Le Lettere di Davide Vairani – O Cristo è risorto o il cristianesimo non serve a nulla
“Io credo alla risurrezione di Gesù sulla base di quanto dicono i testi sacri e la predicazione della Chiesa. Credo alla risurrezione, ma non è su di essa che appoggio la ‘mia’ fede, la mia fede ‘interiore’, viva, quella che ripeto a me stesso nella solitudine, in quei momenti nei quali ricerco un punto fermo su cui appoggiarmi per sussistere di fronte alle tempeste del mondo. La risurrezione non è il centro della mia fede personale. L’accetto, mi fido degli antichi testimoni evangelici che ne parlano e della Chiesa che mi ha messo in contatto con loro. Però non lego la mia vita alla risurrezione, non strutturo la mia visione del mondo e il quadro dei miei valori morali a partire da essa. Se domani si ritrovasse un’urna con le ossa di Gesù di Nazaret, per i miei valori e la mia visione del mondo non cambierebbe molto. Continuerei a insegnare ai miei figli a basare la loro vita sul bene e sulla giustizia, continuerei a pensare che il bene e la giustizia sono immortali. Non è perché è risorto che Gesù è il mio maestro. Lo è per le cose che ha detto e per lo stile con cui ha vissuto, per la sua umanità, il suo senso di giustizia”.
Vito Mancuso, “La risurrezione di Gesù e la salvezza degli uomini”, “Il Foglio”, 23 marzo 2008.
La figura di Gesù di Nazareth ha sempre affascinato l’uomo di ogni epoca storica. Ma l’attrazione Gesù si riveste di mille interpretazioni: c’è chi in Lui vede “il rivoluzionario”, “l’uomo buono”, colui che ha insegnato l’amore gratuito, insomma, un esempio da seguire come lo sono tanti uomini illustri che nel corso della storia hanno lasciato un segno per le cose che hanno detto e per lo stile con cui hanno vissuto, per la loro umanità, il loro senso di giustizia, per i valori e l’etica morale che hanno indicato.
Gesù di Nazareth è “solo” questo? Per me, per te, per la tua vita, chi è Gesù?
Il teologo Mancuso – e molti altri che vanno per la maggiore – sostengono che la Resurrezione di Cristo, in fondo, sia una metafora utilizzata per sottolineare la potenza e la forza universale e senza tempo degli insegnamenti di Gesù. “Non lego la mia vita alla risurrezione” – scrive non per caso Mancuso. Se la Resurrezione di Cristo fosse una metafora, il cristianesimo non servirebbe a nulla. A dare il primo impulso alla storia cristiana non c‘è qualcosa che può essere rubricato come soggettivo, non c’è un intuizione perspicace, una teoria geniale, un’esperienza psicologica, una fantasia estetica, una autosuggestione, una elaborazione consolante, non c’è niente di tutto questo, c’è un fatto: Gesù di Nazareth è morto in croce e dopo tre giorni è Risorto ed è apparso ai suoi. I Vangeli, gli Atti degli Apostoli e le Lettere dei suoi discepoli annotano minuziosamente il fatto concreto che Gesù di Nazareth ha vinto la morte ed è Risorto.
Già verso l’anno 56 d.c. San Paolo può scrivere ai cristiani di Corinto: “Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici”(1 Cor 15,3-4). L’Apostolo parla qui della tradizione viva della risurrezione che egli aveva appreso dopo la sua conversione alle porte di Damasco. Sempre San Paolo addirittura si annota la moltitudine di persone che lo hanno visto risorto: 500 persone. “In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. Io infatti sono l’infimo degli apostoli, e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio però sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me. Pertanto, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto.
(1 Corinzi 15:1-11).
