Agi – Padre Kolbe e don Puglisi primi martiri della carità
Il recente Motu Proprio di Papa Francesco che stabilisce un’altra via di santificazione accanto ai tradizionali modi del martirio e della “eroicità delle virtù” è un altro tassello verso la svolta che il vescovo di Roma sta imprimendo alla Chiesa. Con “Maiorem hac dilectionem” il Papa canonizza il donare la propria vita con amore: naturalmente questa legge esiste da sempre nel Vangelo ma l’azione del Papa la manifesta con una particolarissima sottolineatura.
Massimiliano Kolbe primo “martire della carità”
Il martire tradizionale è quello che alla richiesta di abiurare Cristo “pena la morte”, preferisce morire piuttosto che abiurare. Per Massimiliano Kolbe, che è martire, Giovanni Paolo II istituì un nuovo “tipo” di martirio: il “martirio della carità”. E cioè la possibilità di testimoniare con valore anche canonico che si ama Dio dando la vita agli altri fino alla morte. Non più quindi necessariamente il dire “lo faccio per Cristo” ma il dire “lo faccio per l’uomo” perché se amo l’uomo lì trovo Gesù. Kolbe, secondo un testimone, prima di entrare nella cella della morte aveva mormorato alla guardia “lei non ha capito nulla della vita: l’odio non serve a niente. Solo l’amore crea!“.
Dove c’è amore c’è sempre Dio
Il sacerdote polacco non è stato l’unico “martire della carità” ma Papa Francesco, con questa sua disposizione, ha voluto enfatizzare ciò che era già implicito: che il semplice offrire la vita per gli altri è un fatto di santità, è santità, perché è amore e dove c’è amore c’è sempre Dio. A volte l’amore non sarà l’unica componente di quella azione ma non possiamo sbagliarci: ogni volta che c’è amore lì c’è Dio. E, perché ci sia Dio, non c’è bisogno che chi ama “sappia” che Dio c’è: come per la forza di gravità, non c’è bisogno di essere Newton per viverla nella nostra vita. Anche se c’è bisogno di essere Newton (o di più) per mandare l’uomo sulla Luna.
Anche don Puglisi “martire della carità”
Uno degli esempi che è stato fatto per chiarire il recente Motu Proprio è quello di don Pino Puglisi, che è già beato e lo è proprio in forza del “martirio della carità”: egli, da prete, combatteva la mafia affogandola nel bene della sua attività pastorale. Quando Gaspare Spatuzza gli sparò alla nuca don Pino sorrise e disse non “muoio per Gesù” ma un ben più prosaico “me lo aspettavo”. Ma in questa prosa Papa Francesco riconosce che c’era implicitamente “muoio per Gesù”.
I 343 pompieri delle Torri gemelle
Il vescovo di Roma perciò con il suo decreto canonizza in potenza tutti quelli che danno la vita per gli altri correndo il rischio di morire. Tutti quelli che vanno fino in fondo nel loro dovere, nella loro missione, in ciò che ritengono essere il senso e la giustificazione della loro vita. Mi vengono in mente i 343 pompieri che l’11 settembre 2001 diedero la vita per salvare moltissima gente intrappolate tra le fiamme dell’attentato delle Torri Gemelle. Furono loro a salire in cima, a entrare e rientrare tante volte per cercare di salvare vite umane. E sapendo benissimo che era a prezzo della loro, 343 volte a prezzo della loro.
Santità è dare la vita per gli altri
Io davvero penso che la giornata di martedì 11 luglio sia stata, in un certo modo, il primo passo della Chiesa per dire che gente così, come i pompieri di New York, è santa. Perché la santità è dare la vita per gli altri. Come dice il primo versetto del vangelo citato dal Motu Proprio “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici” (Gv 15, 13).