Blog / Un Cireneo | 24 Febbraio 2017

Le Lettere di Un Cireneo – Nel nome di Dio

E quello che chiederete nel mio nome, lo farò; affinché il Padre sia glorificato nel Figlio.
Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò (Gv 14:13-14)

In questi giorni, Papa Francesco, ha tenuto un discorso davanti al corpo accademico e agli studenti di una Università romana senza mai pronunciare il nome di Dio. Al termine del discorso il Papa ha ringraziato senza benedire i presenti.
Don Mauro ha scritto diversi articoli per spiegare il possibile significato dell’assenza del nome di Dio dal discorso del Papa. Le spiegazioni proposte non mi hanno convinto.

È dunque opportuno tacere il nome di Dio? Pronunciarlo può essere considerato una bestemmia se non si vive pienamente anche la Sua Parola? C’è forse qualcuno che ritiene la propria vita perfettamente coerente con le parole del Signore tanto da poterne pronunciare il nome? Diventerà, dunque, nuovamente un nome impronunciabile? È sufficiente parlare con le opere lasciando sullo sfondo il nome di Dio?

Io ritengo, per i motivi che tenterò di esporre, che sia fondamentale, ancora oggi, nominare espressamente Dio, nel modo rispettoso e attento che Gli è dovuto.

Chiamare una persona per nome è segno di intimità. Nel mondo lavorativo, caratterizzato in diversi contesti da un alto livello di formalità, generalmente ci si rivolge ai propri superiori utilizzando titoli ed appellativi: dottore, professore, presidente, segretario, capo, direttore, etc. Il nome è riservato ad un rapporto tra pari e, certamente, ad un rapporto di amicizia e quindi di intimità. Oltre un certo livello di intimità si utilizzano sopra-nomi o nomi-gnoli affettuosi: penso a come l’amante si rivolge all’amato e a come Gesù si è rivolto familiarmente al Padre (Abbà). Ma c’è un nome! Invocare il nome di Dio è parlare della propria intimità con Lui, è nominare un Amico, l’Amico, ad altri amici, o conoscenti, o sconosciuti di cui si cerca l’amicizia. È nominare l’Innamorato che si porta nel cuore e di cui non si riesce proprio a tacerne il nome e a non raccontarne le gesta. NominarLo è parlare di sé oltre di Chi si ha nel cuore.

Diceva Benedetto XVI in una udienza generale che possiamo parlare di Dio perché Egli ha parlato con noi. Un parlare che dovrebbe essere semplice cioè, affermava l’ex pontefice, un ritorno all’essenziale dell’annuncio, un Dio reale e concreto che si interessa a noi. In questo parlare, non bisogna, sull’esempio di San Paolo, mettere al centro se stessi, crearsi una squadra di ammiratori, ma guadagnare le persone a Dio. Certo, non solo (ma anche) con le parole ma coinvolgendo l’intera nostra esistenza.
Come potrei far alzare lo sguardo su di Lui e guadagnarli persone unicamente raccontando i pomeriggi trascorsi vicino ai malati, sopportando le sfuriate di mia moglie e scusandomi con lei, offrendo un panino ad un barbone in mezzo alla strada senza pronunciarne il nome, senza dire che è l’amore di Dio e l’amore per Dio che rende possibile ciò che umanamente non mi sognerei di fare?

Il compito di questo annuncio non è riservato a coloro che sono stati rivestiti del sacerdozio ministeriale ma è dovere di tutti i credenti che, con il Battesimo, sono divenuti sacerdoti, profeti e re.

Dire Dio – termine che non indica il nome proprio del nostro Creatore ma, in latino, rimanda a splendente e, quindi, alla luce – e pronunciare il nome di Gesù Cristo – il primo termine indica il nome proprio (Dio salva) scelto da Dio per il Figlio incarnato e comunicato dall’angelo a Maria mentre il secondo è il titolo regale greco, corrispondente all’ebraico Messia, ed indica l’Unto di Dio – non è equivalente a pronunciare qualsiasi altro nome.
Il “nome” Dio contiene in sé una forza, una POTENZA (in ebraico, El, termine più antico con sui si indica Dio, rimanda proprio al significato di potenza), una energia sconosciuta ad ogni altro nome, titolo ed appellativo. Non so se capita anche ad altre persone. Ma io, spesso, quando sento quel Nome, specialmente quando sento un sacerdote benedire nel nome di Dio, esulto, avverto una carica che mi attraversa tutto il corpo, sento che in quel momento potrei scalare ogni vetta di ogni monte. E poi arriva un senso di pace, di serenità. Non mi sento solo ma sento tutta la forza di un Dio vicino, che mi ama, mi cerca, mi desidera, mi abbraccia, mi perdona, mi aiuta, mi corregge, mi guida.
Colui del quale è bene che non si pronunci il “nome” ci ha parlato direttamente duemila anni fa. Ed in risposta i miei genitori hanno pronunciato il nome con il quale Dio mi conosce e mi chiama. Ed io, oggi, rispondo alla Sua chiamata utilizzando le tre sillabe più importanti della Storia che racchiudono l’infinitesimo che so di Lui e l’infinito che non conosco: D-i-o. Non potrei mai rinunciare a sentire il “nome” di Dio. Appassirei fino a morire.

