Blog / Davide Vairani | 10 Maggio 2018

Le Lettere di Davide Vairani – Una bellezza sconvolgente e disarmante

Guardate attentamente il viso di questa donna: non è di una bellezza sconvolgente e disarmante? Lei si chiama Carmen D’Agostino, ha 27 anni, emozionatissima, e il 27 aprile scorso si è presentata all’altare della cattedrale di Barletta con l’abito bianco e il tulle in testa,  in mano il bouquet di fiori, accompagnata dal padre, attorniata tra i banchi da familiari, amici, fedeli accorsi per l’occasione e ha pronunciato il fatidico “Sì”. A celebrare il “matrimonio” niente meno che il vescovo della diocesi di Trani-Barletta-Bisceglie, Leonardo D’Ascenzo. Chi si sposa di importante? Carmen non è un vip, non ricopre incarichi prestigiosi curiali: è una ragazza normale, come tante altre. Davanti all’altare manca però una sedia, quella canonica dello sposo. Carmen si è unita in matrimonio con Gesù. Seguendo il rituale, Carmen si è tolta l’abito bianco da sposa, le vengono tagliati i capelli, per poi indossare l’abito scuro, la promessa solenne dei voti di povertà, obbedienza e castità: la vestizione scelta da Carmen – o meglio per Suor Maria Vittoria della Croce, il suo nome da religiosa – rappresenta il primo atto solenne del noviziato al termine del quale, dopo un lungo cammino di discernimento e preghiera, potrà emettere i primi voti, poi rinnovabili fino alla professione perpetua: Carmen è diventata monaca di clausura presso il monastero benedettino di San Ruggero, vicino a Barletta.

Non è di una bellezza sconvolgente e disarmante? Mi sono guardato e ri-guardato le immagini, sequenza per sequenza. Gongolando “carmen d’agostino, diventata suor maria vittoria”: 49.000 pagine (non tutte attinenti, ovviamente). Curioso come una pettegola ho cliccato qua e là in facebook: la notizia ha girato un sacco! “Nessuno poteva immaginare che quel rito potesse divenire fonte di emozione, di riflessione e di preghiera da divenire parlante e significativo sul piano del senso più profondo della vita. E ciò fin dall’ingresso di Carmen in chiesa, vestita da sposa, accompagnata dal padre, attorniata tra i banchi da familiari, amici, fedeli accorsi per l’occasione”, dice Riccardo Losappio, responsabile dell’Ufficio comunicazioni sociali della diocesi. E aggiunge: “Il post inserito nella pagina Facebook della diocesi, senza che lo si potesse prevedere, è diventato virale: la copertura delle persone ha raggiunto la quota di quasi due milioni, 3.522 reazioni e 10.923 condivisioni. Centinaia i commenti, quasi tutti positivi, altri critici verso quel tipo di scelta”. I più forse hanno alzato le braccia con aria un filo disgustata per queste robe medievaliste e antiquate che sanno solo di vecchiume. Altri hanno forse semplicemente passato oltre indifferenti. Altri ancora sono forse rimasti “scandalizzati” da un gesto dal sapore “woow” di moderno esibizionismo, che fa a cazzotti con l’austero e sacrale rito della vestizione di una novizia che si accinge a diventare monaca di clausura. Dico la verità: l’ho trovato di una bellezza sconvolgente e disarmante. Bellezza. Bhè, il fatto di vedere che nel 2018 ci siano ancora ragazze che scelgano la radicalità di una vita religiosa e per giunta di clausura è una roba di una bellezza struggente. Una bellezza che sconvolge i canoni che la società impone per essere moderni: apericena con foto su Istagram, sogno di una carriera nel lavoro da top manager, niente figli perché per carità sono un impiccio, palestra, creme e vestiti a la page per essere toniche e sempre pronte, sissà mai di incontrare il principe azzurro su una bella Porsche ricco sfondato che così ci sistemiamo per tutta la vita. E poi: vuoi mettere la storia dell’abito bianco con strascico e tulle per un rito di noviziato? Bellissimo: letteralmente “sposa di Cristo”. Una volta quando noi bambini ricevevamo il sacramento della cresima il parroco dall’altare vicino al Vescovo ci diceva con voce austera: “ora siete soldati di Cristo!”. Nella mia fantasia la cosa mi intrigava: soldato di Cristo. Mi immaginavo con la croce rossa dei Templari sulla schiena, spada e scudo nelle mani, pronto a interpretare la parte del soldato che difende i cristiani dalle ingiustizie e dai soprusi. Insomma, una sorta di incrocio tra un Zorro, Robhin Hood e i super-eroi alla Uomo Ragno e Fantastici 4. Ho capito molto molto tempo dopo che essere soldato di Cristo avrebbe per me significato ben altro: portare la Croce di Cristo e offrire tutto a Lui. Ma questa è un’altra storia.

L’abito bianco indossato da Carmen mi riporta potentemente alla veste bianca che ho ricevuto il giorno del Battesimo (la conservo ancora!). Ma quel gesto mi provoca altri due messaggi. L’abito bianco di questa giovane ragazza che sceglie la clausura, nella sua foggia da abito nuziale, è il simbolo di quella mondanità alla quale lei rinuncia per essere completamente di Dio. Ma non rinuncia alla mondanità perché sia il coacervo di tutti i mali diabolici: rinuncia per essere ancor di più mondana, cioè pienamente del mondo terreno nel quale ciascuno di noi si trova a vivere.

