Blog / Sandokan | 19 Marzo 2016

Le Lettere di Sandokan – Gelati

Ah, almeno 
non ti avessi incontrato
io che qui sto morendo
e tu che mangi il gelato.

«Mi fai ascoltare le canzone del gelato?»
«La canzone del gelato?»
«Sì, quella in cui lui sta “morendo” e lei invece mangia il gelato».
«Ah, ho capito». Rido, ridiamo. Siamo in macchina, come ogni mattina. La cerco nel lettore. E la faccio partire.
«Lo sai che non avevo mai fatto caso a questo verso?»
«E’ bello. Lui non la sta rimproverando. Almeno credo. Solo che è come sorpreso che non stia “morendo” pure lei. Certo, quando uno muore, che gli altri pensino a cosa preparare per cena (o al viaggio da organizzare, o a prenotare un appuntamento dal parrucchiere) dà un po’ fastidio».
E’ d’accordo con me. E, come continuando il mio pensiero, aggiunge: «D’altra parte si muore a turno, uno per volta. E se non stai morendo, cosa vuoi fare? Mangiare un gelato è una possibilità».
«Sì».
«Ma lui non la vuole morta. D’altra parte neanche lui vorrebbe morire. Non è divertente morire. Però oramai l’ha incontrata, che alternative ha? Vivere? Ma un innamorato non può vivere. Come si fa a vivere? E’ talmente così poco importante tutto il resto. Vorresti che morissero tutti. O che sparissero tutti. Ma non sarebbe giusto. Perché forse non vogliono. E tu non sei un assassino. E poi forse non sono nemmeno innamorati, gli altri. Non è obbligatorio innamorarsi. Magari non è neanche colpa loro. Non hanno avuto la tua fortuna, probabilmente hanno fatto solo brutti incontri. O forse non ne sono capaci, chi lo sa? Chi non è innamorato è tollerante, di solito. Il suo prossimo non gli dà fastidio. Anzi, gli serve, per mangiare un gelato in compagnia, per andare al cinema o per giocare a calcetto. Non si può giocare a calcetto da soli. Ma chi è innamorato? E’ un guaio. Soprattutto se è virtuoso. Non potendo sbarazzarsi di tutti, tocca a lui morire. Per cambiare. Per ricominciare daccapo. Perché così – con tutta questa gente attorno che mangia gelati, o organizza serate danzanti, o eventi culturali, o veglie di preghiera – non è proprio possibile convivere».
«Ma questo non è amore. Non credo. Che amore è un amore che desidera che il mondo sparisca? L’amore viene dopo, penso io, quando tutto questo passa e ti accorgi che il mondo è più grande del tuo amore».
«Dopo quando? Quando non vuoi morire più? Bah, sarà così, non so. Per me il desiderio che nessuno sparisca è solo virtù, non è amore. Ho smesso di chiamare “amore” il mio cedere il posto alle persone anziane sugli autobus. Una cosa buona, la virtù: ti impedisce di uccidere. Ma è diversa dall’amore, che ti fa desiderare di “morire”. Non per “dovere” – tutti “debbono” morire – per “sperare”. Per “sperare” di restare soli col proprio amore, in sua compagnia».
«E la fecondità dell’amore? Chi ama non ama forse tutti?»
«Non so. Tu sei capace di morire per due persone? O per tre persone? Io no. Ma se sei capace fallo pure, non voglio certo pormi come esempio per nessuno. La fecondità però sta nella radicalità dell’atto d’amore. Chi la osserva non può che rimanerne attratto. Anche se fa paura. Per paura si scappa dalla croce, ma mai nessuno di coloro che son scappati ha dubitato che fosse amore quello che li aveva attratti. E questa attrazione rimane. Ed è feconda, col tempo».

La notte sta morendo
Ed è cretino cercare di fermare le lacrime ridendo
Ma per uno come me, l’ho già detto
Che voleva prenderti per mano e volare sopra un tetto.
Lontano si ferma un treno
ma che bella mattina, il cielo e’ sereno
Buonanotte, anima mia
adesso spengo la luce e così sia