Blog / Terry | 09 Aprile 2018

Le Lettere di Terry – Il Tuo bene è migliore del mio

E’ un brutto periodo. Questa sera, esausta, mi sono messa davanti al televisore e sono cascata su un film biografico di San Giovanni Paolo II: non entro nel merito della critica cinematografica e/o dell’affidabilità del contenuto. Francamente non me ne frega una cippa: infatti, indipendentemente dalle critiche più o meno dotte, tendenzialmente ci trovo il più delle volte qualche spunto buono per me; l’importante è che non ci siano interpretazioni che offendano la mia sensibilità che tenta di essere cristiana accettabile (per molti non lo sono).

Questa sera un passaggio mi ha folgorato: subito dopo la diagnosi di Parkinson i medici gli consigliano di smorzare il ritmo, di rallentare e lui sbotta con rabbia, dicendo che non può permetterselo perché, citando diversi drammi in Rwanda, nella ex Jugoslavia etc, afferma che il suo popolo ha bisogno di lui, della sua presenza, della sua vicinanza….e poco dopo con un sentimento di tristezza profonda che prende il posto della rabbia esce con un: “E’ per questo che non capisco!”

Dio mio! Neanche il Papa “santo subito” Ti capiva!

Quanto mi sono sentita coinvolta! La prima volta che provai questa sensazione avevo 20 anni: ero ancora alla ricerca della strada su cui riversare tutta la mia voglia di “fare del bene”, carica di un’esuberanza che a quell’età straborda dagli argini. Avevo fatto pochi anni di volontariato a Lourdes e avevo imparato a conoscere i punti di debolezza dell’organizzazione della quale facevo parte: chiesi un colloquio col presidente e gli prospettai “il mio piano” di riorganizzazione per migliorare l’attività, in cui cercavo di convincerlo di usare le risorse per pagare una persona che potesse riempire tutte le varie lacune e “organizzare” il volontariato in modo efficace e più funzionale per i malati, moltiplicando le opportunità per loro di fruire dell’impegno dei volontari (ovviamente volevo essere io quella persona e realizzare il mio sogno di dedicare la mia vita al sociale). Mi ascoltò con attenzione e mi chiese da quanti anni ero volontaria. In sintesi, in poco tempo ero riuscita a elaborare un piano di rinnovamento per il quale lui e gli altri “capi” ci avevano messo tanti anni e, con immenso dispiacere mi disse che proprio due settimane prima avevano “finalmente” deciso di assumere, e quindi pagare, una persona che avrebbe fatto esattamente quel che io proponevo dal basso dei miei piccoli 20 anni. Ricordo la sua faccia sinceramente dispiaciuta. Ricordo il bar e il tavolino in cui abbiamo parlato. Ricordo le mie lacrime. Mi avrebbe fatto infinitamente meno male sentirmi dire che le mie idee erano spazzatura, ma sentire che erano giustissime e che ero in ritardo di sole 2 settimane, mi ha uccisa. Quanto piangere!

E poi mi è successo quando il matrimonio mi è andato in frantumi: io che avrei voluto minimo 3 figli e massimo 5. Io che avevo lasciato l’università perché sapevo che dopo un ciclo universitario non mi sarei accontentata di un lavoretto qualsiasi, che avrei voluto quel “massimo” e che non sarebbe stato compatibile con la mia voglia di essere moglie e madre presente, e quindi ho mollato prima per aver meno dispiacere a lasciare da parte il lavoro per la famiglia quando sarebbe stato necessario. Io che volevo solo realizzare quell’ideale di famiglia buona e missionaria, sì…pure missionaria! Mio cognato aveva scritto libri su coppie che con la loro prole si trasferivano in terra di missione: quanto bene avremmo potuto fare! Quanto bisogno c’è di qualcuno che s’impegni per il Bene! Io volevo solo quello, e invece ancora una volta sono stata costretta a rinunciarvi: questa volta per un mio errore, ma compiuto in sincera buona fede, animata da desideri buoni e onesti. E proprio il 5 aprile ricorrevano 16 anni esatti da quando “sono scappata” con il bimbo di 2 anni e ho fatto una vita, non solo di madre single, ma da trincea: anni e anni di tribunali di tutti i tipi, violenze psicologiche, fatiche immani….io che volevo solo creare una famiglia bella, numerosa e missionaria! Io che ho messo da parte l’università perché non vedevo nel lavoro la mia via di realizzazione principale, mi ritrovo pure imprenditrice di un’attività che ultimamente mi sta schiacciando.

