Le Lettere di Sandokan – Rigirare
Caro Gabe,
le medicine mi aiutano a serrare le dita attorno alla penna. A volte l’intera malattia sembra concentrarsi nelle mani. Ho voluto scrivere, ma senza dettare a tuo padre. Non voglio poi trovarmi a sussurrargli messaggi dell’ultimo minuto dal capezzale. Fra il panico e il respiro affannoso avrò troppa influenza. Adesso tuo padre continua a chinarsi sul mio letto. Dopo ogni paziente corre qui e mi dice che tempo fa fuori. Mai una volta che ammetta l’ingiustizia che gli ho fatto a essere sua moglie. Mi prende la mano cinquanta volte al giorno. Nulla di tutto ciò cambia quanto è accaduto: l’ingiustizia è fatta. L’infelicità che c’è stata nella nostra famiglia viene tutta da me. Ti prego di non darne la colpa a tuo padre per quanto negli anni ti abbia spinto a farlo. Fin da quando ero bambina ho sempre voluto essere Molto Perbene con le Persone. Altre bambine volevano diventare infermiere o pianiste. Erano meno ipocrite. Io sono stata astuta, ho scelto subito una virtù e me la sono tenuta stretta. Ho sempre fatto le cose per il bene di qualcun altro. Per il resto della vita ho potuto rigirarmi le persone avendo la coscienza pulita. Adesso l’unica cosa che voglio dire è che non voglio dire niente. Voglio rinunciare al privilegio che di solito si concede ai moribondi. Se scrivo è solo per dire che non ho disposizioni.
Arriva di nuovo tuo padre. Porta tre tipi diversi di succo di frutta. Gabe, è con lui che dovrei ammettere queste cose. Lui non mi condannerà finché non lo faccio io. Per tutto il nostro matrimonio ho continuato a migliorargli la vita, rigirandomelo come volevo. Oh, sempre perbene, molto perbene. Caro, la penna continua a cadere. – Philip Roth, Lasciar andare, Einaudi
«Non ho mai pensato – non dico che “non l’ho mai fatto”, dico che “non l’ho mai pensato” – a “rigirarmi” qualcuno, né ho mai preteso di “migliorare” la vita di qualcun altro. Ma non è bastato. Sono sempre stato rimproverato di aver “subito”, di essermi fatto rigirare da altri, da chi non aveva diritto a farlo. Perché a tutti sembra scontato che qualcuno abbia diritto a rigirarmi, a costringermi a una vita che non voglio per me».
«Ed è così? Sei stato “rigirato”?»
«Non mi sembra. Ci hanno provato, questo sì. Non credo di essere “rigirabile” o forse sono stati bravi a farlo. Mi infastidisce però chi pensa che nella vita non ci siano alternative tra il rigirare e l’essere rigirato. Invece esistono».
«A volte è un atteggiamento inconsapevole».
«Non credo lo sia. Quello che credo è che le più gravi bugie le diciamo a noi stessi e, finché il “castello” regge, le vestiamo con una qualche verità. Ma quando il “castello” crolla le bugie rimangono nude e ci tocca riconoscere che non siamo ingannati, ma ingannatori. E tutti i desideri di bene che pensavamo di avere si smarriscono davanti alla consapevolezza che, da essi, non ne potremo ricavare più nulla di buono per noi».
«Si finisce per vergognarsi di chiedere perdono per cose per le quali un tempo pretendevamo ringraziamenti».
«Sì. Mi è sempre rimasto il sospetto che chi sembrava non avesse altro scopo nella vita che fare di me una persona migliore puntasse, in realtà, a migliorare la sua, di vita. O almeno a giustificarla rendendomi simile a lui. E che quelle sue energie spese per dare mostra al suo desiderio di migliorarmi gli servissero a mantenersi la coscienza pulita».
«Anch’io diffido dei dispensatori di bene».
«Ecco. Ti pare che uno possa puntare a fare il mio bene? E che ne sa, lui, del mio bene? Sa poco anche del suo. Sono superbi mascherati da dame di carità.
Magari si limitassero a chiamare egoismo il loro egoismo. Sarei riuscito a volere loro un po’ di bene. Invece la chiamano virtù.
Sono così intenti a mostrarsi “persone perbene” con tutti. Questo viene prima di tutto. Sono così ragionevoli in un mondo che ha perso la ragione: approfittano di ogni loro “gentilezza” per sottolineare questa distanza, questo abisso che li separa da chi del loro essere “perbene” se ne infischia».
«Non è una gran scelta voler essere “molto perbene”».
«Non disprezzo le persone perbene. Non le so definire, ma le riconosco quando le incontro. Tuttavia quelle per le quali “essere perbene” è una scelta di vita, quelle non riesco a farmele piacere e non riesco a frequentarle. Come fanno a sapere cosa voglia dire essere perbene? Io, davvero, non saprei dirlo: so dire “lui è perbene” … ma non so dirti il perché. So però che chi sceglie di essere “perbene” vuole nascondere un segreto».
«Quale?»
«La paura di non esserlo abbastanza per tutti. Sono sempre tesi a fare in modo che nessuno si accorga di qualcosa che per loro è prezioso, ma che invece non dovrebbe esserlo».
«Se solo si lasciassero andare …».
«Sì, come fanno gli egoisti veri. Che così tu ci potresti anche parlare, sul serio, come se fossero persone normali. Li potresti anche chiamare egoisti senza offenderli, perché non passano la vita desiderando di mostrarsi generosi. E invece con le “persone perbene” cosa vuoi dire? Sei costretto a fingere che sia vero ciò che vogliono tu pensi di loro, perché sono sorprendentemente attenti alla tua opinione su questo punto e se non ti prostri davanti ai loro desideri di apprezzamento, allora quello che non è “perbene” sei tu».
«E’ a causa tua che non si lasciano andare. Hanno sospetti su di te».
«Non so. E’ vero che tengono a essere riconosciuti nei loro sforzi, ma non credo che terrebbero tanto alla mia opinione se non avessero dei sospetti su di sé».