Gesù appare risorto almeno 12 volte: Gesù a Maria Maddalena (Matteo 28:1, Marco 16:9-11, Giovanni 20:11-18); Gesù alle altre donne (Matteo 28:1); Gesù a due discepoli (Cleofa ed un altro) sulla strada di Emmaus (Marco 16:12-13, Luca 24:13-32, Giovanni 24:33-35, 1 Corinzi 15-5); notizia dell’apparizione di Gesù a Simon Pietro (Luca 24:33-35, 1 Corinzi 15:5); Gesù agli attoniti discepoli con un mandato – assente Tommaso – (Marco 16:14, Luca 24:36-43, 1 Corinzi 15:5); Gesù ai discepoli la domenica dopo, di notte (Giovanni 20:26-31); Gesù a sette discepoli presso il mare di Galilea (Giovanni 21:1-25); Gesù agli 11 discepoli su un monte in Galilea (Matteo 28:16-20, Marco 16:15-18); Gesù appare a circa 500 persone su un monte in Galilea, (1 Corinzi 15:6); Gesù appare al fratello Giacomo, (1 Corinzi 15:7, Galati 1:9); Gesù appare ai discepoli con un altro mandato (Luca 24:44-49 e Atti 1:3-8); Gesù appare ai discepoli con un altro mandato (Luca 24:44-49 e Atti 1:3-8). Metafore? Invenzione di pochi discepoli delusi dalla sua morte che costruiscono il mito del Cristo Risorto? Questa è la pretesa del cristianesimo: Cristo è Risorto duemila anni fa’ come oggi, adesso, qui, ora!. Pretesa fatta di valori, idee, etica? Se fosse vana questa pretesa, del cristianesimo non me ne faccio nulla: non ho bisogno solo di valori cui tendere, semplicemente perché sono fragile, pieno di peccato, e non basta lo sforzo di ragione e di volontà per essere buono, bravo, pio. Mi serve di più: la Grazia del Cristo Risorto, la Presenza di Cristo Risorto ora! La mia fede si poggia ragionevolmente su quelle persone che lo hanno visto con i loro occhi, toccato con le loro dita, che hanno mangiato con lui Risorto. E con tutta la schiera dei santi che da allora sino ad oggi hanno sperimentato nella loro vita un gusto di vita nuova grazie al riconoscimento della Sua Presenza viva e concreta. Tutto questo è assurdo, senza ragione? No, è ragionevole. Solo la saldezza del fatto di ciò che avvenne poteva supportare un ritorno accettato sulla scena di colui che, al cospetto di tutti, era stato sconfitto, umiliato, annientato fino alla morte e alla morte di croce. Solo un ritorno fisico palpabile del corpo vivo poteva vincere il trauma di quel cadavere scrutato con occhi inorriditi. Ogni altra forma di ritorno o rinvenimento non avrebbe cambiato niente, un Gesù che sarebbe stato uno spettro non avrebbe raggiunto lo scopo. Lo scrittore Vittorio Messori annotava: “Per nessun ebreo una Resurrezione senza corpo soltanto spirituale poteva avere alcun significato, era addirittura impensabile, per convincersi eventualmente di un simile fatto un ebreo aveva bisogno di toccare un corpo”. Coloro che colgono all’origine della fede un equivoco psicologico, una visione, un fantasma non sanno, che un ebreo non è un greco per la quale la sola immortalità è quella dell’anima, un ebreo autentico dice Messori era Tommaso, il quale disse che “se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato non crederò”. Questa era la mentalità che poteva essere vinta solo da un fatto concreto. Il racconto evangelico è inequivocabile a questo proposito, finché credevano di vedere un fantasma, gli apostoli potevano essere soltanto stupiti e spaventati, non certo credenti e tanto meno testimoni, perciò il risorto è quasi obbligato ad esibire le prove del suo nuovo essere. Il cristianesimo sin dal suo contenuto primordiale è qualcosa di unico di decisivo e imparagonabile. Perché il cristianesimo prima ancora di una religione, una morale, un culto, una filosofia è l’avvenimento della Resurrezione di Gesù di Nazareth che si fa principio del rinnovamento degli uomini e delle cose. Questa è la ragione per cui il cristianesimo non potrà mai tramontare perché le dottrine nascono, fanno cultura, incantano per decenni, magari per secoli, poi decadono e muoiono. Il fatto cristiano resta perché, è il fatto, e resta indipendentemente dall’accoglienza e dal numero delle adesioni che riceve.