Un gesto di una bellezza disarmata e disarmante per me, marito, sposo, genitore che esattamente come Carmen diciassette anni fa’ si è presentato in chiesa tutto ben agghindato a festa per dire il mio “Sì” per tutta la vita ad una donna vestita di bianco esattamente come Carmen. Carmen ha scelto di abbracciare totalmente Cristo, stare sempre con Cristo, pregare ogni giorno in Cristo e con Cristo e per Cristo, chiusa dentro un monastero di clausura insieme ad altre consorelle. Io con quel “Si’” ho promesso di seguire Cristo nel costruire una famiglia, nella fatica e nella gioia, con tutte le mie energie insieme a quelle di mia moglie e poi di mia figlia. Ma dei due, chi è davvero del mondo? Non ho dubbi nel rispondere: Carmen, o meglio Suor Maria Vittoria della Croce. L’incontro con Gesù è una festa, non un funerale: la famiglia come la clausura è una festa anzitutto. Suor Maria Vittoria della Croce mi porta ad un’apertura diversa verso la realtà che mi scorre troppo spesso tutti i giorni e che fatico a leggere. Mi porta a guardarla (la realtà) in tutti i suoi fattori costitutivi, senza tralasciarne nemmeno uno: Carmen mi sta dicendo che solo affidandosi totalmente a Cristo posso davvero guadagnare un gusto di vita nuova. Carmen è profondamente del mondo pur non essendo del mondo:”Tu sei il mio Io”. Noi siamo fatti di dipendenza (che detta così, capisco, suona male). Per essere davvero noi stessi in ciò che siamo, viviamo e respiriamo (qualsiasi tipo di vita facciamo) dobbiamo avere la coscienza della dipendenza da un Altro che ci ha fatti, un Altro che sta all’origine, durante e dopo di me.

Senza Cristo la realtà, la mia realtà, è come miope, rischio solo di guardarla a pezzetti, di disperarmi quando le cose vanno male, quando il dolore mi annienta. Manca un fattore costitutivo: la trascendenza di cui siamo costituiti.“Più che una scelta mia– ha raccontato suor Maria Vittoria, rilasciando alcune dichiarazioni che appariranno sul prossimo numero del giornale diocesano – sono stata scelta da Lui. In un incontro coi giovani, e poi anche in altri, ho sentito l’amore di Cristo manifestato sulla croce, che ha aperto il cielo per me, che mi ama così come sono, e sono per Lui una perla preziosa. Io ho semplicemente accolto questo amore”. Ciascuno nella ricerca della propria vocazione. Un itinerario da percorrere nella gioia, come testimonia l’abito indossato per l’ingresso in chiesa, una gioia, perché segno dell’amore, che permette di superare anche le prove e le sofferenze più dure. L’08 settembre 1890 una donna come Carmen stava compiendo lo stesso identico gesto. Il giorno della vestizione il papà era presente alla cerimonia, e lei, in abito da sposa, uscì dalla clausura per assistere in mezzo alla famiglia alla cerimonia. Aveva desiderato la neve per quel giorno, e, nonostante il clima mite, nevicò. In quel giorno al nome di Suor Teresa del Bambino Gesù aggiunse anche quello del Volto Santo. “Che bella festa!… niente mancò, niente, nemmeno la neve… e il fiore più bello, più incantevole, era il mio diletto Re … quel giorno fu il suo trionfo, la sua ultima festa quaggiù. Aveva dato tutti i suoi figli al buon Dio… Dopo aver abbracciato per l’ultima volta il mio diletto Re, rientrai in clausura:… subito dopo il mio sguardo si posò sui fiocchi di neve… il cortile era bianco come me. Che delicatezza di Gesù! Prevenendo i desideri della sua piccola fidanzata, le donava la neve…”.  “Che io cerchi e non trovi mai che te solo… Che le cose della terra non possano mai turbare la mia anima… Gesù, non ti domando che l’amore, l’amore infinito, senza altro limite che te… l’amore che non sia più io ma Tu”: questa fu la preghiera formulata da Teresa di Lisieux nel giorno della sua professione, l’8 settembre 1890. “Per essere sposa di Gesù bisogna che somigli a Gesù, e Gesù è tutto sanguinante, coronato di spine”. Il 17 maggio 1925 Teresa di Lisieux viene canonizzata da Papa Pio XI e due anni dopo è dichiarata patrona dei missionari, anche se non si spostò mai dal suo convento. Per rendere gli onori dovuti alla figura della Santa, la Chiesa cattolica erige una gigantesca basilica alla “piccola Thérèse”. Nel 1932, sempre a Pio XI, e successivamente nel 1987 a Giovanni Paolo II, fu richiesto alla Santa Sede di riconoscerle il dottorato. Le fu concesso il 19 ottobre 1997. Thérèse è quindi il 33º Dottore della Chiesa e la terza donna a ricevere questo riconoscimento dopo Teresa d’Avila e Caterina da Siena, entrambe dichiarate dottore della Chiesa cattolica da Paolo VI nel 1970.

Luigi Martin e Zelia Guérin, il papà e la mamma di Thérèse, vengono beatificati  il 19 ottobre 2008 dal cardinale Josè Saraiva Martins, legato di Benedetto XVI e  proclamati Santi da Papa Francesco il 18 ottobre 2015,  quasi sette anni esatti dopo la beatificazione, durante la XIV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi,  avente per tema “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”.

Che modernità sconvolgente e disarmante nel gesto disarmato di Carmen!

 


Sono nato il 16 magg­io del 1971 a Soresi­na, un paesino della bassa cremonese. Peccatore da sempre, cattolico per Graz­ia. Laureato per accide­nti in filosofia all­’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, da vent’anni lavoro nel sociale. Se sono cattolico, apostolico, romano lo devo ad un incontro fondamentale con d­on Luigi Giussani che mi ha educato a vi­vere. Vi invito a seguirmi sulla mia pagina Facebook e su web al mio Blog “Scommunity