Se “mi” racconto mi conosci – 7 maggio 2016

Continua la rubrica di Alessandra Bialetti «Se “mi” racconto mi conosci». Chiunque desidera può contribuire inviando la propria testimonianza a [email protected]


7 maggio 2016. È sabato. Ci aspetta una serata speciale. Per la prima volta siamo invitati a cena ad un ristorante da Marco, nostro figlio, e Laura, la sua ragazza. Non è un posto qualunque, è il luogo dove faranno la loro festa di matrimonio. Mancano solo due mesi e vogliono condividere con noi una serata lì, sul lago di Martignano. Arriviamo al tramonto. Passeggiata sul prato vicino al lago e poi ci aspetta un tavolo per cinque, la nostra famiglia al completo: oltre a Marco e Laura, noi genitori ed Emanuele, l’altro nostro figlio. Speciale la cena e magico quel posto! Una bella serata, che, tornando verso la macchina, pensavamo si fosse conclusa lì.

Saliamo in macchina, noi davanti e i ragazzi dietro. Prima di partire, Emanuele, seduto dietro di me, ci dice: “Anch’io ho una bella notizia da darvi – almeno per me bella – da due mesi mi vedo con un ragazzo, si chiama G. Io lo sapevo da tempo…”. Lui lo sapeva, noi no. Nessuno di noi l’aveva capito. Era quella la sua bella notizia, pronunciata con la paura nel cuore che per noi non fosse altrettanto bella. Scende il silenzio per qualche lungo istante, poi sono io a romperlo: “Emanuele, però ti devo abbracciare”. Esco dalla macchina, il tempo di aprire lo sportello posteriore e lo trovo in un pianto che mi mancano le parole per descrivere. Esprimeva tutto il dolore nascosto per anni e insieme un infinito senso di liberazione: era riuscito a condividere con noi un peso che per troppo tempo aveva portato da solo. Ci abbracciamo e quel dolore lo sento, lo sento tutto, mi attraversa tutto il corpo. Poi ad abbracciarlo sono il papà, Marco, Laura… Non servono parole per dirci quello che sentiamo. “Ora ho bisogno di stare dieci minuti da solo, poi torno” e si allontana nel buio. Qualche momento di esitazione, poi Marco lo raggiunge. Mi commuove sempre il rapporto che Marco ha con lui, da quando aveva 5 anni e aspettava che il suo fratellino uscisse dalla mia pancia. Rimaniamo in macchina in tre. Quasi senza accorgercene le nostre mani si stringono. Guardo mio marito e lo accarezzo, so che per lui sarà più difficile che per me. Quando Marco ed Emanuele tornano, partiamo. “Ora pensa a finire la tesi e a laurearti, su questa cosa ci dobbiamo crescere insieme”. Credo sia la cosa più bella che il papà potesse dirgli. La cosa più semplice e più vera.

Quella sera Emanuele l’ho partorito una seconda volta: ho sentito scorrere dentro di me ed attraversarmi tutto il corpo la forza della vita che rinasceva dal dolore.

Questo è il mio ricordo di quella sera di due anni fa. Altri ricordi abitano il cuore di chi con me ha condiviso quell’esperienza. Il ricordo della commozione sul volto di Emanuele, mentre parlava, colta da chi sedeva sui sedili posteriori della macchina, e delle carezze che l’hanno accolta e accompagnata, prima del mio abbraccio. E quel silenzio, per me troppo lungo, che per qualcun altro forse non c’è stato… “Anch’io lo voglio abbracciare questo figliolo” – le parole del papà, che riaffiorano alla mente di Emanuele. Il ricordo che si portano dentro i due fratelli di quel momento – ben più lungo di dieci minuti – che hanno vissuto insieme quando si sono allontanati dalla macchina. E poi il ricordo del papà, nella sua testimonianza durante una veglia di preghiera. Eravamo in piazza del Campidoglio. Un anno dopo quella sera di maggio.

Al lago di Martignano ci siamo tornati due mesi dopo, il 9 luglio. Una celebrazione eucaristica sulla riva del lago, dove Marco e Laura hanno fatto testimonianza del loro amore e ci hanno chiamati tutti e tutte a testimoni delle promesse che si sono scambiati. Mettersi in gioco ed esporsi con i propri sentimenti è difficile, richiede coraggio ed ha un effetto contagioso: tutti sulla riva di quel lago si sono messi in gioco, si sono guardati dentro ed hanno superato la paura di mostrare e raccontare le proprie emozioni.

Anche Emanuele ha trovato il coraggio di farlo: “L’amore è bello. Sembra un’ovvietà, ma penso che a volte ce lo scordiamo, o che vogliamo scordarcelo, o che cerchiamo di metterlo lì, in un angoletto, dove non lo vediamo. Voglio ringraziare Marco e Laura perché oggi questo amore ce lo raccontano, ce lo fanno vedere e lo condividono con tutti noi. E nell’ipotesi che esista un creatore, penso che oggi uno sguardo sulle rive di questo lago ce l’ha buttato ed ha sorriso compiaciuto del suo creato”.

Si, sul lago di Martignano quel giorno Dio c’era. Ed era lì, a fianco di Emanuele, anche quella sera di due mesi prima. Era quello stesso Dio che un giorno ascoltò il grido di dolore di un popolo di schiavi e si mise al loro fianco perché rompessero le catene della schiavitù e iniziassero il cammino rischioso verso la libertà. Anche Emanuele aveva in gola un grido soffocato di dolore da tirar fuori e una catena da spezzare, quella che gli impediva di essere se stesso fino in fondo, di vivere alla luce del sole i suoi sentimenti, di tirar fuori quella parte di sé, che l’ipocrisia dei benpensanti di turno vorrebbe rimanesse nascosta.

Quello stesso mese di luglio, dopo qualche giorno dal matrimonio di Marco e Laura, Emanuele si è laureato. Sulla sua tesi di laurea in ingegnera, sotto la voce Ringraziamenti, c’era scritto:

“Il percorso universitario e il cammino di vita non possono far altro che intrecciarsi. Questo è vero per ognuno. Nel mio caso, più che altro, spesso si sono strozzati l’un l’altro; ma alla fine sembra che molti nodi vadano finalmente sciogliendosi.

Per questo desidero ringraziare la mia famiglia: per l’affetto infinito, per il sostegno dato e per quello che mi avrebbe dato se solo lo avessi chiesto.

Grazie a chi mi ha sorretto e guidato tenendomi per mano, quando più ne ho avuto bisogno. Siete la mia forza.

Grazie a chi ha creduto in me e ha saputo amarmi, quando io non sapevo farlo. Siete il mio orgoglio.

Grazie a chi, nonostante tutto, mi ha mostrato la bellezza, proprio dove non riuscivo a trovarla.

In fine, grazie a tutti quelli che mi hanno visto dentro e hanno continuato a guardarmi con gli stessi occhi. Mi avete insegnato il vero significato della parola “fortuna”.

E senza un po’ di fortuna, non si va da nessuna parte”.

7 maggio 2016. Grazie, Emanuele, per averci regalato quel momento. Lascia che la bellezza che sei riuscito a vedere dentro di te brilli in tutta la sua interezza, perché illumini la tua vita e quella degli altri e perché quel Dio creatore, che hai intravisto sulla riva del lago di Martignano, nel vederla, sorrida compiaciuto del suo creato.

 

Dea Santonico

20 aprile 2018