Blog / Sandokan | 24 Settembre 2015

Le Lettere di Sandokan – Lutti

Non so se siano stati celebrati i funerali di Maria Carmela, l’insegnante di 63 anni la cui morte, avvenuta quasi due anni fa a casa sua, è stata scoperta in questi giorni. Ho cercato la notizia sul web, ma non l’ho trovata. Può essere che gli articoli apparsi per raccontare le circostanze dell’incredibile scoperta del suo cadavere mummificato abbiano fatto sì che, ad accompagnarla per la sepoltura, ci fosse un po’ di gente. Lo spero. Non che cambi molto, per lei. O forse sì, non so. Mi farebbe piacere.
Certo infinite possono esser le cause per le quali una persona, a un certo punto della sua vita, si ritrova sola. Si era trasferita da poco in quella casa, probabilmente. Le cronache “dicono dopo la pensione” e lei aveva 63 anni. Forse i vicini non hanno fatto in tempo a “conoscerla” e quindi non hanno fatto in tempo a sentirne la mancanza. O forse lei non cercava compagnia o confidenze. E poi non faceva rumore e quindi, da un certo punto di vista, era il vicino di casa ideale. Solo che, a un certo punto, ha cominciato a puzzare.
È chiaro che puzzava, direte voi (e anche io con voi), era morta. E’ chiaro che non faceva rumore, direte sempre voi (e anche io con voi), era sempre morta. Ma lo dite adesso che sapete com’è andata a finire. Allora, quando nessuno sapeva, Maria Carmela (chissà se conoscevano il suo nome) era semplicemente, per i suoi vicini, un tipo riservato, silenzioso, che puzzava. Oppure era una che era partita per un viaggio e aveva lasciato le uova a marcire sul fuoco. Può essere.
Mia madre, una volta mi chiamò piangendo perché non riusciva a parlare per telefono con mio fratello. E’ riuscita a proferire verbo dopo cinque minuti di singhiozzi che mi stavano facendo venire un infarto: «Tuo fratello non risponde. Lo chiamo, ma una voce mi dice che il suo numero è inesistente. Capisci? Non mi dice che “è irraggiungibile”, mi dice che “è inesistente”». Ho ripreso fiato e l’ho invitata a tranquillizzarsi: «Mamma, non credo che, in caso di calamità, la prima cosa che succeda è che ti disattivino il contratto telefonico». Ma la mia risposta non l’ha completamente convinta. Per lei che mio fratello fosse morto era la cosa più probabile.
È sempre così, in fondo. Quando una persona ci interessa poco, la cosa più terribile che gli possa capitare è la meno probabile, per noi. Se per due anni da una casa viene fuori un odore nauseante, si tira avanti sperando che la cosa si risolva da sé. O si mette lo scotch.
Le cose poi, quando diventano chiare, evidenti, sembrano incredibili. “Come è potuto succedere?”, uno si chiede. E invece, mentre accadono, sono normali. Tragedie grandi, a osservarle dopo decenni, sono avvenute accanto a gente che non se n’è neanche accorta, ma non per insensibilità: sono sicuro che se fosse venuto in mente a qualcuno dei vicini che dentro quell’appartamento poteva esserci il cadavere di Maria Carmela, costui avrebbe sfondato la porta. Purtroppo non è venuto in mente a nessuno.
Purtroppo … o per fortuna. Così magari, dopo due anni passati in casa a mummificare, la signora ha avuto un bel funerale. Chi lo sa? Sono tristi i funerali in cui non c’è nessuno. Nessun parente, nessun amico. Nessuno. Nessuno che ti dica chi è morto e nessuno che lo domandi.
Nel paese dove trascorro l’estate c’è un tipo sempre presente ai funerali e ai matrimoni. Uno che sa tutto di tutti. Una volta, mentre mi esponeva come doveva organizzarsi la raccolta differenziata, o come bisognava gestire la questione immigrati, si interruppe e mi salutò, perché sentì le campane battere a morto: «Vado a vedere chi è il defunto», mi disse.
Al momento giudicai malsana quella sua curiosità per un dolore che non era il suo. E non è che avessi completamente torto. Oggi però mi dico che se fosse stato lui il vicino di casa di Maria Carmela – un pettegolo di paese, un tipo insopportabile – non avrebbe aspettato due anni per sfondare quella porta.
E poi lui, al funerale di Maria Carmela, ci sarebbe andato. E se qualcuno fosse passato a domandare «chi è morto?», si sarebbe vantato della sua impresa rispondendo: «É morta Maria Carmela, in casa, sola. L’ho scoperto io».

