Le Lettere di Renato Pierri – Vittorino Andreoli, il Qohèlet, e l’amore prima del matrimonio
Leggevo nell’interessante libro di Vittorino Andreoli, “L’educazione (im) possibile” (Rizzoli), le seguenti parole:
«Oggi parlare di desiderio sessuale non ha senso, e se un adolescente dicesse che si astiene da un rapporto sessuale per poterlo consumare con la stessa ragazza in futuro, per esempio tra tre anni, verrebbe ricoverato con una diagnosi che sfiora il delirio. Quando mi capita di raccontare che sono arrivato al matrimonio vergine, pur avendo frequentato la mia futura sposa per cinque anni, sono guardato come un “poveretto”. E certo non mancava l’appetito, che veniva spostato sovente su noccioline, qualche olivetta, cose da happy hour, ma il resto “a suo tempo”. Mi ricordo il fascino che avevano le parole attribuite a Salomone: “C’è un tempo per soffrire e uno per godere, un tempo per amare e un tempo per odiare” » (pag. 93).
Leggevo, e mi è tornata alle mente la scena di qualche giorno fa. In un autobus, a Roma, vicino a me, davanti alla porta di uscita, c’erano due ragazzine che parlavano tra loro. Una, graziosa, dice all’amica meno carina: “Massimo ha detto che quando… mi scopa”. Con disinvoltura, lo ha detto, e quasi con un certo orgoglio per la lusinghiera attenzione che Massimo mostrava nei suoi riguardi. Una signora che pure era vicino, mi ha guardato accennando un sorriso. Il rumore dell’autobus non mi ha dato la possibilità di sentire quando Massimo le avrebbe fatto il regalino. Era pigiata contro il pulsante per la prenotazione delle fermate, e così le ho chiesto di premerlo poiché dovevo scendere, e lei con un bel sorriso: “Già fatto, ciao”.
Sicuramente non è un bene che una ragazzina parli della “prima volta” (almeno credo stesse alludendo alla prima volta!) con tanta disinvoltura, in un luogo pubblico, sapendo perfettamente d’essere sentita da altre persone. E forse neppure è un bene che sia il sottoscritto sia la signora che ha sorriso, non si siano stupiti più di tanto.
Ma viene fatto anche di chiedersi se era un bene, una volta, che non si facesse l’amore (o perlomeno che alcuni non facessero l’amore) per diversi anni con la futura sposa non per il fascino delle parole attribuite a Salomone, come è accaduto a Vittorino Andreoli, ma per il timore di compiere un atto cattivo, per il timore di commettere grave peccato, per il timore che la donna fosse disonorata perdendo la verginità, per il timore delle critiche della gente, per non sentirsi in colpa e via di seguito.
Ed è sicuro, Andreoli, che fosse solo il fascino delle parole del Qohèlet a farlo arrivare vergine al matrimonio?
Renato Pierri
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IlPasquino