Blog / Luciano Sesta | 03 Aprile 2018

Le Lettere di Luciano Sesta – Papa Francesco, l’inferno e il giustizialismo cattolico

Le recenti dichiarazioni di Eugenio Scalfari circa alcune affermazioni di papa Francesco sulla realtà dell’inferno, hanno offerto l’ennesima opportunità per alimentare le solite polemiche sulle presunte eresie del pontefice argentino. Nel ripetersi di uno schema già visto, qualcosa di nuovo, però, l’abbiamo appresa. Poche cose sono così intoccabili, per i “veri” cattolici, come lo è l’inferno. Non si spiegherebbe, altrimenti, la reazione rabbiosa che, alcuni fra loro, stanno mostrando di fronte al pericolo di vederne attenuata la severità, a causa di quello che essi chiamano l’“irresponsabile” “buonismo” di papa Francesco. Cosa c’è dietro questo forte interesse per l’idea di “dannazione eterna”?

Le analisi su ciò che si nasconderebbe veramente dietro la “misericordia a buon mercato” di papa Francesco si “meritano”, per così dire, una contro-analisi su ciò che può nascondersi dietro il “giustizialismo” dei suoi nervosi detrattori.

Per costoro, in effetti, abituati a separare rigidamente il peccato dalla virtù e a dividere il mondo in buoni e cattivi, in credenti e non credenti, in cattolici fedeli e cattolici fuorviati, la prospettiva della dannazione eterna è una rassicurante conferma di questa demarcazione. È proprio in questi soggetti che emerge un meccanismo psicologico che Nietzsche aveva (erroneamente) attribuito a tutti i cristiani, ossia il risentimento e lo spirito di vendetta nei confronti di chi, non cristiano, può permettersi di godere ciò a cui il cristiano, a denti stretti, deve invece rinunciare. Il bisogno di veder colpito il proprio nemico, il bisogno di sapere che i propri sacrifici non sono vani, la segreta e inconfessabile invidia nei confronti di una libertà alla quale si è rinunciato e che gli altri invece possiedono, è la vera radice del giustizialismo religioso.

È ancora Nietzsche a ricordare che già un padre della Chiesa come Tertulliano (II secolo), nel suo “De Spectaculis”, riteneva che una parte della beatitudine del cristiano consistesse nel contemplare la pena eterna a cui saranno sottoposti i non cristiani. Sembra che anche Tommaso d’Aquino, sulla stessa linea, abbia scritto: “Beati in regno coelesti videbunt poenas damnatorum, ut beatitudo illis magis complaceat”. Collocando all’inferno il nemico Bonifacio VIII, colpevole di averlo esiliato e reso politicamente perdente, anche Dante è probabilmente rimasto vittima di questa sindrome giustizialista.

Ed ecco i paladini della fede, nell’atto stesso in cui la “difendono” dalle eresie del papa, trasformarsi negli involontari testimoni della sua crisi. Esprimendo il bisogno di avere un nemico da veder punito, quasi per avere conferma di trovarsi dalla parte giusta, il giustizialismo è un sintomo di insicurezza, un tentativo di compensare una fede ancora immatura o vacillante. Un modo umano, troppo umano, di applicare ritorsioni lì dove Dio, probabilmente, ha un’altra visione delle cose…

Luciano Sesta, sposato e padre di quattro bambini, è docente di Storia e Filosofia nei Licei Statali Insegna Antropologia filosofica e bioetica all’Università di Palermo, ed è stato membro dell’Ufficio della Pastorale della Cultura dell’Arcidiocesi di Palermo. Ha pubblicato numerosi saggi nell’ambito della teologia morale, della bioetica e dell’etica