Le Lettere di don Sergio – Passione e sentimenti
Abbiamo visto nell’articolo precedente che le facoltà specificamente umane sono l’intelligenza, la volontà e la libertà. Qual è dunque il posto delle passioni e dei sentimenti?
L’antropologia cristiana non nega l’importanza di queste espressioni della sensibilità umana, ma le inserisce all’interno di un ordine naturale che orienta tutto l’essere umano con le sue caratteristiche fisiche, psichiche e spirituali verso il suo fine ultimo che è la gloria di Dio.
L’interazione tra la luce naturale dell’intelligenza, la tendenza naturale verso il bene, la consapevolezza della propria libertà, l’ascolto della Parola di Dio, le ispirazioni dello Spirito Santo ed il giudizio interno della propria coscienza portano a riconoscere il valore “relativo” di ciò che viene percepito come piacevole dalla sensibilità, se contemporaneamente non viene riconosciuto come vero, come bene, come libero e come corrispondente alla Volontà di Dio e all’ispirazione dello Spirito Santo.
Riporto i punti del Catechismo corrispondenti a questo tema:
Per sentimenti o passioni si intendono le emozioni o moti della sensibilità, che spingono ad agire o a non agire in vista di ciò che è sentito o immaginato come buono o come cattivo. Le passioni sono componenti naturali dello psichismo umano; fanno da tramite e assicurano il legame tra la vita sensibile e la vita dello spirito. Nostro Signore indica il cuore dell’uomo come la sorgente da cui nasce il movimento delle passioni. Le passioni sono molte. Quella fondamentale è l’amore provocato dall’attrattiva del bene. L’amore suscita il desiderio del bene che non si ha e la speranza di conseguirlo. Questo movimento ha il suo termine nel piacere e nella gioia del bene posseduto. Il timore del male causa l’odio, l’avversione e lo spavento del male futuro. Questo movimento finisce nella tristezza del male presente o nella collera che vi si oppone. (CCC 1763-5)
Le passioni, in se stesse, non sono né buone né cattive. Non ricevono qualificazione morale se non nella misura in cui dipendono effettivamente dalla ragione e dalla volontà. […] E’ proprio della perfezione del bene morale o umano che le passioni siano regolate dalla ragione. Non sono i grandi sentimenti a decidere della moralità o della santità delle persone; essi sono la riserva inesauribile delle immagini e degli affetti nei quali si esprime la vita morale. Le passioni sono moralmente buone quando contribuiscono ad un’azione buona; sono cattive nel caso contrario. La volontà retta ordina al bene e alla beatitudine i moti sensibili che essa assume; la volontà cattiva cede alle passioni disordinate e le inasprisce. Le emozioni e i sentimenti possono essere assunti nelle virtù, o pervertiti nei vizi. Nella vita cristiana, lo Spirito Santo compie la sua opera mobilitando tutto l’essere, compresi i suoi dolori, i suoi timori e le sue tristezze, come è evidente nell’Agonia e nella Passione del Signore. In Cristo, i sentimenti umani possono ricevere la loro perfezione nella carità e nella beatitudine divina. La perfezione morale consiste nel fatto che l’uomo non sia indotto al bene soltanto dalla volontà, ma anche dal suo appetito sensibile, secondo queste parole del Salmo: “Il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente”.(CCC 1767-70)
Questi punti del Catechismo mostrano come nelle azioni umane buone sia auspicabile un’armonia tra libertà, intelligenza, volontà e sensibilità; armonia che talvolta, a causa delle conseguenze del peccato originale, non si realizza con facilità e per questo possono sorgere conflitti interiori, che però costituiscono quella sana “lotta interiore” che cristianamente non può essere definita “repressione”.
Il collegamento non necessario tra il vero bene e le emozioni piacevoli, viene spesso ampiamente semplificato o sottaciuto dalla letteratura, dal cinema e dalla televisione. Quando si vuole dare un giudizio morale buono nei confronti di una certa situazione, risulta molto più coinvolgente descriverla con emozioni e sentimenti forti.
Il vero bene normalmente, anche se non necessariamente subito, procura anche emozioni e sentimenti piacevoli, ma non sempre è vero il contrario. Viceversa la semplificazione di mostrare un collegamento quasi automatico tra bene ed emozione piacevole risulta essere acquisito acriticamente, senza rendersi conto che esso è frutto di una decisione dell’autore che, o ha inventato la storia, o comunque ha scelto una situazione realmente accaduta, ma il cui valore morale non necessariamente è coerente con l’emozione descritta.
La continua riproposizione di situazioni di vita, con impliciti giudizi morali su di esse, attraverso il cinema e la televisione, influenza notevolmente la valutazione morale della gente: è una morale non enunciata attraverso giudizi o leggi, ma veicolata attraverso comportamenti che vengono implicitamente elogiati in quanto piacevoli, emozionanti, di successo, di moda.
Raccontare una storia coinvolgente, esaltando le emozioni del protagonista, è il modo classico per insegnare una morale senza essere tacciati di moralismo. Non dimentichiamo che anche Gesù insegnava in parabole. Ma al giorno d’oggi quali “parabole” ascoltiamo continuamente, e, soprattutto, quale morale viene esposta implicitamente? Tanti autori, anche tra quelli che poi si proclamano ufficialmente cristiani, espongono tutt’altro che la morale della Chiesa.
Un altro modo più raffinato di veicolare giudizi morali è quello della statistica, dell’indagine sociologica, del che cosa fa o che cosa pensa la gente comune. Anche in questi casi non si parla esplicitamente di morale, ma viene dato come indiscutibile che, raggiunte certe percentuali, una certa azione è “normale”, quindi naturale, quindi giusta, quindi “chi sei tu per dire che non è buona?”
Non si tratta di essere pessimisti od ottimisti, si tratta, per un cristiano, di riconoscere che la moralità di un’azione è altro rispetto al sentimento o alla “normalità statistica”; è il giudizio sul riconoscimento che la volontà è orientata al bene vero, che talvolta può non essere il più piacevole, né il più frequente dal punto di vista statistico. Si tratta di riconoscere che il giudizio morale sull’azione richiede riflessione, ricerca sincera della verità, coerenza di vita.
Don Sergio Fumagalli è nato nel 1957 ed è diventato presbitero il 21 maggio 2005. Attualmente è vicario nella Parrocchia di San Giovanni Battista in Collatino a Roma. Ha un suo sito
Ricordo che anche per “L’angolo del teologo” vale ciò che vale per ogni Lettera, e cioè che l’autore è l’unico responsabile di quanto ha scritto.