Blog / Gavina Masala | 17 Maggio 2018

Le Lettere di Gavina Masala – Una scommessa pericolosa nelle terre di Gesù

Martedì 8 maggio Donald Trump ha formalizzato il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano, frutto del lavoro dell’amministrazione Obama. Il presidente ha parlato di Horrible one-sided deal that should have never, ever been made.”

L’accordo prevedeva una limitazione all’arricchimento dell’uranio e alla produzione di plutonio da parte iraniana per 10-15 anni. Trump – sostenuto da Israele ancora prima di essere eletto e dall’Arabia Saudita – ha affermato che l’accordo fosse una “bufala”. Non eviterebbe la proliferazione nucleare, che avrebbe un effetto “domino” sull’intero Medio Oriente. Avrebbe anche aumentato l’instabilità già compromessa dell’intera regione dalle iniziative iraniane in Iraq, Siria e Yemen, accresciute dal successo dell’Hezbollah libanese. Insomma, tutto da bocciare.

La decisione, come accennavo, non giunge inattesa: ancora prima di essere eletto il tycoon aveva annunciato che avrebbe proceduto in tal senso. Il presidente americano sta dunque semplicemente dando seguito alle promesse elettorali.

C’è da dire che quando Barack Obama ha intessuto l’accordo, a mio avviso e con Jeremi Shapiro, advisor del Dipartimento di Stato americano del precedente gabinetto, la questione sul tavolo era solo in parte quella del nucleare. Vi sono buone ragioni per ritenere che l’ex presidente vedesse l’Iran come l’alleato più naturale in Medio Oriente rispetto ai Paesi sunniti vicini, data anche una popolazione mediamente “western oriented”. Insomma, si pensava di potere lavorare con l’Iran alla distruzione dello Stato Islamico. Non è successo per tanti motivi, tra cui il fatto che quando è stato chiaro che Trump sarebbe stato eletto, il governo iraniano ha iniziato a supportare al-Assad in Siria, ha ripreso e esercitare una forte influenza in Iraq e ha ricominciato a supportare gruppi armati. Insomma sta prevalendo una radicalizzazione a Tehran, che si voleva evitare. Era chiaro da subito, dunque, che la precedente strategia obamiana avrebbe lasciato posto ad un asse USA-Israele-Arabia Saudita.

Così sta accadendo: di recente il principe saudita Mohammed bin-Salman ha affermato che Khamenei è una sorta di “nuovo Hitler”, e Adel al-Jubeir, Ministro degli Esteri saudita, ha affermato che l’Iran interferisce nei paesi vicini sostenendo gruppi di ribelli in Siria, Iraq, Libano e Yemen. Mentre Netanyahu, Primo Ministro di Israele, ha dimostrato ciò che i servizi segreti occidentali conoscevano da tempo, ovvero che un decennio fa gli iraniani stavano lavorando ad una testata nucleare. Da qui la decisione di recedere dall’Iran deal, ma senza un Piano B, come afferma Boris Johnson, Foreign Secretary britannico. Si tratta dunque di una realpolitik molto azzardata da parte dei tre paesi dell’asse USA-Arabia Saudita-Israele, che rischia di portare ad effetti impreventivabili per l’assetto geopolitico mondiale.

Dunque le ragioni della decisione risiedono in un obiettivo forse più sottile di quanto non si pensi: probabilmente si mira a “fare fuori” Tehran da un punto di vista politico – economico e poco importi del nucleare in sé. L’Iran infatti non userebbe mai un’arma atomica perchè verrebbe annientato all’istante. Non può essere questa la vera preoccupazione. Inoltre, Israele che ha caldeggiato il sabotaggio dell’accordo, sarebbe in realtà molto più sicuro se quest’ultimo rimanesse attivo. Così come i Sauditi traggono vantaggio da rinnovate buone relazioni con gli Stati Uniti a discapito di Tehran.

Trump, dal canto suo, vuole smantellare tutto quanto fatto dal predecessore, in questo caso ottiene anche di rinsaldare lo storico legame con Arabia Saudita ed Israele, affossando Khamenei. Ma a quale prezzo? Credo sia incalcolabile per l’assetto già precario della regione. La mossa porterà a difficoltà economiche enormi l’Iran: la sua popolazione da un lato e il suo governo dall’altro verranno messi in forte discussione. Da un punto di vista economico, infatti, il ripristino delle precedenti sanzioni impedirà all’Iran di aumentare la sua produzione di petrolio da 2,5 milioni di barili/giorno, ai 3,8 permessi dall’Opec e di valorizzare le sue risorse di gas, che sono le maggiori del mondo. Per la popolazione questo significherà miseria grave, ma – e qui uno dei punti focali- milioni di sunniti iraniani già messi ai margini dal regime degli Ayatollah, trovandosi ancora maggiormente vessati da un tracollo economico, sarebbero probabilmente propensi a una “primavera” persiana. Questa avrebbe un prezzo altissimo per i locali ma renderebbe l’asse USA-Arabia Saudita-Israele molto forte sia politicamente che economicamente.

La tela diplomatica è attualmente tesa: gli USA hanno perso in affidabilità e dimostrato di tenere l’Europa in bassissimo conto. Noi abbiamo bisogno di loro, loro meno di noi e i produttori americani di gas e di petrolio saranno ben felici di prezzi del gas che rimarranno alti, per la gioia di Russi e Americani, meno per i “poveri” consumatori europei.

Per l’Italia, in teoria, le conseguenze economiche erano già state calcolate nell’attuale legge di bilancio, che all’art. 32 prevede l’intervento di Invitalia per compensare il rischio politico degli investimenti in Iran. Questi ultimi riguardano soprattutto l’Eni e i 5 miliardi di euro di apertura di crediti a Teheran, miranti a ristabilire la presenza italiana in quel paese.

A corollario di questo intricato scenario di interessi e di mosse azzardate, la decisione di Trump di insediare la prima ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme, in un momento che meno propizio non si potrebbe (seppure la data di inaugurazione fosse stata decisa molto tempo addietro). Ciò verrà letto come una legittimazione delle rivendicazioni di Israele, che allo stato attuale sembra destinata a combattere una qualche forma di guerra con l’Iran. L’esercito israeliano stima che alle manifestazioni vicino al confine con la striscia di Gaza potrebbero partecipare centomila palestinesi.

Viene così da riflettere su quanto i luoghi della storia di Gesù, o ad essi limitrofi, siano diventati terreno di una realpolitik dagli esiti incerti e costosi per le popolazioni locali. Rimane il doveroso impegno di seguire eventi che, per quanto sembrino lontani e complessi, hanno un impatto costante e ponderoso sulle vite di tutti noi.

Giovane mamma e moglie, scrivo per capire. Ho una formazione internazionale, da settembre 2015 ho intrapreso un secondo corso di studi in filosofia, presso un ateneo pontificio. Parlo tre lingue, mi interesso soprattutto di relazioni internazionali e di religioni: cerco di vedere come la prospettiva cristiano – cattolica possa aiutare a convivere pacificamente. Ha un suo blog personale