Blog / Nuccio Gambacorta | 10 Marzo 2018

Le Lettere di Nuccio Gambacorta – Sulla solitudine

Sembra ieri, eppure è da 12 anni che vivo da solo. Tralasciando brevi periodi in cui mi ritrovo ospite di parenti o amici e giorni, rari, in cui sono io ad ospitare qualcuno, la mia situazione costante è quella del “single”. Mi sveglio e non c’è nessuno in casa tranne me, vado a dormire e nessuno a cui dire “buonanotte”. Ma il problema non è tanto il fatto di abitare da solo nella casa paterna, quanto il fatto che chi ci abita, cioè io, ha un umore altalenante, va soggetto ad astenie nervose e poi problemi piccoli o grandi di salute fisica che, a dispetto delle teorie alternative, inevitabilmente si presentano col passare degli anni. Ognuno di noi ha la sua indole e la mia non è stata mai particolarmente “chiusa”, ovvero non sono il classico individuo solitario che si compiace del suo aristocratico distacco. Però quelli come me hanno bisogno spesso di consensi per andare avanti e siccome, vista la mia condizione affettiva particolare, i dissensi ci stanno sempre (purtroppo) allora quante volte sono entrato in crisi non si può dire e tutto ciò può indurre a sentirsi soli, anche se fisicamente in compagnia di altri. Ecco il punto: SOLITUDINE non è soltanto quella fisica ma anche quella psichica, mentale. Però qui si arriva ad un altra questione ancora. Esiste è esistito ed esisterà sempre un sentimento di solitudine che è caro agli uomini d’intelletto: un poeta, uno scrittore, un pittore, un musicista ed altri che fanno arte non disdegnano lo star soli, anzi lo cercano come lo cerca l’uomo spiritualmente evoluto. Il silenzio, la quiete, quando si riesce a far tacere il carosello di pensieri che attraversano la mente, è quanto mai proficuo perché alimenta la comunicazione col sé profondo e con Dio. Comunicazione, lo sappiamo, è ascoltare e trasmettere, è scambio di contenuti, è dialogo, è anche confronto ma oggi paradossalmente benché cresca sempre più la stragrande varietà di mezzi tecnologici, aumenta l’incomunicabilità tra persona e persona, gruppo e gruppo, popolazione e popolazione. Il risultato? La SOLITUDINE. La chiusura nel proprio guscio, il rifugio nella torre d’avorio, il distacco, la non partecipazione. Rimane come forma degenerante di relazione umana la lotta, la violenza, l’attaccare per non essere attaccati (specialmente in campo politico). Un prete mi disse tempo fa che in fondo si nasce soli e si muore soli. E mi accennava ad una storia d’amore tra due uomini, durata per 20 anni, spezzata per la morte di uno di loro. L’altro era rimasto solo col suo dolore. Certo, niente da obiettare, nelle coppie può verificarsi il distacco della morte. Ma non credo sia questo un valido motivo per restare soli o rifiutare qualsiasi contatto umano nel corso della vita. Anche la vecchiaia, da molti considerata come sinonimo di solitudine, in verità potrebbe essere una fase della vita importante quanto le altre se vissuta con dolcezza, amore e in maniera “attiva”. A volte sento dire da amici sposati (con figli ormai grandi) che loro sono rimasti da soli. Un marito e una moglie… da soli? Ma come può essere!? Andate al cinema, signori, rinnovatevi nel vestiario, sentitevi sempre giovani. Lo scorrere del tempo non vi metta in crisi. Non assecondate il tempo ma andate oltre perché c’è chi, come me, potrebbe sul serio arrendersi eppure non ho assolutamente l’intenzione di farlo perché coltivo la mia anima e imparo giorno dopo giorno a convivere con altre cose un pò sgradevoli, quali la calvizie, le prime rughe, la stanchezza mentale, i malumori improvvisi, le arrabbiature con il o la rompiscatole di turno. È la vita ma è sempre meglio che essere dei solitari, musoni. Poi ben venga anche la poetica solitudine ed infine…mai dire mai!