Amoris Laetitia / Blog | 20 Settembre 2016

Amoris Laetitia – Vallini, l’unica strada è la coscienza del confessore

Riportiamo qui le pagine 12 e 13 della relazione finale tenuta dal Cardinal Vallini a conclusione del Convegno diocesano di Roma (20 settembre 2016)

(…) V) Il passo successivo è un “responsabile discernimento personale e pastorale”(AL, 300). Per esemplificare: accompagnare con colloqui periodici, verificare se matura la coscienza di “riflessione e di pentimento”, l’apertura sincera del cuore nel riconoscere le proprie responsabilità personali, il desiderio di ricerca della volontà di Dio e di maturare in essa. Qui ogni sacerdote ha un compito importantissimo e assai delicato da svolgere, evitando il “rischio di messaggi sbagliati”, di rigidità o di lassismo, per concorrere alla formazione di una coscienza di vera conversione e “senza mai rinunciare a proporre l’ideale pieno del matrimonio” (AL, 307), secondo il criterio del bene possibile (18). Questo discernimento pastorale delle singole persone è un aspetto molto delicato e deve tener conto del “grado di responsabilità” che non è uguale in tutti i casi, del peso dei “condizionamenti o dei fattori attenuanti”, per cui è possibile che, dentro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o non lo sia in modo pieno –
si possa trovare un percorso per crescere nella vita cristiana, “ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa” (AL, 305) (19)

Il testo dell’Esortazione Apostolica non va oltre, ma nella nota 351 si legge: “In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei sacramenti”. Il Papa usa il condizionale, dunque non dice che bisogna ammettere ai sacramenti, sebbene non lo escluda in alcuni casi e ad alcune condizioni. Papa Francesco sviluppa il Magistero precedente nella linea dell’ermeneutica della continuità e dell’approfondimento, e non della discontinuità e della rottura (20). Egli afferma che dobbiamo percorrere la “via caritatis” di accogliere i penitenti,
ascoltarli attentamente, mostrare loro il volto materno della Chiesa, invitarli a seguire il cammino di Gesù, far maturare la retta intenzione di aprirsi al Vangelo, e ciò dobbiamo fare avendo attenzione alle circostanze delle singole persone, alla loro coscienza, senza compromettere la verità e la prudenza che aiuteranno a trovare la giusta via. E’ importantissimo stabilire con tutte queste persone e coppie una “buona relazione pastorale”. Vale a dire, dobbiamo accoglierle con calore, invitarle ad aprirsi a partecipare
in qualche modo alla vita ecclesiale, ai gruppi di famiglie, a svolgere qualche servizio, es. caritativo o liturgico (coro, preghiera dei fedeli, processione offertoriale). Per sviluppare questi processi è quanto mai preziosa la presenza attiva di coppie di operatori pastorali e gioverà molto anche il clima della comunità. Queste persone – dice il Papa – “non devono sentirsi scomunicat[e], ma possono vivere e maturare come membra vive della
Chiesa” (AL, 299). Non si tratta di arrivare necessariamente ai sacramenti, ma di orientarle a vivere forme di integrazione alla vita ecclesiale. Ma quando le circostanze concrete di una coppia lo rendono fattibile, vale a dire quando il loro cammino di fede è stato lungo, sincero e progressivo, si proponga di vivere in continenza; se poi questa scelta è difficile da praticare per la stabilità della coppia, Amoris laetitia non esclude la possibilità di accedere
alla Penitenza e all’Eucarestia (21). Ciò significa una qualche apertura, come nel caso in cui vi è la certezza morale che il primo matrimonio era nullo, ma non ci sono le prove per dimostrarlo in sede giudiziaria; ma non invece nel caso in cui, ad esempio, viene ostentata la propria condizione come se facesse parte dell’ideale cristiano, ecc. VI) Come dobbiamo intendere questa apertura? Certamente non nel senso di un accesso indiscriminato ai sacramenti, come talvolta avviene, ma di un discernimento che distingua adeguatamente caso per caso. Chi può decidere? Dal tenore del testo e dalla mens del suo Autore non mi pare che vi sia altra soluzione che quella del foro interno. Infatti il foro interno è la via favorevole per aprire il cuore alle confidenze più intime, e se si è stabilito nel tempo un rapporto di fiducia con un confessore o con una guida spirituale, è possibile iniziare e sviluppare con lui un itinerario di conversione lungo, paziente, fatto di piccoli passi e di verifiche progressive. Dunque, non può essere altri che il confessore, ad un certo punto, nella sua coscienza, dopo tanta riflessione e preghiera, a
doversi assumere la responsabilità davanti a Dio e al penitente e a chiedere che l’accesso ai sacramenti avvenga in maniera riservata. In questi casi non termina il cammino di discernimento (A.L., 303: “discernimento dinamico”) al fine di raggiungere nuove tappe verso l’ideale cristiano pieno.

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18) «Tendere alla pienezza della vita cristiana non significa fare ciò che astrattamente è più perfetto, ma ciò che concretamente è
possibile» (CEI, Catechismo degli adulti, 919).: «Comprendo – scrive il Papa – coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia
luogo ad alcuna confusione. Ma credo sinceramente che Gesù vuole una Chiesa attenta al bene che lo Spirito sparge in mezzo alla
fragilità: una Madre che, nel momento stesso in cui esprime chiaramente il suo insegnamento obiettivo, non rinuncia al bene possibile,
benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada» (A.L., 308).
19) Il Papa cita, a questo riguardo, il CCC: “Il Catechismo della Chiesa Cattolica si esprime in maniera decisiva: «L’imputabilità e la
responsabilità di un’azione possono essere diminuite o annullate dall’ignoranza, dall’inavvertenza, dalla violenza, dal timore, dalle
abitudini, dagli affetti smodati e da altri fattori psichici oppure sociali»[CCC, 1735] :AL 302. Pertanto, il sacerdote, in un percorso di
discernimento con i divorziati risposati, deve valutare, come si fa per ogni altro peccato, se esistano le condizioni perché un peccato sia
considerato mortale, valutando cioè non solo la materia grave, ma anche le condizioni soggettive, la responsabilità soggettiva e le eventuali circostanze attenuanti. Queste circostanze, ovviamente, non cambiano la natura oggettiva della situazione (il divorzio e la
nuova unione restano oggettivamente un male), ma possono forse cambiare la responsabilità personale del soggetto.
20) Si veda: Familiaris consortio n.84; Reconciliatio et poenitentia, n.34; Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai vescovi della Chiesa
cattolica circa la recezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati; Sacramentum caritatis n.29 di Benedetto XVI; il
Catechismo della Chiesa Cattolica, nn.1646-1651).
21) A.L. note 329 e 364.