14 risposte a “Le Lettere di Sandokan – Lutti”

  1. ann ha detto:

    Una storia di indifferenza tristissima. Mi viene da dire che pure senza arrivare ad immaginarsi un cadavere, per la puzza avrebbero almeno dovuto lamentarsi o chiamare qualcuno (polizia vigili del fuoco..) e invece no: sigillano tutto con lo scotch così da non essere più infastiditi dalla puzza. Mi pare che spesso facciamo così con i problemi della vita..invece di affrontare la verità, che esce da tutti gli spiragli possibili, vogliamo rinchiuderla e sigillarla e non sentirne più l’odore, raccontandoci tante cazzate.

  2. mauroleonardi ha detto:

    Coi problemi della vita, Ann, lo facciamo tante ma tante volte

  3. Paola ha detto:

    Io adorerei sigillare porte e sotterrare la verità
    Invece ci perdo il sonno cercando di capirci qualcosa … con quasi zero risultati però

  4. Betulla ha detto:

    Questa figura di uomo definita il “pettegolo”, non aiuta chi legge a cambiare il suo modo d’essere nei confronti di chi gli sta intorno. E’ vero pure che questo tipo di personaggi ( mia madre aveva un’amica che noi chiamavamo la gazzetta della città , che sapeva tutto di tutti) sono personaggi indubbiamente fastidiosi ,nel senso che sono degli impiccioni e allora viene naturale pensare , che cosi come racconta degli altri , racconterà di te e della tua famiglia fino alla settima generazione e oltre. Oggi la signora è in cielo e devo dire che si fa fatica a ricostruire la storia di chi muore,della sua famiglia d’appartenenza. A questo punto direi che più che degli impiccioni o pettegoli, queste persone siano una vera ricchezza di notizie e documentazioni sulla gente che ci circonda.Sono archivi orali,che parlano e raccontano le storie di un paese ,di una comunità, restituendo quell’anima della gente che oggi sfugge a tutti , perchè ci chiudiamo nei nostri mondi individualistici . Direi come disse un mio zio osservando i mutamenti della gente del suo paese : oggi qui , quasi tutti parlano l’italiano e non salutano più, prima ,parlavamo tutti il dialetto e ci si salutava per strada, anche se sconosciuti.

  5. Giuseppina F. ha detto:

    Ormai c é indifferenza verso gli altri;ognuno prr se e Dio per tutti.Una globalita dell indifferenza!!ci si ritrova soli;sempre!nessuno ascolta;tutti corrono;nessuno ha tempo;frenesia della vita moderna.Il vicino non sa nulla piu dell altro della porta accanto.Devo dire che nel mio paesino calabrese non succede che uno muore e nessuno se ne accorge.L aktra volta i vicini hanno chiamato i parenti di una signora morta nella notte a 60 anni abitava sola.Qui c è ancora solidarieta ai funerali si va per tutti anche a casa c é il lutto tre giorni.Tutti siamo coinvolti nel dolore degli altri;nelle malattie.In citta si vive diversamente;neanche ci si saluta con la gente perche non ci si conosce.Il papa ci dice di uscire andare alle periferie esistenziali!!Non vuol dire andare lontano;basta scendere sul pianerottolo;salutare la vecchina sola;scambiarci una parola.Ma che brutto questo mondo che puzza di naftalina!!si quelle palline che mia mamma metteva negli armadi perche i vestiti chiusi non puzzassero!!

  6. ann ha detto:

    Paola spesso non ci sono risposte, non c’è da capire, c’è da stare. C’è quella verità lì, quella realtà che ti guarda e tu puoi solo guardarla a tua volta e dirle ok, ci sei, sei così. Non ti capisco, ti odio ma sei così. Chiamarla con il nome che ha. Sotterrarla non serve. E ad un certo punto diventi libera e capisci come affrontarla. Almeno, a me a volte capita così.