L’energia e la potenza associata al nome di Dio la vediamo testimoniata nei più importanti momenti della vita spirituale di un credente. Ogni Sacramento, cioè ogni situazione in cui si invoca la Grazia santificante di Dio, prevede l’invocazione del nome di Dio.
Con il Battesimo si diventa Figli di Dio in seguito ad un rituale nel quale più e più volte si invoca Dio nella Sua unità e le tre Persone dell’unico Dio. L’assoluzione dei peccati viene data dal sacerdote non nel suo nome ma in quello del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Il miracolo – che non riusciremo mai a comprendere in questa esistenza – della transustanziazione avviene perché, nell’epiclesi, si invoca Dio affinché lo Spirito Santo renda reale la presenza di Cristo.
Questi veri e propri miracoli non avvengono ricordando le buone opere di amore e di accoglienza compiute verso i poveri, non avvengono se il sacerdote è in stato di grazia oppure se ha compiuto opere di misericordia, ma perché una persona consacrata, rivestita di una speciale autorità, invoca direttamente Dio. Nel Suo nome si manifesta e si rende viva e presente la potenza di Dio. Quel nome è in grado di tenere unita la dimensione sensoriale e corporale dell’uomo con la dimensione spirituale.
Vorrei anche ricordare che nei riti di esorcismo, il sacerdote non scaccia il demonio nel suo nome e per proprio conto: è il nome di Dio, il Suo intervento, la Sua potenza e Santità che paralizza il male e lo vince.

Dunque, questo nome a cui si associa la vita, l’amore, la potenza, non può rimanere confinato al rito della Santa Messa o ad una preghiera personale, magari detta sottovoce per non urtare le altrui sensibilità. Il mondo intero ha bisogno che quel nome risuoni alto e forte, che Lo si invochi per curare le ferite degli uomini e della natura, particolarmente evidenti e dolorose in questi tempi. Quel nome piega le ginocchia, annulla ogni superbia, svela ogni falsità ed inganno dell’uomo sull’uomo e su Dio, trafigge i cuori: questa potenza deve essere portata nel mondo, senza paura, in primo luogo dal Vicario di Cristo, ricordando che non agisce secondo proprie logiche o idee ma porta Cristo al mondo, annuncia la vittoria della vita sulla morte perché Dio ha vinto la morte.

Il mondo ha invece annunciato la morte di Dio. Dà fastidio sentirne il Nome perché la potenza che sprigiona quel nome ricorda che Dio è vivo, presente, è un cuore che continua ad ardere di amore nonostante ogni rifiuto, al di là di ogni logica di buon senso e di ragionevolezza, supera ogni nostro desiderio di nasconderLo, magari con l’idea di preservarLo. È un amore che non si arrende di fronte a nessun rifiuto e non ci chiede di preservarne la purezza del nome, di essere invocato solo nelle occasioni speciali, come avveniva nel mondo ebraico: è un nome che si è fatto carne, Parola che si è fatto parola, vicinanza ed amicizia, ha solcato questa terra, sperimentato l’arsura del deserto e la stanchezza fisica, ha toccato malati fisici e spirituali. Ogni desiderio di naconderLo è esso stesso una bestemmia ed è contrario a quanto ci ha mostrato Cristo che ha permesso che non solo il Nome, ma anche la divina carne di Dio fosse martoriata dall’uomo.

Per (almeno) tutti questi motivi non ci può arrendere alla logica del mondo che non vuole sentirne pronunciare il nome. Quel nome è Via, Verità, Vita.
Per quel nome, per non abiurare la fede in Dio sono morti e continuano a morire tanti credenti.
Anche per questi antichi e nuovi martiri, per coloro che con la loro vita hanno permesso oggi, in Occidente, di pronunciarne il nome senza temere di perdere la nostra vita, e per coloro invece che la mettono a repentaglio in altre parti del mondo pur di testimoniare la loro fede, è doveroso che un credente faccia risuonare alto il nome di Dio: il Padre, l’Amico, l’Amore che ci tiene in vita.
Sia lodato Dio.