Le Lettere di Sandokan – Tram
«Ciao, come stai?»
«Sto bene. Ti spiace se ti parlo subito di ciò che mi è capitato? Stamattina ho letto qualcosa sull’amicizia e mi sono sentita un po’ crepare dentro. Ho letto cose che mi hanno riportato al passato, al mio passato. Ma chi posso chiamare amico, davvero? Ho un sacco di dubbi sulle mie capacità di discernimento. Per esempio ci sono cose che prima ritenevo inaccettabili ora non mi sembrano più così mostruose».
«Cosa ti sembrava inaccettabile?»
«Ho riletto degli scritti del cardinale Martini. Prima li consideravo eretici e oggi mi sembrano molto interessanti. Pensi che sono sulla strada della perdizione?».
«Non lo so dove sei ora. Penso che, prima, tu fossi su un tram “destinazione Paradiso, Paradiso città”. La conosci la canzone?».
«Sì».
«Ma il Paradiso tu sai dove sia? Come fai a raggiungerlo, in tram? Piuttosto, dimmi cosa hai letto che ti ha turbato».
«Si citavano parole di Gesù che diceva “vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi” e mi dicevo che io, nelle mie amicizie, non è che faccia conoscere ciò che ho udito dal Padre mio: parlo dei miei segreti, di quello che leggo, che faccio, che vedo, mi sfogo delle mie paturnie, mi faccio quattro risate in libertà. Questo io do ai miei amici e non so se l’ho ricevuto da Dio. Non mi pare, ma se invece è così, forse ho un dio minore».
«Bah, anche Gesù ci ha parlato dei suoi segreti, in fondo. E tu riveli i tuoi, che altro puoi fare? Ma non per cercare complicità: per cercare senso e bellezza nelle cose che fai. C’è Dio nei tuoi segreti? Forse. Forse c’è o forse non c’è. Un po’ di “forse” seminati qua e là aiuterebbero a vivere con più carità, credo io. Mancano un po’ di ‘forse’ in molte viaggi in tram. Non ci sono incertezze sulla destinazione, per esempio. Bisognerebbe dire: questo tram è per il Cielo, forse. O forse finiremo tutti a precipizio nel mare, come i porci nel paese dei Geraseni. Vuoi salirci? Vedi tu».
«Lo sai, da quando ho smesso di selezionare gli amici in base alla pretesa che mi portassero a Dio, mi sono sentita molto meglio: più libera, meno preoccupata del giudizio altrui, di dovermi forzare a essere quello che ci si aspetta che io sia. Forse è un criterio sbagliato, non lo so. Però mi sembra di aver scoperto Dio nelle pieghe inaspettate. Ma si può essere amici senza pretendere che gli altri ci diano sempre qualcosa?».
«L’amore non ha pretese, ma attese. Quando “attendo” non so bene se e cosa riceverò. Quando “pretendo” invece non voglio nulla di diverso dalle mie pretese. Anche in quest’ultimo caso “attendo”, ma attendo ciò che conosco, non attendo l’inatteso. Ti ricordi del Messia? Non è stata forse la pretesa che lui fosse in un certo modo a ingannare molti? L’amicizia non è finalizzata a nulla ed è proprio per questo motivo che può condurre in luoghi inattesi, altrimenti è un “tram”. Io non sono contro i “tram” per principio, sono pure utili a fare tratti di strada. E però non mi aspetto il Cielo da un “tram”».
«Questa “pretesa” mette sugli altri un peso insopportabile. Ci sono persone che respirano sempre la stessa aria. Non posso dirglielo senza ferirle, ma, che cavolo, devo aprire la finestra altrimenti crepo».
«Anche a me in certe relazioni manca l’aria. E hai ragione, non glielo puoi dire. Puoi solo frequentarle di meno e sperare che ti cerchino nei luoghi che frequenti tu. E’ dura, se vuoi loro bene, perché forse non ti cercheranno. Attendere è più doloroso che pretendere. Richiede una forza e un coraggio tutto diverso. Ma chi pretende rinuncia all’inatteso per l’atteso e non mi sembra saggio affidare la propria felicità alle proprie mani. Non completamente, almeno».
«Attendere è anche un modo per capire se è vero che vogliono bene a te, anche se a volte è meglio vivere senza capire troppo, lo so».
«L’intelligenza è una qualità sopravvalutata. Lo penso da un po’. A me serve essenzialmente per soffrire. Ridi? Sì, un po’ gioco dicendo questa cosa, perché non voglio essere diversa da come sono, e però è vero. Io soffro davvero. Sono fortissima, per certi versi, ma per altri mi può uccidere una parola».
«Anche a me»