Blog / Sandokan | 23 Gennaio 2016

Le Lettere di Sandokan – Qualcosa succederà

Introduco questo profondo e commovente brano di Sandokan con un paio di mie righe. Non lo faccio mai, ma oggi ho voglia di fare un’eccezione. Voglio dire che queste parole mi sembrano particolarmente utili nel caso siate assillati – in particolare in questi giorni – da persone che vi vogliono convincere che è necessario scendere per strada, andare nelle piazze e “dare un segno”; che è bene alzare i figli sulle spalle e usarli come vessilli perché bisogna sventare il complotto dei cattivi. Se siete circondati da persone così, fate leggere loro questo brano. E invitateli a mangiare un plum-cake
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Chissà perché io non sono di quelli che si battono per “difendere la vita”, i diritti di questo o di quello, i valori della nostra cultura e simili. Non sono mai stato così.

Ho tanta gente attorno che invece vive così, sempre dietro a una causa da difendere, sempre all’inseguimento di un complotto da sventare che io, nella mia ingenuità (così dicono i più buoni), non riesco a scorgere mai. Vogliono il bene dell’altro, così dicono. Perché lo amano, ma prima di lui amano la verità. E io? Che cosa voglio io?

Non so chiamare “amore” la vita impegnata a difendere qualcuno o qualcosa. Questo è il problema. Neanche la vita dei difensori di Cristo mi sembra un granché. Anche per colpa Sua, che si mise pure a rimproverare chi staccò un orecchio al servo del Sommo Sacerdote nel Getsemani. Ma è solo la mia opinione, non sono contro nessuno.

Non riesco a immaginarmi Gesù impegnato a prendere le proprie difese. Lo penso distrutto per il fatto che oggi l’ho pensato poco. Distrutto forse è troppo. Sul momento forse, ma non abbattuto. Sa che, col tempo, qualcosa succederà. Lui sa che ho mille cose da fare.

E’ che io Gesù me lo immagino sempre preoccupato di cose piccole. Dei miei baci dati a lui un po’ di sfuggita, per dovere di stato (alcuni sacerdoti invitano le donne riluttanti ad accoppiarsi coi mariti per “dovere di stato”, l’ho sentito di recente), dei miei pensieri distanti da lui.

Ho provato a ripensare il mio risveglio, di oggi. Lui mi guardava mentre mi vestivo, lo so. Mi guarda sempre. Ma io non potevo ricambiare il suo sguardo, non sempre: dovevo abbinare i calzini coi pantaloni. D’altra parte non posso uscire di casa coi calzini stonati. Mi son trovato costretto a dirgli: “aspetta, ho da fare un momento”. Son discorsi da fare, con Dio? Che situazione! Ma non ho tutti i torti neppure io, non credete?

L’amore che voglio è questo: qualcuno da guardare sempre e che guardi solo me. Ma non esiste (ci son talmente tante persone al mondo e tante preoccupazioni, lo so) e quindi davvero felice non posso essere. Dico “qualcuno” perché l’amore lo cerco nelle persone.

E’ una vita dura. Cercare qualcuno a cui dire “ti amo” e temere ogni sua risposta. Ti fa paura persino che al tuo “ti amo” ti dica “anch’io”. Un “anch’io” può essere peggio di un “io no”. Perché dopo un “anch’io” il tempo non si ferma, le giornate vanno avanti, e quella relazione te la porti appresso, col timore di essere stato frainteso. Ogni giorno la stessa domanda e ogni giorno la stessa risposta, è questo che vuoi. Ma accadrà?

Non bisogna dire “ti amo” con leggerezza. Meglio essere cauti e ripeterlo ogni mattina.

Ho tante persone che mi vogliono bene e a cui voglio bene. Questa è una cosa che si può dire con più serenità. Un “ti voglio bene”, intendo. C’è chi mi vuol bene perché sono buono, simpatico, intelligente: ho tante qualità.

Vi confesso una cosa. Sono diffidente verso chi mi dice che sono buono. E’ una fregatura essere buoni. C’è tanta gente che vuole la tua bontà fino quasi a pretenderla. Devi morire per loro. Perché sei buono. Son sempre pronti a ricredersi a ogni tuo cedimento. E te lo rinfacciano: non eri buono come pensavano, sei ancora vivo!

Non è che loro siano morti, te lo dicono da vivi che non eri come pensavano. Ma quello buono eri tu (loro non se lo dicono mai di essere buoni, sono peccatori e lo sanno) e facevano affidamento su di te.

Quando uno dice a un alto “ti amo” invece sa bene che è lui a dover morire per il suo amore e non l’altro. E non solo sa di doverlo fare, ma vuole farlo. Ma chi vuole morire per me? E io per chi voglio morire?

Siamo sempre così impegnati a correggere, a spiegare. A volere il bene dell’altro. Alcuni perdono la pazienza e finiscono per non avere altri argomenti di conversazione. C’è tanta gente incazzata a causa del bene dell’altro. Ma non hanno qualcuno da accarezzare? Qualcuno con cui parlare? Qualcuno che desidererebbero prendere a morsi? Come se fosse un bimbo piccolo? Un bimbo loro?

E invece niente, nessuno da divorare. Vogliamo il bene dell’altro, ma preferiamo i plum-cake a colazione. Almeno io. Voi non so. E’ questione di gusti.