E potrei andare ancora avanti nel citare esempi…. Esempi di quel “E’ per questo che io non capisco!” Già! Non capisco! Mi sento derubata della mia vita! E qui ritorniamo a quel libro “Il disertore” scritto da Don Fabio, che ho immediatamente deciso di comprare appena ho letto nella recensione “Giona sentiva di vivere una vita che non gli apparteneva e si ribellava, scappava”. Io sono Giona. E quel passaggio del film mi ha folgorata.

Neanche il Papa “santo subito” capiva!

E allora ricordo il mio DS (direttore spirituale): 10-12 anni fa sognava di colonizzare vecchi villaggi arroccati e abbandonati nelle montagne per farli diventare centri di spiritualità giovanile. Lui vedeva il mondo occidentale come “terra di missione”, forse anche di più del terzo o quarto mondo: sosteneva che mentre lì vi era una grande povertà materiale per la quale s’impegnavano già numerose organizzazioni, dalle nostre parti c’era una povertà spirituale terrificante e lui sognava di sanare questa piaga. Quanti sogni! Fino a quando riceve l’ordine dalla congregazione di trasferirsi proprio in Africa, in Congo: non entro nel merito dell’origine di questo ordine ricevuto, che aveva il suo perché, ma ricordo la sua fatica titanica per obbedire! Anche qui non entro nel merito per rispetto e pudore di quella che è una vicenda interiore non mia. Ma l’ho vista quella fatica! L’ho sentita! E nel mio piccolo l’ho vissuta con lui! Il mio DS ha un carattere d’acciaio e l’obbedienza credo che sia una delle sue più grandi fatiche: ero commossa nell’osservare lo sforzo che faceva per piegare la sua volontà ad un volere non suo, e che forse neanche lui capiva fino in fondo. Capiva le ragioni dei suoi superiori, ma credo che anche lui litigasse col buon Dio. Conoscendo il suo carattere io sapevo che sforzo immane stava facendo ed ero incantata dalla buona volontà che ci metteva, cercava pure di sorriderci sopra. Era assolutamente evidente che lo faceva in virtù di un Amore più grande: la volontà di Dio per lui si manifestava attraverso i suoi superiori e pur non capendola, sceglieva di amarla, più dei suoi progetti o dei suoi sogni di bene. Loro, credo, che li avrebbe impiccati per questo ordine che gli impartivano, nel quale lui non si sentiva né capito, né accolto e forse, più di loro, intuiva che quella missione sarebbe stato un fallimento, perché non avevano le forze per tenerla in piedi. Lui era “nero”, perché lo sapeva prima di partire, quindi si vedeva sprecato in una missione che non aveva ragione d’essere e rapìto dai suoi progetti che invece stavano già dando frutti grandi e buoni. Lui sapeva che ciò che aveva creato in Italia, con la sua partenza sarebbe svanito come neve al sole e così è stato. Lui sapeva che non avevano forze e risorse per creare qualcosa di solido in Africa, e così è stato. Lui sapeva tutto questo, gli stavano chiedendo tutto, a lui sembrava irragionevole e lo era, ma ha obbedito. Ha amato quella manifestazione della volontà di Dio, più dei suoi progetti di bene: non è stato spontaneo, ma ha scelto di farlo con tutto l’amore per Dio di cui era capace. L’Africa è stata un’avventura terrificante: missioni nella giungla, periodi di rifugio nelle cantine per epurazioni religiose, malaria, il suo superiore che gli muore tra le braccia nel giro di 48h per malaria cerebrale fulminante. Quanto ha sofferto! Le sue fatiche sono continuate per un po’ di tempo anche quando gli hanno dato ordine di rientrare….

Tutto questo per dire: non è importante la nostra volontà di fare beneSe non è la Sua, vale poco. E non significa che sia male, significa che i Suoi disegni sono diversi dai nostri e ci superano. Quanto bene avrebbe potuto fare San GP II se fosse rimasto più a lungo con noi e in forze? Se non gli avessero sparato, se non si fosse rotto anca e femore e – in definitiva – se non avesse avuto il Parkinson? Sicuramente tantissimo! Non oso immaginare quanto…. Ma quanto bene ha fatto anche, nonostante e proprio attraverso la malattia? Forse un bene incommensurabile di cui fatico a prendere piena consapevolezza tanto è grande! Tutti ricordiamo con commozione e con una morsa di dolore allo stomaco l’immagine, poco prima di morire, in cui si affacciò dalla sua stanza e non riuscì a parlare. Ancora mi s’inumidiscono gli occhi.

