Blog / Davide Vairani | 29 Marzo 2018

Le Lettere di Davide Vairani – Non sono degno di ciò che fai per me …

Le parole cristiane senza la presenza di Cristo sono come parole impazzite: rischiano di diventare senza senso e di ingannare, portando facilmente alla tentazione dell’orgoglio e del “potere per il potere”. Anche i Comandamenti e le Beatitudini, così come anche tante cose che Gesù ha detto, persino le parole che pronuncio mentre mi accosto ai Sacramenti. Sono certamente “parole buone”, “parole belle”: posso ripeterle all’infinito, ma se non mi portano alla vita, non solo non servono, ma fanno male, ingannano, mi fanno credere di possedere una bella casa senza fondamenta.

Studiare il catechismo: un bel libro, il Catechismo della Chiesa cattolica, dobbiamo studiarlo. Ma mi illudo di conoscere Gesù solo con lo studio. Qualcuno ha questa fantasia: le idee e i buoni propositi, solo le idee e la retta coerenza con esse, ci porteranno alla conoscenza di Gesù. Anche tra i primi cristiani alcuni la pensavano in questo modo e alla fine sono finiti un po’ ingarbugliati nei loro pensieri. Perché le idee sole non danno vita e chi va per questa strada finisce in un labirinto da cui non esce più. Proprio per questo, sin dagli inizi, nella Chiesa ci sono le eresie, che non sono altro che il cercare di capire soltanto con le nostre menti chi è Gesù. I grandi teologi fanno teologia in ginocchio.

Gesù ai farisei rimproverava di conoscere tutto, ma di non farlo, di non tradurre nella pratica quotidiana quelle “parole belle” studiate ed imparate per bene. E così alla gente diceva: “fate tutto quello che dicono, ma non quello che fanno, perché non fanno quello che dicono!”. Sembra un gioco di parole e un paradosso chestertoniano. Fare propria una parola che è cristiana ma senza Gesù Cristo, senza il rapporto con Gesù Cristo, senza la preghiera con Gesù Cristo, senza il servizio a Gesù Cristo, senza l’amore a Gesù Cristo, innesca un diabolico cammino della pazzia. Isaia è chiaro e ci indica qual è questa pazzia: “Confidate nel Signore sempre, perché il Signore è una roccia eterna; perché egli ha abbattuto coloro che abitavano in alto; la città eccelsa l’ha rovesciata, rovesciata fino a terra, l’ha rasa al suolo” (Is 26, 4-5). Una parola cristiana senza Cristo ti porta alla vanità, alla sicurezza di te stesso, all’orgoglio, al potere per il potere: ad essere prigionieri del peccato, delle mie fragilità, debolezze, incapacità. A scegliere la vanità camuffata da carità, a scegliere il mio ego camuffato da difensore integerrimo della verità, a scegliere la carriera per il bene della mia famiglia.

Mentre scrivo e mi rileggo ho la sensazione di fare la parte del predicatore da strapazzo che propina il predicozzo precotto e surgelato. Che poveretto che sono (il mio ego intanto gongola – ahimè)! Piccola dimostrazione pratica del fatto che la morale cristiana non è uno sforzo titanico, volontaristico, di chi decide di essere coerente e ci riesce, una sorta di sfida solitaria di fronte al mondo. La morale cristiana è risposta, è la risposta commossa di fronte a una misericordia sorprendente, imprevedibile, addirittura “ingiusta” secondo i criteri umani, di Uno che mi conosce, conosce i miei tradimenti e mi vuole bene lo stesso, mi stima, mi abbraccia, mi chiama di nuovo, spera in me, attende da me. La morale cristiana non è non cadere mai, ma alzarsi sempre, grazie alla sua mano che ci prende.

Ma come può accadere tutto questo, in che modo tutto questo può non essere ridotto solo ad una morale da seguire, a dei principi e valori cui tentare di corrispondere per poi accorgermi di non sentire in bocca quel gusto di vita nuova che Gesù ha promesso a chi decida di seguirlo? Perchè, alla fine, in fondo in fondo non sono felice quando ricevo in bocca il Corpo di Cristo?

