Amoris Laetitia / Blog | 27 Settembre 2016

Alfred Marek Wierzbicki – Il dibattito sull’«Amoris laetitia». Tra norma e condizione morale

(Alfred Marek Wierzbicki, Università cattolica di Lublino) Cerco di seguire il dibattito sull’Amoris laetitia che si svolge sulle pagine dell’Osservatore Romano. La cosa impressionante è come spesso sia discusso il rapporto tra insegnamento di Giovanni Paolo ii e quello di Papa Francesco. Pare che ci sia bisogno di approfondire il vero significato di una continuità creativa. Per trovare la chiave adatta a comprendere l’insegnamento della Chiesa sul matrimonio e sulla famiglia prima si deve rifiutare l’ermeneutica della rottura, o addirittura del tradimento, come sostengono alcuni, e allo stesso tempo non confondere la continuità con l’assenza di novità. Con il mio intervento non miro a illuminare la complessità del rapporto teoretico-dottrinale e pastorale tra Wojtyła e Bergoglio perché questo richiederebbe un saggio più ampio e fondato; mi limito invece ad alcune osservazioni.
La prima cosa che colpisce un attento lettore sia di Papa Wojtyła che di Papa Bergoglio è il profondissimo radicamento del loro magistero nella sacra Scrittura. In entrambi i casi la riflessione dottrinale e sapienziale si basa sul messaggio biblico. Giovanni Paolo ii ha arricchito l’antropologia cristiana con una “teologia del corpo” sviluppata attorno al concetto dell’imago Dei che contiene una immensa portata teoretica ed esistenziale, e ora Francesco aggiunge una “teologia della tenerezza”, attinta al denso significato dell’inno all’amore di san Paolo. Qualsiasi filosofia nel magistero dei due Pontefici — e qui si tratta di una filosofia di impronta personalistica — deriva dall’originaria comprensione del dato biblico alla luce del quale viene interpretata l’esperienza umana dell’uomo e della donna. Non dobbiamo aspettarci troppe citazioni dalla teologia del corpo nell’esortazione apostolica Amoris laetitia, tenendo conto del fatto che Francesco non ha voluto scrivere una dissertazione. Sarebbe del resto ingiusto cercare di opporre un insegnamento a un altro solo sulla base dei numeri delle citazioni, bisogna piuttosto studiare la struttura fondamentale dei pensieri per trovarne l’indiscutibile continuità. In questa sede, data la brevità del testo, si può solo accennare alla creativa, cioè essenziale e viva, presenza del pensiero di Giovanni Paolo ii nel pensiero di Francesco.
Sia Familiaris consortio che Amoris laetitia manifestano una straordinaria sensibilità alle condizioni socioculturali della famiglia nel tempo presente. Non deve stupire che con il passare del tempo cambino gli accenti pastorali, poiché alle nuove sfide si cerca di dare nuove risposte adeguate. Il periodo dopo Familiaris consortio è stato segnato dall’eclissi dell’ideale cristiano del matrimonio e della famiglia, una eclissi mai prima vissuta in tale grado.
Riproporre l’ideale cristiano non cessa di essere attuale, ma questa sua attualità, tuttavia, non si può ridurre alla soddisfazione per le testimonianze delle coppie che sono riuscite a realizzare la visione cristiana del matrimonio e della famiglia nella loro vita. Dobbiamo anche preoccuparci delle coppie che sono fallite. In altre parole, l’attuale sfida non consiste in una crisi dottrinale; ciò che ci preoccupa, invece, è il fatto che sia emersa una clamorosa crisi della medesima realtà del matrimonio e della famiglia. Già Giovanni Paolo ii dedica ampio spazio alle considerazioni riguardo alle situazioni irregolari, e ora Francesco, nella continuità con questo passo decisivo fatto dal Papa polacco, presenta una simile preoccupazione che è andata ulteriormente maturando durante le assemblee sinodali del 2014 e del 2015.
La maggior parte delle discussioni dopo la pubblicazione dell’Amoris laetitia si riferisce al capitolo ottavo. Nonostante l’immensa importanza di questa parte dell’esortazione, non si deve fissare tutta l’attenzione interpretativa solo su questa; bisogna piuttosto leggerla nel contesto dell’intero documento. La paura del soggettivismo e del relativismo — espressa talvolta dai critici del Pontefice — può essere facilmente superata. Credo sia un vero ampliamento nell’orizzonte etico quello che ci offre Papa Francesco. In effetti, non si tratta di sostituire la soggettiva etica narrativa all’oggettiva etica normativa, ma di vedere la loro complementarità.
A volte si può notare la tensione tra lato oggettivo e lato soggettivo dell’esperienza morale, ma non si possono separare questi due aspetti dell’autentico dato morale, non si può eliminare il soggetto, né la sua storia e il suo dramma. L’enfasi sul ruolo della coscienza e sul valore conoscitivo e formativo del discernimento della concreta situazione morale del soggetto non contraddice la verità oggettiva della norma morale. Francesco non propone di privare di valore le norme oggettive ma, nello spirito della misericordia, ci incoraggia a verificare attraverso il processo del discernimento la vera condizione morale del soggetto.