Dio, è difficile capirTi. E’ difficile e a volte ci strappa la vita di dosso.

Io adesso non Ti capisco. Io adesso ho paura. Io sono triste. Sono incredibilmente stanca. Non so dove sto andando. Non so cosa sarà il domani. Non capisco un sacco di cose. L’unica cosa che mi rimane chiara è che senza di Te non sono nulla e non posso nulla. Non so cosa tu stia combinando con me, ma so che l’unica cosa che mi consente di vivere le mie giornate e che Tu ci sei: anni fa, in un periodo di vera disperazione, ho provato a giocarmi la carta della Fede, come non l’avevo mai fatto. Non dico che ti ho sfidato…..ma quasi! Era un periodo che speravo di non svegliarmi dal sonno in cui mi addormentavo la sera, e in cui il risveglio presentava già le lance piantate nello stomaco, nel cuore e nella mente. Fu un periodo strano: la gente non lo sapeva, ma dentro di me c’era un casino folle, abbandonato ai piedi del tabernacolo e curiosa di cosa sarebbe successo. Beh….di lì a poco successero cose che andavano al di là dei miei sogni più audaci, come diceva un santo prima di me. E allora ho capito che fidarsi, affidarsi e abbandonarsi, è la cosa giusta da fare, anche se non si capisce.

Oggi non sto come allora, anche se ci sono molto vicina e la mia preghiera preferita è “Stupiscimi”. Se penso al domani lo stomaco mi diventa una nocciolina e quindi mastico come noccioline giaculatorie che riempiano la mia mente di una speranza che non mi appartiene, ma che voglio rubarTi, perché sono Tua figlia e la pretendo. La voglio. L’altro giorno le “pie donne” di una chiesa (quelle che mi fanno venir voglia di essere un’eremita tibetano) hanno riesumato una giaculatoria che non sentivo da tempo: “Signore vieni a salvarmi. Signore vieni presto in mio aiuto”. Sono certa che non Te la prendi se la modifico con “Signore corri a salvarmi. Signore vieni presto in mio aiuto“, perché so che sai come sto e che mi capisci.

Durante il film ho capito che non importa se ho desideri di bene. Ho capito che i Tuoi sono migliori, anche se non mi è dato di capirli sempre. Devo fidarmi. Ma quanto è dura. In fondo sono causa del mio male: “Signore, svuotami di me e riempimi di Te“. Quante volte Te l’ho ripetuto? E Tu mi prendi alla lettera: in questo periodo mi sento schiacciata, svuotata, derubata di tanto. Non dico di “tutto”, perché la storia di Giobbe insegna che potresti togliermi ancora un sacco di cose buone e belle che nella mia vita, nonostante il grigiume di questo tempo, ci sono. Quindi no, non Ti dico che mi hai tolto tutto, non sarebbe onesto. Però mi sento come se…..fosse tutto; anche se so che non è veramente così, è così che mi sento. Certamente stai progettando qualcosa di buono e certamente ci sarà qualcosa di positivo nello schifo che mi sento di vivere: mi hai già stupìto e mi sa che lo farai ancora. Vedi però…i grandi santi sceglievano di soffrire; i grandi santi – come avevi fatto Tu – finivano per “offrirsi” liberamente alla passione: ecco io non ci riesco. Io è già tanto se tollero e accetto quel che mi capita, ma non sono ancora capace di amarTi offrendomi liberamente alla passione. Al contrario, spero che la mia vita migliori e diventi un pochino più decente e meno faticosa, perché sono stanca, tanto tanto stanca. Ma tanto alla fine si farà quel che vuoi Tu, perché non riesco a pregare diversamente e quei santi non ci sono arrivati per merito a “offrirsi liberamente alla passione”, ci sono arrivati per Grazia. Onestamente non so fino a che punto la voglio sta Grazia….pesa un po’ tanto, ma poi vinci sempre Tu; se mi darai “sta sòla di Grazia” alla fine sarà perché mi avrai insegnato ad amarTi come Ti sto chiedendo da tanto tempo.

