Blog / Le Lettere dal carcere | 03 Maggio 2017

Le Lettere dal carcere – La domanda di una sconosciuta ad un ergastolano semilibero

Questa mattina, arrivato nella struttura della Comunità Papa Giovanni XXIII dove svolgo da semilibero la mia attività di volontariato, di sostegno scolastico e di attività socio-ricreative a bambini e adulti con handicap fisici e non vedenti, ho acceso il computer. Nella mia casella di posta ho trovato, da una sconosciuta, questa domanda: “Se una persona che ha commesso un gravissimo reato, quale è la morte di un proprio essere, e quell’essere fosse stato uno dei tuoi figli, come avresti reagito? Avresti osannato Carmelo? Io no”.  Questa domanda era rivolta ad un mio amico di penna, che mi segue da tanti anni, e che me l’ha girata per farmi vedere quanto sia difficile far capire alle persone che un uomo può davvero cambiare. Ormai dovrei esserci abituato, ciò nonostante quando mi fanno queste domande mi cadono le braccia e il cuore per terra, ma è anche giusto che la società mi chieda il conto.

 

Cara Sconosciuta, innanzitutto non è nelle mie intenzioni tentare di farti cambiare idea, ma tenterò solo di farti venire dei dubbi. Neppure io osannerei chi uccide ma, piuttosto di murarlo vivo, mi “vendicherei” facendolo crescere interiormente per suscitargli il senso di colpa e quindi farlo soffrire di più.

Lo so, sono più cattivo e vendicativo di te, perché non mi accontenterei solo di condannare una persona ad essere cattiva e colpevole per sempre, facendola sentire poi, con il passare degli anni, una vittima. Preferirei, invece, tentare di migliorarla. Per questo penso che se qualcuno uccidesse uno dei miei figli, tenterei di fargli del male facendolo diventare più buono, tenendolo in carcere né un giorno in più né uno in meno del necessario.

Sì, è vero, forse qualcuno di questi potrebbe ritornare a fare del male, ma molti lo fanno anche se non sono mai stati in carcere. In tutti i casi, alcuni di loro potrebbero rimediare parzialmente al male fatto facendo del bene.

Cara Sconosciuta, riguardo al mio passato, potrei dirti che talvolta noi umani agiamo volontariamente contro la nostra volontà. Ma questa sarebbe solo una giustificazione filosofica e un alibi. Invece ti voglio dire che penso che tutti siamo colpevoli di qualcosa, ma pochi, pochissimi, forse nessuno, è colpevole di tutto.

Ti posso dire che quando sono entrato in carcere non trovavo pace, mi sentivo innocente, messo in galera ingiustamente per il solo fatto di avere rispettato le regole (la legge) e la cultura della giungla dove sono cresciuto e che mi ha nutrito fin da piccolino. Poi ho avuto una crescita interiore, grazie anche allo studio, all’amore della mia famiglia e alle relazioni che in questi anni mi sono creato. E ho capito anche, soprattutto durante la detenzione all’Asinara, sottoposto allo stato di tortura del carcere duro, che lo Stato era capace di cose peggiori di quelle che avevo commesso io.

Mi sentivo in guerra, ed ero in guerra. Lo dimostrano le mie ferite (sei pallottole in corpo): potevo ammazzare o essere ammazzato, non conoscevo la legge come la conosco adesso (allora per me lo Stato e gli “sbirri” erano anche peggiori dei miei stessi nemici). Conoscevo solo la legge della strada.

Credimi, non è facile diventare buoni se fin da bambino ti insegnano che il male è bene ed il bene è male. Ma nonostante questo, ho cercato, forse senza riuscirci, di non perdere del tutto la mia sensibilità e umanità. Umanità che non riesco a vedere in tante persone “perbene” che sono cresciute nel bene ma preferiscono il male e alla sensibilità sociale spesso preferiscono i soldi, per avere potere da aggiungere ad  altro potere.

Dicendoti questo non voglio assolutamente assolvermi, perché molti hanno avuto i miei stessi problemi socio-familiari ma non per questo hanno fatto le mie stesse scelte devianti e criminali. Per questo sono fortemente convinto che sia giusto che paghi per il male che ho fatto. Solo preferisco farlo in modo utile ed intelligente, come sto facendo adesso.

Buona vita.