Blog / Un Cireneo | 13 Maggio 2016

Lettera di Un Cireneo – Se la scienza vede lʼuomo nellʼembrione

Cara vita in formazione, tu che non arriverai mai ad essere persona pur avendone, ab origine, tutta la dignità, tu che ti “sei resa conto” che qualcosa non andava secondo i principi stabiliti dalla Natura – forse non a livello di coscienza né anatomico, alla luce di questi studi, ma certamente a livello biochimico (è stato mostrato da uno studio apparso sulla rivista Nature nel 2002, dal titolo evocativo: Your destiny from one day, che sin dal primo giorno avviene uno “colloquio” di natura biochimica, ormonale ed immunologica con la madre) – hai provato qualcosa di simile allo sbigottimento? La mancata risposta biochimica della tua … mamma ha forse attivato una serie di campanelli di allarme del tipo: “Si salvi chi può”, a cui hai risposto con qualcosa di simile a ciò che noi, esseri-senzienti-ma-non-troppo, chiamiamo paura? Hai avuto paura?

Cosa diresti, tu, – che non potevi capire ciò che accadeva, che non potevi sapere che lì in alto, oltre l’orizzonte dei tuoi eventi, c’era qualcuno che giocava a fare Dio non essendo Dio e dunque non essendo Amore – a questi semidei? Persone che non ti hanno riconosciuto come “uno di loro” scordandosi che loro sono state “uno come te”.

Cosa diresti, tu, a noi, comodamente seduti davanti a degli schermi inanimati che pensiamo non essere troppo diversi da te, che permettiamo che tutto ciò accada non sentendoci troppo turbati o, in molti casi, battendoci affinché la scienza ti usi sempre un po’ di più nella speranza che da ciò “nasca” una cura per noi stessi, se dovessimo averne bisogno? Perché, sai, noi non siamo molto diversi da te. Anche noi, come sei ora tu, non-saremo-più a causa della natura o, magari, come accaduto a te, a motivo della mano di altra vita umana. Ma non vogliamo accettare ciò che invece accettiamo sia di te.

Cosa diresti, tu, ai tuoi genitori che, dopo essere ricorsi alla tecnica, desiderosi di avere un figlio, perché un figlio è “un diritto” che non si può negare a nessuno, non ti hanno più voluto in quanto la stessa tecnica ti ha dichiarato “meno perfetto” di quelli impianti e quindi soprannumerario, utilizzandoti come un oggetto inanimato per il “bene della scienza”? A chi, dopo averti desiderato, non ti ha più voluto e si è scordato di te, della tua non-esistenza. Ti è stata data un sigla ma non un nome, anche se ora sei nel “Nome”.

Cosa diresti, tu, ai tuoi fratelli o sorelle più fortunati di te che non sapranno mai che c’eri anche tu e che, anche tu, avresti voluto vivere, avere la tua opportunità, dopo che qualcuno ti ha illuso di poterci essere? Forse è meglio che non lo sappiano mai perché potrebbe essere scioccante per loro, potrebbero porsi domande, e noi vogliamo evitare il più possibile le reazioni emotive e le domande scomode. Qualcuno lo chiama torpore etico ed emotivo senza il quale, magari, potrebbe pensare di dire: “Basta. Non più. Mai più”.

Hai avuto più freddo nell’azoto in cui sei stato immerso congelandoti e congelando per te il tempo – tu, che non avevi una nozione di tempo ma hai sperimentato in quei 13 giorni come il tempo lavori per la vita ma anche per la morte – oppure quando, scartato dai genitori e dalla scienza, è stata posta fine alla tua esistenza che non poteva esistere? Hai avuto più freddo nel freddo dell’azoto o per il freddo delle nostre coscienze? Sai, finché la tecnica non ci indicherà come estirparle, anche noi abbiamo bisogno di qualcosa simile al freddo per anestetizzarle.

Qualcuno dirà che tu non potevi pensare, non potevi soffrire, non potevi provare nulla. Eri solo un grumo di cellule. Forse è vero. O forse è ciò a cui vogliamo credere per non venire schiacciati da noi stessi. Quello che sappiamo è che tu saresti potuto essere e non sarai mai. Qui, con noi. E non lo sarai perché abbiamo deciso che valessimo più noi che siamo nati di te che potevi, al più, nascere.

Questa lettera di Un Cireneo nasce a margine dell’articolo “Se la scienza vede lʼuomo nellʼembrione” di Enrico Negrotti – Avvenire, 12 maggio 2016