attraverso le umiliazioni” e questo concetto continua a battermi in testa come un picchio. E’ un principio tanto vero quanto elementare. E’ così per ogni cosa, e in particolare penso che la paura si supera attraversandola, passandoci in mezzo, facendoti prendere, stringere, avvolgere, soffocare….e mentre ci sei dentro, imparando a stare bene, nonostante tutto quello che ti può costare. E allora arriva l’altro tassello fondamentale della mia vita: la T-41!

La T-41 era una pista da sci nera che quando ero piccola mi terrorizzava: l’inizio era un muro, il più delle volte ghiacciato. La pendenza era tale che pur non soffrendo di vertigini, temevo di trovarmici sopra per il terrore di perdere il controllo degli sci e finire chissà dove e chissà come. Papà mi ci portava, fino a quando una mia ribellione più forte è stata tale da riuscire a farmi promettere che non ci saremmo più andati. E così fu, per un po’. Tempo dopo papà mi ci portò a tradimento, facendomi prendere il muro da un punto laterale, leggermente più sotto rispetto a quello che conoscevo. Certamente papà lo fece quando mi sentiva forse un po’ più stabile sugli sci, e certamente la pista nera m’impegnò parecchio, talmente tanto che poi, mentre mi trovavo con lui in seggiovia, ero fiera di me: ero entusiasta! Sapevo di aver fatto qualcosa di difficile ed ero contenta di come ci ero riuscita. Quando la seggiovia arrivò sopra il muro e riconobbi la T-41 mi arrabbiai tantissimo: durò poco perché papà rideva e mi fu quasi subito chiaro che mi aveva aiutata a superare un mio limite. Prima ero sempre tesa ad imporre la mia volontà per evitarla, poi divenni libera di andarci: avevo scoperto di poterla fare, di saperla fare, e per arrivarci ho dovuto attraversarla.

Ora sto attraversando l’ennesima T-41 e sono stanca, tanto stanca.

Ora però so che sto costruendo la mia libertà, e so che il Padre che mi porta è un Altro.

So esattamente cosa sta facendo. La botta di ieri in fondo potevo aspettarmela: nei colloqui di selezione che faccio mi sono capitate ultimamente 2-3 persone che nonostante la loro disoccupazione affermavano, senza che glielo chiedessi, che stavano bene e che non avevano paura di quella condizione, e non è perché fossero “mantenuti” da qualcuno, assolutamente no!….eppure erano molto sereni. Io non l’avevo chiesto, e loro me l’avevano detto: manco si fossero messi d’accordo di picchiare dove il dente doleva! Una coincidenza? Non si muove foglia che Dio non voglia, si dice! Mi hanno molto colpita e inconsapevolmente “provocata”! Una di loro stavo per assumerla: ero contenta di darle lavoro e non potei farlo perché lei, che stava cercando da tanto e che aveva trovato nella mia proposta “esattamente ciò che cercava”, ha avuto improvvise disgrazie famigliari, letteralmente una dopo l’altra, che le hanno impedito di assumersi l’impegno. E continuava a dirmi: “Va bene così: mi costa tantissimo rinunciare, ma non ho paura” e io….incredula! Incredula 2 volte! Sia per la sua serenità nonostante tutto, sia per la pace con cui affrontava quella circostanza: io al suo posto, nella disoccupazione, sarei stata malissimo e poi – all’occasione di lavoro mancata – sarei stata furente, ma davvero furente, contro il Padreterno! Tre volte nel giro di 3 mesi: tre volte che casco sulla casella della precarietà, altrui, ma comunque precarietà; e tre volte che vengo sbattuta davanti al mio limite, quel richiamo che  crea una nota distonica nella musica delle mie giornate. La botta di ieri ha portato me nella mia casella di precarietà, e son crollata. E che botta! Ma ci è voluto poco per capire che “dovevo” passarci!

Quelle 3 persone mi hanno involontariamente sbattuta davanti al mio limite, ma con loro mi son potuta permettere di guardarlo da lontano. Loro erano capaci di non aver paura della precarietà, e anche se – di mio – non sono per nulla una persona invidiosa, un pizzico di invidia in quei momenti l’ho provata: io che sono sempre stata brava, attenta e previdente nel fare la formichina e nel non farmi trovare mai impreparata davanti a tutte le spese che ho dovuto affrontare, ora sono sulla cima della mia T-41 e il vento mi spinge giù, e io ho paura e non sto bene.

Fiducia! Abbandono! Aiutati che il Ciel t’aiuta! E’ da un pezzo che ci lavoro. L’altro aneddoto che ricordo spesso è quello dell’eremita che, da solo – nel nulla, ad una persona che gli chiede se non si preoccupa a salire in alto sugli alberi, con il rischio di cadere, di non avere i soccorsi e di non poter avvisare nessuno, gli risponde con totale serenità che a lui ci pensa Dio, e che si affida a Lui. A me ste cose lasciano senza fiato! Esulano dal comune buon senso umano e proiettano in una dimensione che di terreno ha ben poco, ma che è reale! Pietro! Pietro….tu che hai tremato quando Gesù ti diceva di camminare sull’acqua, tu che togliendo lo sguardo da Lui hai iniziato ad affondare e tu che poi hai imparato ad abbandonarti totalmente e hai fatto cose grandi: Pietro, insegnamelo!