  7. sandokan ha detto:

    L’ho trovato oggi …

    Un ex alunno di Maria Carmela Privitera (oggi scrittore) ricorda la donna trovata cadavere in casa a Roma dopo due anni: “Un mistero per noi ragazzi”

    di VALERIO PIPERATA

    Sono stato allievo della professoressa Privitera, la donna trovata morta nel suo appartamento, a Roma, quartiere Ponte di Nona, raccontata su questo giornale da Francesco Merlo. Ho fatto parte della schiera di studenti che l’hanno presa in giro per come vestiva, per come parlava, per il suo modo di porsi con noi. Ho riso di lei. La prima volta che entra in classe ci alziamo tutti in piedi, come facciamo sempre per qualsiasi professore. È un segno di rispetto e considerazione. Lei va dritta verso la cattedra, guarda per terra, non dice buongiorno, niente canonico “sono Maria Carmela Privitera, la vostra insegnante di educazione artistica”. Non dice una parola. Ricordo perfettamente l’espressione del suo viso, piccolo e pallido, come se l’avessi ancora davanti: austera, severa.

    Non ci ha ancora guardato. Posa la borsa sulla cattedra. La mano che spunta dal cappotto scuro e che porta la borsa sembra quella di una bambina. Lei finalmente alza la testa e dà la prima occhiata alla classe. Becca subito una mia compagna che sta ridendo. Le chiede, con un tono di rimprovero: “Che cos’hai da ridere?”. È stronza, è severa, penso io. Mi darà un sacco di problemi perché non sono capace a disegnare. Ma mi sbaglio. Lei non è niente del genere. Dopo un quarto d’ora che è in aula, non è più solo una ragazzina a ridere, ma tutti e venticinque gli studenti della 1a B della scuola media statale Giovanni Verga in via Giovanni Gussone. Me compreso. La Privitera è strana, porta le scarpe di due numeri più grandi, le calze nere troppo lunghe, un cappotto nero a settembre e gli occhialoni, è piccola, è bianca latte, parla strano, parla da sola, non parla mai a nessuno. I ricordi mi si riaccendono nella mente, prendono fuoco, e rivedo adesso la mia professoressa di artistica, quella strana, in un modo completamente nuovo.

    “Che cos’hai da ridere?” forse, adesso che ci penso, l’ha detto perché sapeva perfettamente che, tempo dieci minuti, lì dentro qualcuno avrebbe riso di lei, e dietro a quel qualcuno si sarebbe unita tutta la classe, e non l’avrebbe ripresa più, perdendola per sempre. Perché la Privitera non somiglia a niente e a nessuno con cui abbiamo mai avuto a che fare, non somiglia alla preside, a quella di italiano, di matematica, non somiglia alle nostre madri, alle nostre nonne, può somigliare piuttosto a una cugina di quarto grado che abita lontano e che non senti neanche per Natale e pare non se la stia passando tanto bene, ma che vuoi farci.

    Perché noi ragazzini delle medie siamo spaventati dalla minaccia di ciò che non ci è familiare, delle cose e delle persone che ci sembrano diverse. Noi dal diverso prendiamo cautamente le distanze e ci puntiamo un faro contro. Quando consegni una tavola, un disegno, sai che il voto sarà “mediocre”, perché lei sembra non conoscere altri voti. Tutti snobbiamo la sua materia, e tutti siamo mediocri. Eppure un ottimo pare l’abbia dato. Più di uno. È Ornella, una ragazza che sa disegnare, una che finalmente sembra avere talento in mezzo a un branco di individui fatti a metà. E la Privitera che fa? La ignora, le dà il voto che vuole e arrivederci? No. Nel 2000 la segnala per un concorso di disegno in occasione della mostra di Monet al Vittoriano, le fa riprodurre donne in giardino. Lei partecipa, vince, e per premio la mandano a Parigi.

    Come insegnante non mi ha fatto amare né odiare la sua materia. Semplicemente l’ho ignorata, come ho ignorato lei, perché tanto artistica da noi valeva quanto educazione fisica, forse anche meno. Però adesso io non riesco più a ignorare il suo ricordo. Il ricordo di quella volta che i miei genitori si presentarono al colloquio di fine quadrimestre con i professori, mia madre fece per stringerle la mano e lei le diede il mignolo. All’inizio mia madre non capì, poi si scoprì che lo faceva con tutti. Il ricordo di quando si regolavano tutti gli orologi all’ora sbagliata, il casino durante i compiti in classe e la sua faccia d’ostinata assenza e apatia, o quella volta in cui qualcuno di scuola le squarciò le gomme della macchina, che dentro era piena di santini e Madonne.

