Blog / Ciro Di Sarno | 30 Luglio 2017

Cartolina da Ischia – Manet contro Tiziano: quando il pretesto si fa discriminazione.

E.Manet, Olympia (1863). Olio su tela, m1,30 x 1,90). Parigi , Musée d’Orsay.

“Quando l’arte scende ad un livello così basso non merita neppure il disprezzo” (Le Presse,1865). “Davanti al quadro di Manet scoppia un’epidemia di pazze risate” (Moniteurs des Arts, 1865). Ma di quale quadro si tratta? E perché tali giudizi così irriverenti, pubblicati oltre un secolo e mezzo fa? Andiamo con ordine! Nel 1865 Edouard Manet, padre dell’Impressionismo ai primi vagiti, espose al Salon del Louvre di Parigi, la sua opera oggi più nota: “Olympia” che istantaneamente divenne uno tra i più clamorosi scandali artistici di tutto il XIX secolo. Per evitare che il quadro fosse preso di mira da malintenzionati, si misero due poliziotti a guardia dell’opera finché non la si cambiò di posto, collocandola nel punto più alto dell’ultima galleria del Salon. E’ vero che con la pittura di Manet e prima di lui, con la fertile corrente realista di Millet e di Courbert, una nuova concezione della forma e del colore, mise in crisi il criterio visivo sino ad allora congeniale al “pubblico colto” che affollava le gallerie d’arte e gli ateliers. E’ vero altresì, che si era lontani da quella duttilità ed ampiezza della percezione, che aprirà la strada all’arte moderna e, tuttavia, ciò non giustificava una così feroce reazione alla “Olympia” di Manet. Qualcosa di più viscerale ed indefinito era in ballo in quel fatidico 1865 nel Salon del Louvre di Parigi.
Chi è Olympia? Una prostituta e molti sono gli elementi pittorici che legano la conturbante signora alla sua professione. Innanzitutto il gatto nero ritto sulle quattro zampe ai piedi del talamo, è il primo richiamo alla indipendenza della donna. Il corpo, nudo nella sua giovane floridezza, è coperto solo dalla mano sinistra che si apre sul pube ed al contempo, pare serrarlo quasi a chiedere un possibile contraccambio. Unici accessori sono: l’orchidea nei capelli, il braccialetto al polso destro, gli orecchini di perle ed un nastrino nero al collo che, nell’insieme, accrescono il fascino provocatorio della ragazza. Ed ancora, l’omaggio floreale che la governante gli porge quasi toccandogli le gambe, è ignorato da Olympia che guarda diritto negli occhi l’osservatore. E’una dichiarazione di totale indipendenza: Olympia non si concede ad un solo uomo; non contraccambia un solo amore; non si degna di ricevere l’omaggio floreale che quasi disprezza. Ha lo sguardo imperturbabile, la testa eretta e dichiara con sfrontatezza, la sodezza e la generosità del suo giovane corpo. E’ distesa, flessuosa, su di un morbido letto ed un gran cuscino gli sorregge il busto che si porge all’osservatore con i seni invitanti. Un velo raffinato arricchisce quel talamo da meretricio, che i panneggi delle tende sembrano isolare dal mondo circostante. Olympia, pseudonimo comune tra le prostitute di allora, ignora la morale ipocrita borghese che allignava nella più parte dei visitatori del Salon. Ella si rivolge agli osservatori parlandogli del proprio universo velato, fascinoso, proibito; suscita negli uomini un imbarazzato desiderio ed una viscerale irritazione nelle donne.

Tiziano, Venere di Urbino (1538. Olio su tela, m 1,20 x 1,65. Firenze, Uffizi.

