Le Lettere di Renato Pierri – Inconsapevole ipocrisia in un articolo di Giuseppe Savagnone
La morte di Dj Fabo: distinguere per capire meglio”, questo il titolo di un articolo di Giuseppe Savagnone, apparso su diversi siti internet e sul blog “Come Gesù” del prete e scrittore Mauro Leonardi. Nell’articolo ho trovato una buona dose di inconsapevole ipocrisia. L’autore, infatti, scrive: “Il dramma di un uomo di 39 anni cieco e paralizzato […]. Il solo atteggiamento adeguato è il silenzio. Nessuno ha il diritto di condannare questo fratello che ha molto sofferto”. Però, poi, con molte parole, nella sostanza condanna il gesto di chi, ricorrendo al suicidio assistito, esce dal suo «inferno di dolore».
Scrive ancora: “Mi pongo tra coloro che, pur contrari all’aborto, si rifiutano di combatterlo ricorrendo a filmati o fotografie raccapriccianti”. Però poi, per schierarsi contro il suicidio, parla come se niente fosse della “vendita di organi” e del “fiorente traffico legale già in corso” e di “manipolazioni genetiche”. Sì, perché tutto, suicidio, vendita d’organi e manipolazioni genetiche, tutto ha origine dal fatto che “la categoria fondamentale che definisce la persona non è, come pensavano il mondo classico e quello medievale, l’essere, ma l’avere”.
Eh già. Se il povero Fabo avesse pensato come pensavano il mondo classico e quello medioevale, non si sarebbe recato in Svizzera per porre fine al suo inferno. Savagnone scrive ancora: “Personalmente penso, invece, che sia giusto lottare per aiutare un altro essere umano a riscoprire il valore della vita, anche quando lui non lo vede più”. Ma davvero? E chi ci aveva pensato? Se un’anima buona, avesse aiutato Fabo a “riscoprire il valore della vita”, lui non si sarebbe recato in Svizzera. Evidentemente durante i tre anni di inferno, nessuno di coloro che gli sono stati intorno ha lottato abbastanza.
Le ultime righe dell’articolo: “Davanti alla vita e alla morte lo Stato non può essere neutrale, rimettendosi puramente alle scelte dei singoli. Pur tenendone conto, farà il possibile per favorire quelle che vanno verso la vita e che ricadono positivamente sul bene comune. Ciò non impedirà i suicidi. Ma forse contribuirà ad educare la società, e in particolare le nuove generazioni, a considerare la vita così preziosa da restarle fedeli, malgrado tutto, anche portandone la fatica quando essa è segnata dalla tragedia della sofferenza”. Capito, povero Fabo? Se lo Stato ti avesse educato a considerare preziosa la vita, non avresti fatto ricorso al suicidio assistito. Saresti restato fedele al tuo prezioso inferno.
Io credo che simili discorsi ed altri sui quali non mi soffermo, possono essere fatti solo da chi parla del “dramma” altrui ma non si rende minimamente conto del dramma altrui.
Attilio Doni