Blog / Davide Vairani | 23 Febbraio 2018

Le Lettere di Davide Vairani – È troppo chiedere rispetto sui Social Network?

“Mentre passava, Gesù vide un uomo cieco dalla nascita” – Giovanni (cap. 9, 1-41). Gesù passa, vede il cieco e lo guarisce. Considerate quanto fossero diversi in quel momento i pensieri dei suoi discepoli. Gli domandarono: “Maestro, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?”. E quanto fossero diverse le intenzioni dei farisei, che cercavano ogni occasione per accusare Gesù: “Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato”. Al punto che il cieco deve loro ripetere più e più volte ciò che gli era accaduto: “Ve l’ho già detto e non mi avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?”. La dinamica che si svolge tra i tre protagonisti dell’episodio evangelico mi aiuta a tratteggiare qualche flash sulla seconda parola da “riscoprire” nel nostro stare nei social: rispetto.

Non dobbiamo sorprenderci se molti – anche fra quelli che si considerano cristiani – si comportano in modo analogo ai discepoli: spesso la prima cosa che pensano è il male. Senza averne le prove, lo presuppongono. E non solo lo pensano, ma si permettono anche di esprimerlo in pubblico con giudizi avventati. Il comportamento dei discepoli potrebbe essere considerato benevolmente come leggerezza. Ma in quella società – come del resto in quella di oggi, che in questo è cambiata di poco – c’erano altre persone, i farisei, che facevano di questo atteggiamento una norma di condotta.

Quanti falsi profili sui social, in particolare su facebook! Nomi falsi, personalità inventate o improprie che, oltre ad essere un reato perseguibile penalmente, sono alcuni degli accorgimenti facilmente adottabili per arrogarsi la libertà di sputare sentenze senza tribunale contro questa o quella persona, contro questa o quella idea, pensando di restare tranquilli dietro l’anonimato. Vita reale e vita virtuale non si discostano molto: cambiano le modalità e gli strumenti con i quali infangare una persona. I contenuti che si pubblicano sui social sono in grado di raggiungere un numero indefinito di persone (sicuramente molti di più delle maldicenze del passaparola). Ciò si traduce in una vasta visibilità sui social, che però può avere un’accezione negativa nel caso di contenuti non graditi dai destinatari. Ovviamente ciò non vale solo per i contenuti pubblicati: i commenti, che dovrebbero rappresentare un valore aggiunto, spesso si trasformano in un’arma per offendere o accendere quelli che vengono definiti “flame”. Nel gergo delle comunità virtuali come newsgroup, forum, blog, chat, facebook, un flame (dall’inglese “fiamma”) è un messaggio deliberatamente ostile e opprimente, inviato ad uno o più utenti verso un altro individuo specifico (un profilo); flaming è l’atto di inviare tali messaggi, flamer chi li invia, e flame war (“guerra di fiamme”) è lo scambio di insulti che spesso ne consegue, paragonabile a una “rissa virtuale”. Che si moltiplica sempre di più fino allo sfinimento. Facciamo fatica nei social a contare fino a dieci, a non reagire alle provocazioni, soprattutto quando queste sono perpetrare con sistematico accanimento. E allora cediamo alla tentazione di rispondere, ma è come scrivere ad un muro di gomma: non facciamo altro che cadere nel tranello che ci è stato teso. Meglio a volte fare finta di niente, ignorare, oppure, in casi estremi, bannare.

Attacchi sistematici alla buona fama, denigrazione di una condotta irreprensibile: Gesù Cristo soffrì questa calunnia mordace e tagliente e non è strano che certuni riservino lo stesso trattamento a coloro che, pur coscienti delle loro comprensibili e naturali miserie e dei loro errori personali – piccoli e inevitabili, aggiungerei, data l’umana debolezza – tuttavia desiderano seguire il Maestro. Ma la constatazione di questa realtà non deve indurci a giustificare siffatti peccati e delitti – che con sospetta comprensione vogliono chiamare chiacchiere – contro il buon nome di qualcuno. Da dove nasce il giudizio iniquo verso il prossimo? Si direbbe che alcuni hanno sempre davanti agli occhi delle lenti deformanti, che fanno loro vedere tutto storto. Per partito preso, non ammettono che sia possibile l’onestà, o almeno l’impegno costante per comportarsi bene. Tutto in loro è ricevuto – come dice l’antica sentenza – a misura del recipiente, e cioè a misura della loro preconcetta deformazione. Per costoro anche la cosa più onesta nasconde necessariamente una cattiva intenzione rivestita dell’apparenza ipocrita del bene.

