Lettere di Renato Pierri – La sofferenza non è un valore in sé
Una religiosa signora, abituata a dire ciò che pensa, anche col rischio di scandalizzare qualche bacchettone, scrive sul blog “Come Gesù” dell’amico prete e scrittore Mauro Leonardi: “Se non fossi cristiana direi che brutta religione il cristianesimo. Non si fa altro che parlare di croci e di dolori. Nessun’altra religione é cosi… Dio non ci vuole in croce, ci vuole felici! Il sacrificio in croce é stato fatto da Gesù per tutti. Quindi niente croci, ma amore per Dio e tutto Il creato”.
La religiosa signora ha capito il Vangelo, meglio di tutti coloro che non fanno altro che parlare di croci e di dolori, meglio forse persino di Giovanni Paolo II, che nella lettera apostolica “Salvifici doloris” (1984), della sofferenza arrivò a fare l’elogio, come se fosse un valore in sé. A quel Papa, una donna, a Lourdes, parlando a nome d’alcuni cristiani malati, ebbe a dire: “Noi persone malate, più che essere aiutate dalle parole cristiane, vi troviamo spesso ragione di inasprirci, di rivoltarci. Quando si dice che ‘Dio prova coloro che ama’, noi sappiamo che è falso”. Il Signore parlò di necessità della sofferenza per sé ( Lc 17, 25), ma non per gli uomini. Anzi, cercò in ogni modo di evitare sofferenze inutili ai suoi apostoli, e la sua predicazione e i suoi miracoli miravano a togliere il dolore dal mondo. Si potrebbe obiettare: ma non fu Gesù a dire: “Se uno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”? Sì, ma la croce deve essere l’inevitabile conseguenza di un comportamento improntato a verità e giustizia; seguire il comandamento di Gesù dell’amore verso il prossimo, può comportare sofferenza e perfino la morte. E’ assurdo pensare che la scelta della sofferenza in sé possa produrre il bene. I santi, i martiri, gli eroi, scelgono la via della verità e della giustizia, sapendo perfettamente che possono andare incontro a sofferenze, o anche rimetterci la vita. Ma quella della sofferenza, e anche della morte, deve essere l’unica via percorribile, altrimenti diventa una scelta egoistica, un sacrificio senza senso, un non-sacrificio: chi sceglie la via della sofferenza e della morte, al fine di diventare santo, martire, eroe, non sarà mai né santo, né martire, né eroe.
Elisa Merlo