L’altro giorno dicevo al mio DS che alla mattina non vado a Messa e non dico il Rosario perché sono brava, ma semplicemente perché senza di Te non riesco a vivere, senza di Te non riesco ad affrontare le giornate: sapere che ci sei, incontrarTi, parlarTi….sapere che sai trarre il bene anche dal male delle giornate che vivo con tanta fatica è l’unica cosa che mi tiene in piedi. Non è bravura la mia, è sopravvivenza. Quando gli dicevo così, io piangevo, ma il DS mi sembrava abbastanza contento, della serie “Ottimo. Se ti affidi a Lui sei nelle mani migliori possibili e quindi sono tranquillo”. Sì! Voi due siete un’associazione a delinquere!!!

Mi sento svuotata e stravolta. Vivo minuto per minuto. Non riesco a fare altro in questo momento. Non ho nessuna visibilità sul futuro e quel che vedo mi terrorizza. Quindi mastico le mie noccioline di speranza ad ogni respiro, e poi si vedrà.

La sintesi? Le nostre speranze o progetti di bene, sono infinitesimali rispetto a quelli Tuoi. Tu quando agisci, lo fai in grande: quando hai fatto il miracolo dei pani e dei pesci, non ne hai creati in quantità sufficiente per tutti, ma strabordante, tanto da avanzarne un sacco.

Il tuo bene è migliore del nostro.

Un bel passo indietro. Un po’ di umiltà e avanti.

Mi stai polverizzando. Ma ok. Ne verrà certamente qualcosa di buono anche se, pur sforzandomi ed essendo dotata di discreta intelligenza, non riesco neanche lontanamente ad intuire cosa stai combinando. So solo che sono stravolta e, se anche ho avuto sogni di grandezza, in questo momento sono polverizzati pure loro. In questo momento vedo come il paradiso andare a fare la cassiera. Se verrà fuori qualcosa di buono, sarà certamente Tuo e di solito questo è un marchio di fabbrica che è pura garanzia. Anzi, mi vien da pensare che ora che mi sento così tanto ai minimi termini, forse è la volta buona che riesci a combinare qualcosa di bello che non vada in collisione col mio libero arbitrio: in questo momento non pensare al futuro, al domani, semplicemente perché ho finito le risorse e non mi viene in mente nulla di buono (anzi!), produce un rifiuto a farlo; provoca un “tirare i remi in barca” in cui mi limito a pensare all’oggi, scegliendo in modo fermo di non tentare neanche a cercare di guardare più lontano….e forse questo finalmente ti dà campo libero da me, dalle mie idee, dai miei pensieri, dai miei desideri e da tutto ciò che può interferire con il capolavoro che Tu sai e puoi fare con la vita di chi Ti lascia carta bianca. Forse mettermi KO era l’unico modo per poter combinare qualcosa di buono. Quindi: buon lavoro! La palla è Tua!

Il mio DS un giorno mi disse che la mia tentazione più forte è la superbia: essendo la piccola di una famiglia di adulti e pure numerosa, credo che la mia superbia sia stata ben mortificata fin dalle fasce, ma se quello non è stato sufficiente, ci stai pensando Tu a strappare l’erbaccia maligna.

Sono stanca Gesù. Non mi sento capace di niente se non di dormire e scappare. Non so cosa stai combinando, ma qualsiasi cosa verrà fuori, sarà roba Tua, perché io sono ai minimi termini.

Durante il film ho anche intuito un’altra cosa: San GP II era consapevole che Tu eri con lui e questo Gli dava grande forza e autorevolezza nel suo agire. Ho capito che la devo piantare a mettere in dubbio questo aspetto e agire di conseguenza! Ecco ciò su cui mi sento di poter fare qualche piccolo sforzo.

Signore, svuotami di me e riempimi di Te (anche se scalpito, brontolo e faccio la piaga)

Signore, sia fatta la Tua volontà (e che il mio angelo custode mi protegga e mi sostenga)

Oh Signùr! Che tipo che sei!


Radicata a Milano, ma cittadina del mondo. Prima di tutto sono mamma, purtroppo single da quasi subito. Contrariamente al mio sogno di essere moglie e madre di una famiglia numerosa, la vita mi ha costretta a diventare capo-famiglia single, una professionista e ora pure imprenditrice. Da sempre svolgo lavori di “servizio alla persona” e, al di là dei più diversi ambiti professionali così attraversati, il comun denominatore è che mi appassiono al cuore delle persone che incontro, alla loro storia e al loro vissuto. Per me la scrittura è introspezione e il confronto è crescita. Amo definirmi devota miscredente perché il mio cammino è strano: a gambero, a zig-zag, non scontato, non sempre ligio, in ricerca, nel quale però cerco sempre di avere onestà intellettuale.