Ci siamo! Ci sono! Sono sulla mia T-41 e la devo attraversare: non ce n’è! Se voglio liberarmi anche da questa paura, se voglio essere libera dal terrore della precarietà materiale, ci devo passare, la devo attraversare. E’ così. Non posso sperare di superare virtualmente una paura, restando nel mondo delle idee, pensando di superarla, la devo superare concretamente. Devo accettare di stare male; devo accettare di passarci; devo accettare di starci dentro, il tempo che sarà necessario per imparare. Credo che se non imparo a fare a meno di questa sicurezza, se non imparo a “mollare la presa” e a lasciar fare, è probabile che avendola ne farei un cattivo uso. E so che ci starò fintanto che sarà necessario, fintanto che non avrò imparato. La differenza rispetto a quando ero piccola è che allora non ero consapevole della mia lotta interiore e non ero cosciente neanche del “dopo”. Ora posso scegliere di starci e so che in qualche modo ne verrò fuori, lo so perché la Provvidenza mi ha già dato prova di saper esattamente dove parare, e quando farlo. Io non lo so, ma Dio lo sa, molto, meglio e più di me. E come quando Gesù fa i miracoli, Lui “strafà”, mica si ferma al minimo sindacale!

Dio non ha i nostri limiti e se noi vogliamo somigliarGli o trascendere la nostra natura umana, per vivere in Lui, in casa Sua, con Lui, dobbiamo andare oltre e vestirci di Lui: altrimenti si resta in giardino….non male, ma rimane la voglia di entrare e far parte della cerchia “dei suoi”. Rimane la voglia….

Da soli non ce la possiamo fare: è roba Sua! Ma dobbiamo spianarGli la strada. Se restiamo tutti intenti a creare le condizioni per stare bene in noi, con le nostre cose, con le nostre certezze, con le nostre idee, ci affanniamo e non Gli lasciamo spazio, perché contiamo su di noi. Al contrario se accettiamo di  vivere a fondo la nostra umanità, di accogliere i nostri limiti, di soffrirceli, di farci riempire l’anima dell’amarezza che provocano, se accettiamo di vivere scomodi, se ci arrendiamo a noi stessi ….lasciamo spazio a Lui per prenderci in braccio e portarci in alto, vicino a Lui, per consentirGli di portarci oltre.

Che sia questo parte del senso di “portare la propria croce” e seguirlo?

Voglio essere libera? 
Devo pagare il prezzo!

Mi sono già liberata da altre paure, e devo dire che poi la vita diventa uno sballo! Non è che poi fila tutto liscio, ma è come aver imparato a fare le piste nere: non dico che ti ci diverti, ma a tratti può anche capitare. La T-41 ormai ce l’ho nel cuore e ora amo farla: è la “mia” pista! Quella preferita? Non direi, ma certamente una di quelle più dense di significato.

In questi momenti mi faccio aiutare molto dalla musica e una canzone di Renato Zero “Sorridere sempre” è entrata nella playlist di “preghiera” diventa la mia colonna sonora:

Sorridere sempre Coraggiosamente
Bisogna avere fede, pazienza ed ironia
Sia affannano gli uomini Si arrabbiano e disperano
Ma se la luce incontrano, Chi li ferma più

La vita è tanta e ti spaventa
Vita che ti conquista Se l’assaggi tu
Ti provoca ti accende, Ti sbatte quà e là
Inventala Difendila Lei ti ripagherà

….
Sali fin dove arrivi, che poi ti sostengo io
Sorridere per vincere, è qui il segreto mio

E noi possiamo sorridere! Possiamo sorridere perché noi siamo figli di Dio, e Dio è nostro padre: è lui che, tenendoci per mano, ci fa arrivare in fondo alla T-41. Aspetto il momento in cui, in seggiovia, potrò gioire con Lui di questo altro limite superato, e allora magari, potrò essere io lo strumento attraverso il quale Dio lo insegnerà a mio figlio. Affinché sia libero da se stesso e anche lui possa essere dei “Suoi”. E allora, forse vale proprio la pena di pagare il prezzo….


Radicata a Milano, ma cittadina del mondo. Prima di tutto sono mamma, purtroppo single da quasi subito. Contrariamente al mio sogno di essere moglie e madre di una famiglia numerosa, la vita mi ha costretta a diventare capo-famiglia single, una professionista e ora pure imprenditrice. Da sempre svolgo lavori di “servizio alla persona” e, al di là dei più diversi ambiti professionali così attraversati, il comun denominatore è che mi appassiono al cuore delle persone che incontro, alla loro storia e al loro vissuto. Per me la scrittura è introspezione e il confronto è crescita. Amo definirmi devota miscredente perché il mio cammino è strano: a gambero, a zig-zag, non scontato, non sempre ligio, in ricerca, nel quale però cerco sempre di avere onestà intellettuale.