Questo è il vero problema della mentalità contemporanea, anche dentro la Chiesa. Don Giussani, in una intervista del 1997, supplicava di non conformarsi allo spirito del tempo.
“La cosa più terribile mi pare essere una concezione che sganci la divinità di Cristo dalla Sua umanità: l’abolizione della sottolineatura della dimensione storica dell’avvenimento cristiano, infatti, comporta l’annullamento della sua ragionevolezza e umanità. Gesù diventa una figura del passato o una delle tante vie del cammino religioso dell’uomo. Praticamente, poi, la vita appare definita da un volontarismo etico, essendo la carità ridotta a generosità o ‘volontariato’ come azione suplettiva a quella del potere.Tutto questo ha come origine una fede ridotta a spiritualismo, a moto interiore (soggettivismo). Paolo VI accusava l’introduzione di un ‘pensiero non-cattolico’ dentro la Chiesa. Si trattava di un allarme a riguardo di un incipiente svuotamento dall’interno della natura e del metodo del fatto cristiano. L’esito è quello indicato: Gesù Cristo ridotto a un flatus vocis, a parola astratta. Non più dunque l’avvenimento storico di Gesù di Nazareth morto e risorto, presente qui ed ora nella sua umanità nella Chiesa, suo corpo misterioso, ma, al massimo, una favola carica di insegnamenti etici. Mentre la resurrezione di Cristo è un fatto” -“Non conformatevi”, intervista a Luigi Amicone in “Tempi” n. 29, 3 Settembre 1997.
Nel riconoscimento di questo sta o cade la possibilità di una testimonianza cristiana nel mondo di fronte ai fratelli uomini che gridano confusamente l’esigenza di una risposta all’infinita fatica del vivere. Certo, l’epoca moderna ha preteso annullare questa fatica del vivere promettendo all’uomo la riuscita dei propri desideri a prescindere dal riconoscimento che il Mistero solo fa tutte le cose. E anche tra cristiani si è fatto strada il pensiero che una forte sottolineatura dell’etica fosse sufficiente a vivere nella giustizia e nella verità, quasi resistendo al ‘mondo’con la risorsa della propria fragile volontà. Non è stato così: infatti la sottolineatura dell’etica finisce solo con l’avvalorare i principi via via definiti come morali dal potere in una determinata epoca. L’epoca che più di ogni altra sembra definita da una trascuratezza e da una dimenticanza di che cosa sia la natura elementare dell’uomo è proprio quella che stiamo vivendo, con una pretesa dello Stato di stabilire limiti e possibilità della speranza terrena per l’uomo: ma è proprio questa l’epoca della libertà. Da dove ripartire, infatti, per ricostruire quelle che Eliot chiamerebbe “città distrutte”? Dalla fragile creatura in quanto diviene generatrice di popolo, e quindi storia. E l’uomo è innanzitutto libertà; il Mistero stesso lo ha creato libero. Infatti solo la libertà riconosciuta come dipendenza, come rapporto diretto col Mistero, è inattaccabile, cioè inassimilabile, da qualsiasi potere. Per questo auspico il moltiplicarsi di incontri tra personalità che conservano un impeto autenticamente umano, cioè proporzionato alla loro natura, personalità la cui identità sia chiaramente riconosciuta e comunicata possono insieme collaborare in vista di un bene maggiore. Diversamente, la convinzione che per assicurare un pluralismo nella società si debba mettere tra parentesi la propria identità non ha speranza di riuscita. Questa, piuttosto, genera una intolleranza indifferente al destino dell’altro, che sfocia inevitabilmente, presto o tardi, in violenza.
Sono nato il 16 maggio del 1971 a Soresina, un paesino della bassa cremonese. Peccatore da sempre, cattolico per Grazia. Laureato per accidenti in filosofia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, da vent’anni lavoro nel sociale. Se sono cattolico, apostolico, romano lo devo ad un incontro fondamentale con don Luigi Giussani che mi ha educato a vivere. Ho collaborato con “La Croce”, quotidiano digitale diretto da Mario Adinolfi. Vi invito a seguirmi su Facebook e su web al mio Blog “Direzioneversoest”