Nel suo incompiuto ultimo libro sull’etica, Wojtyła cerca di delineare il pieno profilo della filosofia morale e dimostra da un lato i limiti dell’etica compresa meramente come scienza pratica e dall’altro quelli dell’etica compresa meramente come scienza normativa. «Ma dobbiamo tuttavia affermare — spiega — che il concetto dell’etica come scienza pratica, da noi segnalato, deve trovarsi nel mezzo, fra una casistica esagerata e il situazionismo. Esso costituisce una linea di demarcazione che separa la sostanza stessa dell’etica da entrambe le deviazioni» (L’uomo nel campo della responsabilità, Milano, Bompiani, 2002, p. 165). I teologi e i filosofi che esprimono l’opinione che Amoris laetitia si sia allontanata dalla fondamentale dottrina morale della Veritatis splendor, cioè dalla dottrina della legge naturale, a mio avviso offrono una lettura assai unilaterale dell’enciclica wojtyliana. In realtà essa contiene uno strato narrativo accanto a uno strato normativo. Basta ricordare che il primo capitolo presenta il dialogo del Cristo con il ricco giovane come modello dell’esperienza vissuta della moralità. Leggere la Veritatis splendor come se essa fosse solamente un’esposizione dottrinale della legge naturale sarebbe contro la ricchezza delle sue prospettive che uniscono il momento soggettivo e oggettivo della vita morale.
Rocco Buttiglione e Rodrigo Guerra López, sull’Osservatore Romano del 20 e del 23 luglio scorso, notano con preoccupazione la resistenza di teologi e filosofi di fronte alle novità dell’Amoris laetitia. Sicuramente il dissenso ha diversi motivi e non si devono ridurre tutte le posizioni alla stessa matrice, ma, come osservano i due autorevoli esperti della filosofia di Wojtyła, tante opinioni si sono manifestate nella forma della difesa dell’eredità dottrinale di san Giovanni Paolo ii. Questo spiega anche perché Guerra López ricordi il fatto che il libro di Wojtyła Persona e atto sia stato criticato da un gruppo di tomisti della scuola filosofica di Lublino a causa del suo superamento di certi aspetti del tomismo. Secondo Guerra López il dibattito a Lublino nel dicembre 1970 si potrebbe trattare come esempio che dimostra che la fonte dell’incomprensione di un’opera non si trova nel contenuto di essa ma piuttosto nelle abitudini intellettuali dei lettori.
All’intervento di Guerra López ha reagito il salvatoriano Jarosław Merecki con il testo Fedeltà troppo creativa diventa infedeltà. Merecki ha ragione quando mette in luce l’influsso di san Tommaso sul pensiero di Wojtyła e giustamente sottolinea l’amicizia che vivevano profondamente Wojtyła e il domenicano Mieczysław Krąpiec (all’epoca prestigiosi filosofi della scuola di Lublino), ma Merecki ha torto quando afferma che Krąpiec sin dall’inizio abbia capito il vero significato dell’antropologia del suo amico. Basta leggere la recensione scritta dal tomista subito dopo la pubblicazione di Persona e atto per verificare la prima negativa ricezione di questo volume. Dopo alcuni anni di riflessione, e forse anche a causa delle conversazioni tra i due filosofi, Krąpiec si è avvicinato alla posizione di Wojtyła. Dunque alla più matura e adeguata comprensione di un pensiero nuovo si arriva attraverso il dialogo, con il quale si cerca di vedere le stesse cose nella nuova luce. Sarebbe assai auspicabile che proprio questo metodo fosse applicato anche dai critici di Francesco.
Diceva Goethe che se uno vuole capire un poeta deve recarsi nel suo paese. Visitare un paese da turista, tuttavia, sarebbe troppo poco per capire il suo spirito, cosa per la quale è necessario uno studio approfondito. Apprezzo molto la proposta di Guerra López di lanciare una serie di seminari sul pensiero filosofico e teologico dell’America latina. Esso rimane ancora abbastanza sconosciuto tra noi europei. Dobbiamo imparare da Papa Francesco, non perché viene dalla “fine del mondo”, ma perché la Chiesa che lo ha generato diventa adesso la Chiesa fonte.
La distinzione tra Chiesa fonte e Chiesa riflesso è un contributo del pensatore uruguayano Alberto Methol Ferré. Dopo la sua scomparsa, Papa Francesco ha detto: «Ci ha aiutato a pensare». La Chiesa fonte è la Chiesa protagonista mentre la Chiesa riflesso rimane recettrice. Anni fa Methol Ferré intuiva il nuovo momento storico della Chiesa latinoamericana: «Quel che affermo è la necessità di non perdere gli inizi di un pensiero che sospinge la Chiesa latinoamericana ad assumere il ruolo della “Chiesa fonte”» (Alberto Methol Ferré e Alver Metalli, Il papa e il filosofo, Siena, Cantagalli, 2014, p. 116).
L’elezione a Pontefice del cardinale Jorge Mario Bergoglio ha accelerato la storia della Chiesa latinoamericana. Dobbiamo imparare il dono della nuova Chiesa fonte non per diventare innovatori ma per essere più fedeli a Cristo, che forma la Chiesa nella storia attraverso gli uomini che chiama.

L’Osservatore Romano, 26-27 settembre 2016

Tratto da Il Sismografo