Blog / Davide Vairani | 03 Ottobre 2017

Le Lettere di Davide Vairani – Io non sono degno

Capita di distrarsi durante la Santa Messa. A me succede spesso. Ma c’è un momento preciso nel quale mi desto e mi prende uno struggimento. Esattamente lì, quando il sacerdote alzando l’Ostia pronuncia la frase: “Beati gli invitati alla Cena del Signore. Ecco l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo”. E siamo chiamati a rispondere: “O Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa: ma di’ soltanto una parola e io sarò salvato”. Abbasso gli occhi: non sono degno.La traduzione in lingua italiana non rende fino in fondo. La messa celebrata secondo il rito del Messale promulgato da Papa Paolo VI in latino usa una formula differente. Il sacerdote si genuflette, prende l’ostia frazionata e consacrata nella stessa Messa, e tenendola alquanto sollevata sulla patena, rivolto al popolo (se celebra orientato), dice ad alta voce: “Ecce Agnus Dei, ecce qui tollit peccata mundi. Beati qui ad cenam Agni vocati sunt”. E continua, dicendo insieme con il popolo: “Domine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum, sed tantum dic verbo, et sanabitur anima mea”. Il fedele si prepara alla comunione proclamando non una sola volta ma per ben tre volte la propria indegnità, precisamente con queste parole: “O Signore, non sono degno che tu entri nella mia casa, ma dì soltanto una parola ed io sarò salvato”. L’espressione “nella mia casa” (o “tetto”, a seconda della traduzione in italiano che si voglia) rispetto a partecipare alla tua mensa è sicuramente più fedele a ciò che in quel momento sta accadendo: l’Eucaristia non è semplicemente una mensa, ma l’entrata di Gesù – vero e vivo – nel fedele. C’è davvero da restare a bocca aperta, come i bambini di fronte ad un fatto stra-ordinario, fuori dall’ordinario. Per questo motivo mi piace pronunciarla alla vecchia maniera, alla latina. È la stessa identica frase che troviamo infatti nel Vangelo di Matteo (8,8): sono le parole che il centurione rivolge a Gesù, non appena il Signore gli aveva detto che sarebbe venuto a casa sua per guarire il suo servo malato.

“In quel tempo, entrato Gesù in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: ‘Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente’. Gli disse: ‘Verrò e lo guarirò’. Ma il centurione rispose: ‘Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: ‘Va’!’, ed egli va; e a un altro: ‘Vieni!’, ed egli viene; e al mio servo: ‘Fa’ questo!’, ed egli lo fa’. Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori, nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti’. E Gesù disse al centurione: ‘Va’, avvenga per te come hai creduto’. In quell’istante il suo servo fu guarito. Entrato nella casa di Pietro, Gesù vide la suocera di lui che era a letto con la febbre. Le toccò la mano e la febbre la lasciò; poi ella si alzò e lo serviva. Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la parola e guarì tutti i malati, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa: ‘Egli ha preso le nostre infermità e si è caricato delle malattie’”. Mt 8,5-17

È una delle più grandi manifestazioni di fede che troviamo nel Vangelo, come lo stesso Gesù riconosce. Per questo la liturgia la prende, mantenendola nella sua espressione singolare, proprio per mantenere questo riferimento evangelico alla fede del centurione. Davanti alla comunione che stiamo per ricevere, ci vengono poste sulla bocca le parole di quest’uomo. Un pagano. Ha visto qualcUno di stra-ordinario, fuori e oltre tutto ciò che nella sua vita aveva visto, e ha creduto. L’Eterno è entrato in questa vita.

La certezza cristiana non è l’esito di una riflessione, una presa di coscienza della verità eterna del cristianesimo. La certezza cristiana ha tutt’altra dinamica. Nessuno diventa cristiano e cresce nella certezza della fede per una spiegazione, per una riflessione sulle verità cristiane, ma solo per l’incontro con la presenza gratuita di Gesù Cristo vivo. L’inizio è sempre un impatto estetico con qualcosa di bello da vedersi, che attrae. Penso che sia da notare il fatto che Gesù, ai primi che incontrava, diceva: “Seguimi”. Non diceva loro: “Ascolta le verità che ti dirò e rifletti su di esse”. Ha detto solo di seguirlo. Non si può seguire un’idea, si può seguire solo una presenza umana che ha destato interesse. Se non c’è prima un incontro così, che suscita un interesse, lo sforzo per spiegare le ragioni del cristianesimo cade nel vuoto, o rischia addirittura di apparire come una pretesa.

C’è una frase di san Gregorio di Nissa: “I concetti creano gli idoli, solo lo stupore conosce”. Lo stupore del centurione, lo stupore del fatto che ogni giorno Cristo entra in noi nell’Eucarestia. È quello che è accaduto agli apostoli: la convivenza con Gesù è stata un’esperienza così. La loro certezza è germogliata, fiorita e cresciuta solo dentro un’attrattiva destata da una presenza reale, uno stupore che si ripeteva e cresceva nel tempo della loro convivenza con Gesù. Come dice sant’Agostino: “Non cognoscitur nisi per amicitiam”, non si conosce se non per amicizia. Hanno conosciuto Gesù perché, stupiti della sua presenza, hanno vissuto con lui e così sono diventati suoi amici. Questo si vede bene nei racconti della resurrezione. Gesù risorto, quando incontra i suoi, non fa grandi discorsi e non li sprona al pensiero, alla riflessione per trovare il senso. Gesù non fa nessun discorso della montagna, non aggiunge nessuna parabola dopo la resurrezione. Quando Gesù arriva, dice semplicemente “eccomi”, “sono qui”. Dallo stupore degli apostoli davanti alla sua presenza sensibile dopo la Pasqua, che rinnovava nel tempo in maniera più grande lo stupore dei primi incontri, è cominciata la fede del mondo.

Non sum dignus: lo struggimento di fronte al Mistero di Cristo che Risorto mi ama, nonostante io sia un niente. Quella carezza del Nazareno che sola può renderti il cuore lieto.

“Io non sono degno di ciò che fai per me:
Tu che ami tanto uno come me,
vedi non ho nulla da donare a Te,
ma se Tu lo vuoi prendi me.
Sono come la polvere alzata dal vento‚
sono come la pioggia caduta dal cielo‚
sono come una canna spezzata dall’uragano
se Tu, Signore, non sei con me.
Io non sono degno di ciò che fai per me:
Tu che ami tanto uno come me,
vedi non ho nulla da donare a Te,
ma se Tu lo vuoi prendi me.
Contro i miei nemici Tu mi fai forte‚
io non temo nulla e aspetto la morte‚
sento che sei vicino, che mi aiuterai‚
ma non sono degno di quello che mi dai.
Io non sono degno di ciò che fai per me:
Tu che ami tanto uno come me,
vedi non ho nulla da donare a Te,
ma se Tu lo vuoi prendi me”

Claudio Chieffo, Io non sono degno

 

Sono nato il 16 magg­io del 1971 a Soresi­na, un paesino della bassa cremonese. Peccatore da sempre, cattolico per Graz­ia. Laureato per accide­nti in filosofia all­’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, da vent’anni lavoro nel sociale. Se sono cattolico, apostolico, romano lo devo ad un incontro fondamentale con d­on Luigi Giussani che mi ha educato a vi­vere. Collaboro con “La Croce”, quotidiano di­gitale diretto da Ma­rio Adinolfi. Vi invito a seguirmi su Facebook alla pagina che gestisco e su web al mio Blog