Perchè il mio ego non vuole seguire fino in fondo il metodo di Cristo. No. Ancora prima: perchè non ho costantemente presente ciò che – realmente – sono: un poveretto. In fin dei conti, non si tratta di un’equazione matematica, di un sillogismo? Se Cristo è la roccia; se io conosco la Parola (dunque la roccia); se io la metto in pratica, se io partecipo alla Santa Messa, se mi confesso ed osservo i Comandamenti; risultato è che sono costruito sulla roccia, seguo Cristo.

Facile, no? Peccato che non funzioni così. Per anni e anni sono andato alla ricerca di Cristo succhiando riga per riga libri di teologia e filosofia e di maestri di spiritualità con l’illusione che funzionasse l’equazione matematica.

Tutto, nella nostra vita, oggi come al tempo di Gesù, incomincia con un incontro. Un incontro con quest’Uomo, il falegname di Nazareth, un uomo come tutti e allo stesso tempo diverso. Pensiamo al Vangelo di Giovanni, là dove racconta del primo incontro dei discepoli con Gesù (cfr 1,35-42). Andrea, Giovanni, Simone: si sentirono guardati fin nel profondo, conosciuti intimamente, e questo generò in loro una sorpresa, uno stupore che, immediatamente, li fece sentire legati a Lui… O quando, dopo la Risurrezione, Gesù chiede a Pietro: “Mi ami?” (Gv 21,15), e Pietro risponde: “Sì”; quel sì non era l’esito di una forza di volontà, non veniva solo dalla decisione dell’uomo Simone: veniva prima ancora dalla Grazia, era quel “primerear”, quel precedere della Grazia. Questa fu la scoperta decisiva per san Paolo, per sant’Agostino, e tanti altri santi: Gesù Cristo sempre è primo, ci primerea, ci aspetta, Gesù Cristo ci precede sempre; e quando noi arriviamo, Lui stava già aspettando. Lui è come il fiore del mandorlo: è quello che fiorisce per primo, e annuncia la primavera.

Comodo. Pietro, Andrea, Giovanni, Simone avevano lì davanti a loro Gesù. Quanta invidia per Tommaso che non ci credeva, non poteva credere al fatto della Risurrezione di Gesù. E gli tocca le ferite al costato! “Beati coloro che crederanno pur non avendo visto”, dice Gesù. Come? Facendo esattamente come Pietro, Andrea, Giovanni, Simone: seguendo. Seguendo il metodo di Cristo: una compagnia di volti tesi a Lui, cioè la Chiesa. Il cristiano è una persona “memoriosa” che cammina in compagnia, tra memoria e speranza. Questa è la Chiesa! Non si può capire un cristiano solo. Come non si può capire Gesù Cristo solo. Gesù Cristo non è caduto dal cielo come un eroe che viene a salvarci. No, Gesù Cristo ha storia perché ha voluto camminare con noi. Un cristiano senza storia, un cristiano senza popolo, un cristiano senza Chiesa non si può capire.

E non si può capire questa dinamica dell’incontro che suscita lo stupore e l’adesione senza la misericordia. Solo chi è stato accarezzato dalla tenerezza della misericordia, conosce veramente il Signore. Il luogo privilegiato dell’incontro è la carezza della misericordia di Gesù Cristo verso il mio peccato. È grazie a questo abbraccio di misericordia che viene voglia di rispondere e di cambiare, e che può scaturire una vita diversa. Da qui, solo attraverso questa compagnia siffatta, nasce una moralità, un seguire le regole, i principi e i valori. Non il contrario.

