Le Lettere di Renato Pierri – Il piccolo Charlie direbbe: “Lasciatemi andare alla casa del Padre”
Non so come andrà a finire l’angosciosa vicenda del piccolo Charlie Gard. Io credo che se quel bimbetto gravemente malato e sofferente potesse parlare, direbbe ai genitori e a tutti coloro che vogliono protrarre i giorni dei suoi patimenti, le stesse parole che ebbe a dire un uomo vecchio, gravemente malato e sofferente: “Lasciatemi andare alla casa del Padre”. Per lo più, a non volere si interrompano le cure al piccolo malato, sono persone cattoliche e persone con idee politiche di destra. nell’Antico Testamento si legge: “Sono io che do la morte e faccio vivere” (Dt 32,39); “Il Signore dà la morte e dà la vita, fa scendere agli inferi e ne fa risalire” (1Sm 2,6). La Chiesa si appella a versetti come questi per affermare: “La vita e la morte dell’uomo sono, dunque, nelle mani di Dio, in suo potere”; “Morire per il Signore significa vivere la propria morte come atto supremo di obbedienza al Padre, accettando di incontrarla nell’«ora» voluta e scelta da lui, che solo può dire quando il cammino terreno è compiuto (cf Evangelium vitae, 67). Ora, se c’è un Dio creatore ed una creazione, è ovvio che questa dipenda da Dio, ma non è altrettanto ovvio che sia Dio a “decidere” di dare la vita e la morte ad ogni individuo. Il concetto non solo non trova seria rispondenza nelle Scritture, ma è contraddetto dalla ragione e dalla nostra esperienza. Si pensi ad un concepimento a seguito di stupro, agli aborti spontanei, alle morti premature, accidentali, ecc. Non possiamo pensare che sia Dio a prendere simili “decisioni”. Che idea dovremmo farci del Creatore?Un signora, sul blog “Come Gesù” del prete e scrittore Mauro Leonardi, racconta la storia della sua bimba che morì dopo 18 giorni dalla nascita a causa di “una cardiopatia congenita, che nella sua specificità fu definita rarissima (quattro casi al mondo)”. E, in perfetta buona fede ovviamente, senza rendersene conto, fa un’affermazione che alle mie orecchie suona come un’offesa a Dio. Scrive: “Stare per 18 giorni di fronte a quella croce è stata per me un’esperienza radicale, di Amore. Ho capito che quella bimba non era mia, che non era dei medici, che era lì solo perché il buon Dio l’aveva messa lì e chiedeva a tutti di starle accanto accompagnandola al suo destino. Un pezzo di Cielo nella infinita miseria delle nostre vite. E chi ha fatto quella esperienza con noi ha visto quanta potenza di Amore possa emanare un bimbo morente”. Belle parole, ma l’errore gravissimo è attribuire a Dio la malattia e la morte della piccola. Perlomeno questo si capisce.Per fortuna la signora non ritiene che il piccolo Charlie debba essere tenuto in vita a tutti i costi, però la tentazione di molti cristiani a mio parere poco cristiani, è di protrarre il più possibile la loro “esperienza di Amore”, mettendo in secondo piano le sofferenze del malato senza speranza, che sicuramente vorrebbe essere lasciato in pace.