Facebook in particolare sta diventando sempre più terreno di propaganda, una continua e perenne “campagna elettorale” delle proprie idee, valutazioni e giudizi. Su tutto. Si calcola siano almeno 30 milioni gli utenti italiani attivi al mese, 24 milioni gli utenti attivi ogni giorno: sempre più adulti e sempre meno ragazzi e giovani (il 21% di età tra i 36-45 anni, il 17% tra i 46 e i 55 anni. Solo il 6% di età tra i 13 e i 18 anni e il 15% tra i 19-24 anni). Il proselitismo sembra essere la mission di troppi, compresi tanti cristiani. Un proselitismo che non ammette libertà di giudizio, dialogo e discussione e – tantomeno – rispetto per le persone e le posizioni difformi. È difficile far capire a queste persone, nelle quali la deformazione diventa quasi una seconda natura, che è più umano e più giusto pensare bene del prossimo. Sant’Agostino dà questo consiglio: “Cercate di acquistare le virtù che secondo voi mancano ai vostri fratelli, e così non vi accorgerete più dei loro difetti, non avendoli voi”. Per alcuni questo modo di fare sarebbe ingenuità. Essi sarebbero invece più “realisti” e più ragionevoli. Erigendo il pregiudizio a norma di giudizio, offendono chiunque prima ancora di averne ascoltato le ragioni. Poi, con “oggettività” e “benevolenza”, concederanno forse all’offeso la possibilità di difendersi: il che va contro ogni morale e ogni diritto, perché, invece di assumersi l’onere di provare le pretese colpe, “concedono” all’innocente il “privilegio” di dimostrare la propria innocenza. Se vi mettere a navigare in facebook anche solo per un’ora vi renderete conto che sono principalmente due i bersagli di invettive senza se e senza ma, responsabili delle peggior nefandezze: il Papa e i cattolici “senza bollino”. Una platea sempre più vasta di catari e gnostici. Solo loro sono “puri” (catari significa appunto “puri”). Erano detti anche Albigesi, dalla città di Albi. Apparvero sulla scena europea all’inizio dell’anno Mille. Lo gnosticismo è stato l’eresia più pericolosa che minacciò la chiesa nei primi tre secoli e che in forme e modi differenti si è sviluppato sino ad oggi. Lo gnosticismo afferma che il corpo è malvagio mentre lo spirito è buono. Data questa convinzione, gli gnostici sono convinti che qualsiasi azione fatta con il corpo, anche la peggiore, non abbia alcun peso, in quanto la vera vita riguarda solo lo spirito. Gli gnostici credono di essere una classe privilegiata in quanto possiedono una conoscenza di Dio più profonda ed elevata. Il peccato dei farisei non consisteva nel non vedere Dio in Cristo, bensì nel chiudersi volontariamente in se stessi, perché non tolleravano che Gesù, che è la luce, aprisse loro gli occhi. Questa cecità ha un’influenza immediata nei rapporti con i nostri simili. Il fariseo che credendosi luce non permette a Dio di aprirgli gli occhi è lo stesso che tratta con superbia e ingiustamente il prossimo: “Io ti ringrazio di non essere come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri; e nemmeno come questo pubblicano”.