    La Privitera se n’è andata dal mondo come se n’è andata dalla nostra scuola: nessuno aveva saputo niente, e nessuno aveva provato niente, se non un senso di sconforto perché il professore nuovo è serio e adesso educazione artistica ci tocca farla per davvero. È per questo che io chiedo ufficialmente scusa per averla ignorata, per non aver ascoltato mai una lezione, per non aver mai consegnato un disegno, per aver riso di lei. Stavolta però mi alzo dalla sedia, e col rispetto e la considerazione che ho mostrato a professori che forse lo meritavano meno di lei, le porgo il mio ultimo e più sincero saluto: addio, professoressa Privitera.

    Articolo pubblicato su Repubblica

  8. Paola ha detto:

    Grazie Anna!
    Ci provo

  9. Tres ha detto:

    Sandokan oggi so a cosa pensare grazie alla tua lettera e a quella di questo studente. Ma quanto siamo stronzi a volte. Scusate parlavo per me.

  10. Giuseppina F. ha detto:

    è morta nel silenzio e nella solitudine come appare essere stata la sua vita.Forse la sua morte cosi triste è stata l unica cosa che ha fatto clamore nell anonimato della sua vita!!ora tra le braccia di Gesu avra tutto l amore che non ha avuto.Avra dato con il suo morire silenzioso un ultima lezione a tutti Vivere non è fare grandi cose per ottenere applausi e lodi!!Vivere è restare anonimi facendo il proprio lavoro;senza aspettarsi onori e glorie.Gli ultimi saranno i primi.Riposi in pace nell amore dell abbraccio di Gesu.

  11. Betulla ha detto:

    Grazie Sandokan per avere pubblicato la lettera dell’alunno, molto bella e dà una luce su questa persona , diversa da quella che potevamo ( almeno io)immaginare.Mi ricorda una mia insegnante di storia e geografia alle medie,uguale. Oggi l’ho rivista tale e quale con quell’andatura tendenzialmente obbliqua,non so come faccia,me lo domandavo allora e me lo chiedo ancora , espressione del viso indefinibile,sguardo nel vuoto ,sembra non esserci, ma c’è e con sua sorella ,un tipo peperina che la porta ormai sotto braccio perchè traballa un poco( sempre in obbliquo).Io per lei ero un nome di scolara ,oggi per lei sono solo una persona che ha incontrato,non ricorda niente ne di me ne di altre, ricorda la fatica del viaggio d’andata e ritorno in città.

  12. loretta conte ha detto:

    Mi dispiace per la prof.Privitera . Penso che non fosse lei ad essere strana; è il mondo che riflette la luce della verità in modo deforme.Mi è piaciuta la lettera di Sandokan e aggiungo che l’indifferenza per gli altri, specialmente per gli anziani è un comportamento deteriore.La storia è continua e non può essere distaccata fra le varie generazioni.Il giovane deve continuamente apprendere e fare propria la saggezza degli anziani anche se a volte il modo di essere degli anziani può sembrare strano.Come è bello invece, vedere giovani che comprendono l’animo delle persone più grandi e cercano la loro compagnia per ricevere affetto e saggezza:Papa Francesco ripete continuamente, di non lasciare soli nel loro abbandono, gli anziani perché sono una ricchezza interiore.

  13. Betulla ha detto:

    Ann@ ….” spesso non ci sono risposte, non c’è da capire, c’è da stare. C’è quella verità lì, quella realtà che ti guarda e tu puoi solo guardarla a tua volta e dirle ok, ci sei, sei così. Non ti capisco, ti odio ma sei così. Chiamarla con il nome che ha. Sotterrarla non serve. E ad un certo punto diventi libera e capisci come affrontarla. Almeno, a me a volte capita così.”
    Ann mi ritrovo molto in queste tue parole, anche a me a volte è capitato cosi, comporta sofferenza e concludi esattamente che nel momento in cui l’accetti in piena libertà , capisci come affrontarla. Per quanto mi riguarda questa spinta non è solo farina del mio sacco.

  14. mauroleonardi ha detto:

    La discussione continua sul thread del forum Lettere