Vi sono precedenti nella Storia dell’arte? Innumerevoli! Tra i tanti, il rimando più immediato è senza dubbio la celebre “Venere di Urbino” di Tiziano, di ben più di tre secoli antecedente. Manet ne ha riprodotto l’iconografia quasi esattamente, con l’eccezione di taluni particolari di fondamentale importanza. La Venere del Maestro Veneziano (nacque a Pieve di Cadore), ha ai suoi piedi un cagnolino acciambellato e dormiente, simbolo di fedeltà domestica. Il suo corpo morbido e giovane è completamente nudo e come Olympia, ha le gambe accavallate. La mano sinistra della Venere si porta a coprire il pube, tuttavia, le dita sono raccolte e flesse e scoprono in parte il pube stesso, alludendo ad una generosità nel donarsi nell’amplesso carnale. Una piccola ghirlanda floreale è il dolce pegno d’amore dell’amato, che la Venere guarda mentre si allontana al di qua della tela. Solo un braccialetto privo di fronzoli gli adorna il polso sinistro. Il tendaggio si apre su di un’ampia stanza, dalla lussuosa architettura, e sullo sfondo, due governanti sistemano il corredo entro ricchi bauli, sottolineando la condizione di sposata della giovane donna o, comunque, quella di una fedele amante riccamente sostenuta dal proprio facoltoso ed appassionato amato. Anche la Venere di Tiziano guarda l’osservatore, ma il suo è un atteggiamento di dolce passività e sottomissione. La Venere di Urbino è un simbolico richiamo all’amore coniugale o comunque, all’amore clandestino ma fedele, dolce e gratuito laddove, Olympia è un simbolico riferimento all’amore mercenario, interessato, algido ma intriso di una carnalità seducente. Della Venere si gode della grazia che emana, ancor prima della elegante sensualità che pur risveglia i sensi, spingendoli con delicatezza verso l’apoteosi dell’amplesso. Di Olympia, invece, si gode dell’immediatezza della sua prorompente carnalità che stordisce i sensi, prima di avvilupparli nell’intimità erotica della sua invitante alcova. Due donne così diverse eppure così simili.
Anche la tela del Maestro Veneziano dovette suscitare scalpore ai suoi tempi, ma la ferocia delle contumelie riservate al capolavoro di Manet non ha precedenti. Perché questa crudele discriminazione tra Olympia e la Venere? Quale il pretesto che fa da copertura al viscerale livore che i benpensanti di metà Ottocento, riversarono copioso sul giovane corpo della prostituta parigina? La critica artistica, lo abbiamo già detto, è una flebile motivazione. E’ vero che l’Impressionismo, così come qualsiasi novità nel mondo dell’Arte, faticò non poco per affermarsi, tuttavia, su Olympia pesa gravemente il marchio d’infamia. E’ una donna sfrontata che non teme il giudizio; è indipendente in un mondo ferocemente maschilista; non viene a compromessi né tantomeno, mostra incertezze. Il suo sguardo “fulmina” l’osservatore e fa a pezzi il suo perbenismo. La nudità carnale di Olympia mette a nudo l’ipocrisia dell’anima delle signore pavoneggianti nei propri abiti alla moda. Quelle signore detestano l’indipendenza della dolce prostituta parigina solo perché non possono assaporare la medesima libertà di pensare, di esprimersi, di desiderare. Sono donne che ardono di desiderio che, al contempo, è temuto più di ogni altra cosa. Bigotte impellicciate che annusano l’altrui carnalità vomitandola come corpo estraneo.
La belluina discriminazione riservata ad Olympia, è figlia della paura dell’incerto, del promiscuo, dell’indefinito. E’ la stessa discriminazione riservata ad ogni “diverso” di ogni tempo, che si fa alter ego riflesso prepotentemente dalle fobie che ci portiamo dentro. Ieri Olympia, oggi il “popolo dei barconi”, i malati senza destino, i vecchi senza speranza. Ieri Olympia, oggi i diversamente abili, i secchioni, i feti non desiderati. Ieri Olympia, oggi tutti coloro che ci fanno paura

Salve, sono Ciro Di Sarno e vivo ad Ischia, una delle isole più belle al mondo. Venite a trovarmi e vi racconterò il resto della mia vita