Sono molte le tecniche in facebook per esercitare questo fariseismo. Sul web partono dallo spam. Solitamente con la parola spam si definisce la ricezione di numerose email non richieste il cui contenuto non è di proprio interesse. Ma lo spam non si limita alle email. Nei social network il concetto di spam si amplifica. Basti pensare alle costanti richieste ed inviti ad applicazioni ai propri contatti, o al retwit selvaggio. E se non rispondi subisci il tribunale dell’inquisizione. Non solo. L’uso abnorme dei caps lock. Possiamo essere arrabbiati e voler esaltare il nostro stato d’animo, ma in ogni caso non è un buon motivo questo per utilizzare il caps lock (scrivere post o commenti tutto in maiuscolo. Urlare, anche sulla rete, così come nella vita quotidiana oltre lo schermo del pc, non è sintomo di buona educazione. Hastag a go go. Gli hastag sono sì una colla che tiene unite conversazioni e idee, ma è necessario utilizzarli in modo proprio. Utilizzarne troppi o addirittura utilizzare solo hashtag oltre che sbagliato è oltremodo fastidioso. Invadere di immagini. Non ammorbare ogni giorno con immagini, aggiornando lo status con frasi che lasciano intendere che la vostra vita è totalmente asservita ad una idea, una causa, una ideologia. Siete proprio sicuri che sia interessante? Profili che si inseriscono in post altrui e indipendentemente dal tema o dall’argomento di cui si sta discutendo non ti fanno mancare le loro immagini di propaganda del tipo “vota xy”, “la salvezza sta solo in xy”, “non sei cattolico vero se non voti xy”, “Papa Francesco l’Anticristo” e così via. Non rispondi oppure ti permetti di segnalare loro l’inopportunità del loro agire? Se ti va bene, ti attaccano violentemente appioppandoti il patentino di “cattolico annacquato”, “cattolico di facciata” (per stare sulle carinerie riportabili). “Diffondi per favore”: la vostra bacheca si trasforma in breve in un ricettacolo di immagini e contenuti mai cercati e dei quali non sai che fartene. Taggare chiunque. Basta con l’invio di tag a dieci, venti, trenta persone contemporaneamente. Primo perché è frustrante illudersi di aver ricevuto un nuovo messaggio per poi scoprire che è stato indirizzato anche a un’altra ottantina di persone, e poi perché tutti quelli che risponderanno vi intaseranno con contenuti di cui a voi non importa assolutamente nulla.
Di fronte ai negoziatori del sospetto, che dànno l’impressione di organizzare una “tratta dell’intimità”, è doveroso difendere la dignità di ogni persona, il suo diritto al silenzio, a non replicare. E in questa difesa sono d’accordo tutte le persone oneste, cristiane o non cristiane, perché è in gioco un valore comune: la sacrosanta libertà di essere se stessi, di non esibirsi, di conservare un giusto e delicato riserbo circa le proprie gioie, i propri dolori e le pene di famiglia; e soprattutto la libertà di fare il bene senza ostentazione, di aiutare i bisognosi per puro amore, senza vedersi obbligati a pubblicizzare queste opere di servizio agli altri e tanto meno a offrire l’intimità della propria anima agli sguardi indiscreti e obliqui di persone che della vita spirituale non sanno niente e non vogliono saperne niente, se non per prendersene gioco empiamente.

Questa è la vocazione del cristiano: la pienezza della carità. La carità di Cristo non è soltanto un buon sentimento verso il prossimo, non si limita al piacere della filantropia. La carità infusa da Dio nell’anima trasforma dal di dentro l’intelligenza e la volontà, fonda soprannaturalmente l’amicizia e la gioia di compiere il bene. “In qualsiasi uomo – scrive san Tommaso d’Aquino – esiste qualche aspetto per il quale gli altri possono considerarlo come superiore a loro”. Con la virtù dell’umiltà scopriamo che le manifestazioni di rispetto alla persona – al suo onore, alla sua buona fede, alla sua intimità – non sono formalità convenzionali, ma le prime manifestazioni della carità e della giustizia. La carità cristiana non si limita a dare un soccorso economico ai bisognosi, ma si impegna anzitutto a rispettare e a comprendere ogni persona come tale, nella sua intrinseca dignità di uomo e di figlio del Creatore. Pertanto gli attentati alla dignità della persona, alla sua reputazione, al suo onore, stanno a dimostrare che chi li commette non conosce o non pratica alcune verità della nostra fede cristiana. E che comunque non ha un vero amore di Dio. “La carità con cui amiamo Dio e quella con cui amiamo il prossimo sono una sola virtù, perché la ragione di amare il prossimo è appunto Dio, e quando amiamo il prossimo con carità amiamo Dio”.

 

Sono nato il 16 magg­io del 1971 a Soresi­na, un paesino della bassa cremonese. Peccatore da sempre, cattolico per Graz­ia. Laureato per accide­nti in filosofia all­’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, da vent’anni lavoro nel sociale. Se sono cattolico, apostolico, romano lo devo ad un incontro fondamentale con d­on Luigi Giussani che mi ha educato a vi­vere. Vi invito a seguirmi sulla mia pagina Facebook e su web al mio Blog “Scommunity