FaroDiRoma – Se Papa Francesco non dice ‘Dio’ all’Università Roma Tre
Spesso alcuni cattolici si lamentano di ciò che il Papa fa e dice. Ma questa volta c’è chi si lamenta per qualcosa che il Papa ha “non detto”: nel discorso all’Università Roma Tre non avrebbe mai nominato Dio. “Le sue parole potevano essere quelle di un qualsiasi Presidente del Consiglio o Cancelliere tedesco” ha scritto qualcuno.
Ho usato il condizionale perché se è vero che parlando con gli studenti di dialogo, di migranti, di violenza, di economia senza scrupoli, di terza guerra mondiale, il Papa non ha mai pronunciato la parola Dio, è altrettanto vero che nel discorso ufficiale – quello a cui le parole a braccio vanno aggiunte, non sostituite – il Figlio di Dio e il suo Vangelo sono stati nominati e in modo meraviglioso. “Parlando di trascendenza, voglio parlarvi da persona a persone, e dare testimonianza di chi sono. Mi professo cristiano e la trascendenza alla quale mi apro e guardo ha un nome: Gesù. Sono convinto che il suo Vangelo è una forza di vero rinnovamento personale e sociale. Parlando così non vi propongo illusioni o teorie filosofiche o ideologiche, neppure voglio fare proselitismo. Vi parlo di una Persona che mi è venuta incontro, quando avevo più o meno la vostra età, mi ha aperto orizzonti e mi ha cambiato la vita. Questa Persona può riempire il nostro cuore di gioia e la nostra vita di significato. E’ il mio compagno di strada; Lui non delude e non tradisce. È sempre con noi. Si pone con rispetto e discrezione lungo il sentiero della nostra vita, ci sostiene soprattutto nell’ora dello smarrimento e della sconfitta, nel momento della debolezza e del peccato, per rimetterci sempre in cammino. Questa è la testimonianza personale della mia vita.”
Ritengo per altro che quando il vescovo di Roma ha parlato a braccio di Dio senza nominarlo si è comportato come Gesù. Che alla Decapoli, territorio limitrofo ad Israele, aveva inviato un ex indemoniato con il compito di mostrare la sua vita sanata (Cfr Mc 5, 19.20) e non di fare discorsi su Dio; così com’era avvenuto per il lebbroso delle “periferie esistenziali” della Galilea (Cfr Mc 1,45) che aveva la missione di mostrarsi guarito e non di spiegare il Credo. Le citazioni si potrebbero moltiplicare.
Amore è intimità, amore vuol dire porte chiuse, luci spente, poche parole. Quando siamo davanti a qualcosa che ci colpisce e che ci entra dentro non dobbiamo parlarne di continuo perché è già lì, fa parte della nostra vita. Dio è così. Il primo comandamento che Dio dà è che siccome “io sono il Signore Dio tuo” allora non mi devi nominare invano. Non vuol dire solo che non lo dobbiamo bestemmiare esplicitamente ma che parlarne senza che la nostra vita rispecchi la sua presenza in noi, equivale a bestemmiarlo. Dio vuole con noi un rapporto d’amore: per questo vuole entrare nella nostra vita e non nelle nostre parole.
Papa Francesco si comporta così. Parla di Dio con la sua vita e così vorrebbe che i cristiani, prima che “parlatori di Dio”, fossero operatori di pace, di dialogo, di economia giusta, di accoglienza verso i migranti.
Chi si avvicina al Papa si accorge che non gli è necessario citare Dio perché per lui è come l’acqua: insapore, inodore, incolore, eppure presente in tutti gli organismi e fonte primaria di vita. Dio si è fatto pane, cioè alimento quotidiano, perché non ci chiedessimo di continuo se è o no a tavola: c’è sempre anche se non c’è nel menù.
La preghiera non è parola è vita. “Non chiunque mi dice ‘Signore Signore’ entrerà nel regno dei cieli ma colui che fa” (Mt 7,21). La preghiera è vita e nella vita di Papa Francesco Dio c’è senza bisogno di nominarlo di continuo. Chi ha vissuto il pontificato di San Giovanni Paolo II sa che il momento in cui quel Papa incarnò meglio il Cristianesimo e seppe far trasparire in modo più evidente Gesù dal suo agire, fu quando malato, ormai ridotto a non poter parlare, si affacciò ugualmente dalla finestra del suo studio. Anche se non poteva parlarne e parlare, fu veramente l’immagine di Cristo durante la Passione.
Tratto da FaroDiRoma
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