Le Lettere di Renato Pierri – “Salvifici doloris”, ovvero: “Che cuccagna la sofferenza!”
“Salvifici doloris”, ovvero: “Che cuccagna la sofferenza!”
Ai frequentatori del blog “Come Gesù” del prete e scrittore Mauro Leonardi, non piace il mio punto di vista sulla sofferenza, che poi, a ben riflettere, è lo stesso punto di vista di Gesù. Ai frequentatori del blog “Come Gesù” piace il punto di vista di Giovanni Paolo II. Un prete (non Mauro Leonardi, un altro prete) è addirittura entusiasta della Lettera Apostolica “Salvifici doloris” di Giovanni Paolo II, che potrebbe benissimo essere intitolata “Ma che cuccagna la sofferenza!”. Non so quale punto di vista possa piacere ai bambini negli ospedali oncologici e a tutte le persone che soffrono e non vorrebbero soffrire per niente.
Ma perché una cuccagna la sofferenza secondo Giovanni Paolo II? Perché “attraverso i secoli e le generazioni è stato costatato che nella sofferenza si nasconde una particolare forza che avvicina interiormente l’uomo a Cristo, una particolare grazia”. Così c’è scritto nella Salvifici doloris. E chi non riterrebbe una cuccagna essere toccati da una particolare grazia? Ma non basta. La sofferenza ha valore salvifico. Così sempre nella Lettera Apostolica. Volete mettere, la fortuna di possedere appieno e a lungo tale valore? Ma non basta. Attraverso la sofferenza c’è la possibilità di diventare uomini “completamente nuovi”. Più cuccagna di così!
Io, ai cari frequentatori del blog “Come Gesù” ho fatto notare che è contraddittorio ritenere una cuccagna la sofferenza e allo stesso tempo cercare di eliminare la cuccagna. Ma per i frequentatori del blog “Come Gesù”, la contraddizione non c’è.
Gesù vedeva la sofferenza come una vera disgrazia, non come una grazia, e infatti, a chi mancava un occhio non toglieva anche l’altro, a chi mancava una gamba non toglieva anche l’altra. Gesù era triste al pensiero della croce, non sembra che gioisse sulla croce, il Signore, a differenza di San Paolo che “gioiva nelle sofferenze” (Col 1,24) e di alcuni santi che soffrendo godevano. Così va il mondo.
Giovanni Paolo II faceva una bella confusione tra la sofferenza inutile, senza senso, conseguente alle malattie, e la sofferenza inevitabile, che può derivare da un comportamento improntato a verità e giustizia, da un sacrificio per il prossimo. Gesù non faceva questa confusione. Quando parlava della croce da prendere, intendeva la croce conseguente ad un comportamento improntato a verità e giustizia. Seguire i comandamenti di Gesù, sacrificarsi per il prossimo, può comportare sofferenza. Niente da spartire con la sofferenza conseguente a malattie.
Una maniera di consolare i malati, assai buffa, a mio parere, che non è ovviamente il parere dei frequentatori del blog “Come Gesù”, è dire loro che le sofferenze avvicinano l’uomo a Cristo, per il semplice motivo che anche Gesù ebbe a soffrire. Sarebbe come dire che mangiare, e bere buon vino avvicina l’uomo a Cristo perché anche Gesù mangiava, e beveva buon vino. Forse è l’accettazione della sofferenza che mi avvicina a Cristo? Se soffro e sto zitto e buono, mi avvicino a Cristo, e se mi arrabbio contro il crudele destino e mi lamento sono lontano da Cristo? Semplicemente ridicolo. Per me, ovviamente, non per i saggi frequentatori del blog “Come Gesù”.
Papa Francesco, a differenza di Giovanni Paolo II, ha capito il senso del versetto “beati quelli che sono nel pianto” delle Beatitudini. Precisò, infatti: “Gesù non intende dichiarare felice una condizione sfavorevole e gravosa della vita“. Ovvio. Altrimenti bisognerebbe ritenere infelice la condizione di coloro che “sono sazi e ridono”. Papa Francesco, a differenza di Giovanni Paolo II, ebbe a dire: “La sofferenza non è un valore in sé stessa” (discorso ai Centri Volontari della Sofferenza, 17 maggio 2014). Il sottoscritto, a differenza di entrambi i papi, dice: “La sofferenza non è mai un valore, può alle volte avere un senso, ma non è mai un valore, mai una cuccagna. E’ sempre una disgrazia”.