Lettere di Renato Pierri – Commenti da pirosi gastrica sul blog “Come Gesù”
Pubblico spesso lettere o brevi articoli su noti quotidiani online e diversi siti internet. Raramente rispondo ai commenti, giacché raramente li leggo, sia per mancanza di tempo, sia per mancanza di pazienza. Ed anche, a dire il vero, per evitare irritazione della parete gastrica. Succede però alle volte, ahimè, che le prime parole di un commento non sfuggano ai miei occhi e di conseguenza arrivino alla mia mente e persino al cuore. Il rischio è una bella dose di sodio alginato e potassio bicarbonato. Un bel fastidio, insomma. Il bel fastidio mi è capitato l’altro giorno sul blog “Come Gesù”, il bel castello (così lo chiamo io) del prete e scrittore Mauro Leonardi. Pubblico un pezzo intitolato: “Aborto. Attenzione a non barare con le parole”, ed ecco il breve commento la cui prima frase, ahimè, ahimè, non ho fatto in tempo a non leggere: “Dopo il tormentone mediatico del femminicidio, ci sarebbe da iniziare a parlare del figlicidio!”. La seconda frase l’ho letta apposta. Come Totò volevo sapere come andava a finire… Altro che sodio alginato e potassio bicarbonato, solo l’esomeprazolo potrà darmi sollievo. Avete subito pensato ad un misogino incallito, ad un maschilista che neppure conosce il significato del termine femminicidio, oppure lo nega come quegli ottusi che negano l’olocausto, vero? Avete sbagliato. A definire così (evito di ripetere per rispetto soprattutto verso le donne) è stata una religiosa, cristiana signora. Una donna. Ma a stupirmi e a farmi andare col pensiero al provvidenziale antiacido è che nessuno sul blog abbia levato la minima protesta. Ai signori del blog e all’autrice del commento da pirosi cronica, diamo la notizia di ieri: “Pescara, accoltella e uccide la compagna dopo una lite poi tenta il suicidio”. La prossima notizia di qualche donna ammazzata, sarà domani o dopodomani. E veniamo alla seconda parte del commentino: “ci sarebbe da iniziare a parlare del figlicidio!”. Mi ero raccomandato di non barare con le parole. Alcune righe del mio scritto: “Perché quando si parla di embrioni si ricorre sempre al termine “innocente”? Esistono embrioni colpevoli? Si ricorre al termine innocente per accrescere la gravità del delitto. Si bara un po’ con le parole, un po’ come quando anziché parlare di embrioni si parla di bambini, come se non ci fosse differenza alcuna… l’embrione di un essere umano è diventato un essere umano. Ma quando si parla di un essere umano di norma s’intende una persona non un embrione”. La cristiana signora ha capito tutto alla perfezione. Per lei l’embrione è un figlio, e magari lo spermatozoo mezzo figlio. Benedetto l’esomeprazolo!
Renato Pierri