Chesterton scrive in “Ortodossia”: “I vizi – rilasciati – dilagano e danneggiano. Ma anche le virtù, lasciate in balia di sé stesse, si diffondono più selvaggiamente e fanno anche più terribili danni. Il mondo moderno è pieno di antiche virtù cristiane impazzite. Le virtù sono impazzite perché sono state isolate l’una dall’altra e stanno vagando sole. Così ad alcuni scienziati sta a cuore la verità, e la loro verità è spietata. Così ad alcuni umanitari interessa solo la pietà, e la loro pietà (mi spiace dirlo) è spesso falsa (…). La virtù della carità puramente mistica e quasi irrazionale. Egli ha la strana idea di rendere più facile il perdono dei peccati dicendo che non esistono peccati da perdonare”. Le virtù (le “parole buone e belle”) impazziscono se separate le une dalle altre e vagano da sole, e vagando da sole creano errori e peccati. Esattamente come per la verità. La “propria” verità alla fine è un’eresia perché è una “mezza verità”, cioè una verità non intera, cioè una non verità. Nel medesimo tempo separare le virtù significa renderle virtù “impazzite” e quindi false. “L’eretico (che è anche sempre fanatico) non è colui che ama troppo la verità; nessuno può amare troppo la verità. Eretico è colui che ama la propria verità più della verità stessa. Preferisce, alla verità intera scoperta dell’umanità, la mezza verità che ha scoperto lui stesso. Non gli piace veder finire il suo piccolo, prezioso paradosso, che si regge solo coll’appoggio di una ventina di truismi, nel mucchio della sapienza di tutto il mondo”Gilbert Keith Chesterton, La Nonna del Drago ed altre serissime storie – L’Uomo Comune.

In altre parole, la verità “vera”, cioè quella intera e comprensiva del tutto, va a braccetto con la virtù, mentre la mezza verità genera solo vizi, cioè fonti ulteriori di peccato. Chesterton mi aiuta a capire il metodo di Gesù, cioè la compagnia, la Chiesa. Facce e volti. Non supereroi e tanto meno druidi di  una setta segreta che detiene la  pozione magica. No. Semplicemente dei poveretti che sperimentano sulla propria pelle la misericordia  di Dio e si aiutano a vicenda  a camminare tra  memoria e speranza.

Marco 6,7-13: “In quel tempo, Gesù chiamò i dodici, ed incominciò a mandarli a due a due”. Il brano si apre con l’invio in missione dei Dodici. Tutti sono mandati, nessuno escluso, questo indica che l’annuncio del Vangelo non è un’incombenza riservata ad alcuni membri della Comunità, ma a tutti i discepoli che aderiscono alla fede in Gesù. Gli Apostoli sono inviati due a due per farsi compagnia: il cristianesimo non può essere vissuto che in Compagnia e, per essere compagnia è necessario essere almeno in due per avere tra i due la “Presenza di Gesù”. L’andare a due a due si fonda su una promessa di Gesù: “Dove sono due o tre uniti nel mio nome, io sono lì in mezzo a loro”. Ciò che si annuncia non è una dottrina, ma una Persona, resa presente dalla concordia e dall’amore tra i discepoli: “Da come vi amerete crederanno in me”. L’esperienza cristiana è un’esperienza visibile, concreta. Nella “Novo Millennio ineunte”, Giovanni Paolo II afferma: “Non una formula ci salverà, ma una Persona”. E’ una Persona, Gesù Cristo, il contenuto del Vangelo.

E’ interessante notare nel brano che Gesù non dice cosa devono dire i discepoli, ma come devono andare. Da come essi si presenteranno, essi diranno un’esperienza, saranno credibili, non dovranno convincere con le Parole, ma convinceranno in quanto testimoni di un’esperienza vissuta nell’amore reciproco.E’ la sua Presenza che opera miracoli, prodigi, che scaccia i demoni, che permette di compiere opere ancora più grandi del Maestro.

E’ per questo che Gesù dice di non portare nulla con sé: né pane, né bisaccia, né denaro. E’ nella debolezza, dirà San Paolo, che si manifesta la potenza di Dio: “Ti basta la mia grazia”.

E’ con questa coscienza di una grande inadeguatezza dinnanzi al ministero che Gesù affida a ciascuno, ma nello stesso tempo con la convinzione che Lui ci precede là dove andiamo, anzi viene con noi, che è sorretto ogni sforzo missionario.

Signore, io non sono degno di ciò che fai per me, Tu che ami tanto un poveretto come me! Donami la Grazia di essere sempre Tua compagnia, per essere compagnia vera …

Liberamente ispirato da:

 

Sono nato il 16 magg­io del 1971 a Soresi­na, un paesino della bassa cremonese. Peccatore da sempre, cattolico per Graz­ia. Laureato per accide­nti in filosofia all­’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, da vent’anni lavoro nel sociale. Se sono cattolico, apostolico, romano lo devo ad un incontro fondamentale con d­on Luigi Giussani che mi ha educato a vi­vere. Vi invito a seguirmi sulla mia pagina Facebook e su web al mio Blog “Scommunity