Renato Pierri – La “verginità” divina non ha niente da spartire con la verginità degli uomini
Se il termine ecclēsĭa fosse di genere maschile sicuramente nessuno si sarebbe mai sognato di affermare che Cristo è Sposo della Chiesa. Ma la cosa strana è che la Chiesa non fa quest’affermazione per significare che Cristo è per la Chiesa come uno sposo, così come si afferma, non so, che Cristo è per i suoi seguaci come un pastore, come un padre, come un fratello. No. Crede che Cristo sia realmente sposo della Chiesa. Leggiamo che cosa afferma il prete e scrittore Mauro Leonardi, in un articolo pubblicato sul sito dei Papaboys, in cui presenta il suo libro “Come Gesù”, uscito nel 2011, ed ora tradotto in lingua spagnola: «Il celibato tira. Intendo proprio quello per amore di Gesù, non il semplice fatto di non sposarsi… Gesù è Sposo della Chiesa e pertanto ciascun fedele, in quanto appartenente alla Chiesa, è “sposa di Cristo”. Ciascuno, uomo o donna che sia, celibe o sposato che sia. Chi si consacra a Dio nella vita religiosa sceglie di rappresentare pubblicamente l’essere “sposa di Cristo”, mentre invece chi riceve l’ordine sacro impersona Gesù Cristo “Sposo”. In questo quadro, che senso ha il celibato dei laici? cioè di quei cristiani normali che decidono di vivere celibi per amore di Gesù ma senza esprimere questa loro decisone attraverso voti? ecco, il libro Come Gesù – ora anche “Como Jesús” – prova a rispondere a questa domanda e per farlo, a partire dall’esperienza dell’Opus Dei, esplora il senso dell’amicizia».
Spero che l’amico don Mauro non si offenda se gli dico sinceramente che trovo risibile il quadro da lui dipinto. Incompleto, però, il bel quadro nuziale, giacché non sono presenti il suocero e la suocera della Chiesa e dei fedeli “spose di Cristo”. Tutti i fedeli sono “spose”? Anche i maschi?
Ma vediamo che cosa scrive poi, don Mauro, riguardo al celibato e all’amicizia: «Gesù… quando si trova al culmine dell’intimità chiama chi era con Lui nell’Ultima Cena, amici: “Vi ho chiamato amici perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,15). Il Verbo, per indicare le parole ascoltate del Padre e fatte conoscere ai discepoli usa la parola amicizia… Siamo qui alla massima possibilità di senso della parola amicizia. Non certo al ritrito “stavamo assieme, e ora siamo rimasti amici”, “eravamo amici, ma poi ho capito che tra noi c’era qualcosa di più”. Il “di più” è proprio l’amicizia. Amicizia che, per definizione, esclude la componente sessuale dal rapporto, e che per questo motiva il celibato del laico e apre meravigliose prospettive di senso a chi non può sposarsi. Non solo per scelta, ma anche per gli infiniti motivi della vita».
Intanto si può osservare: visto che l’amicizia rappresenta il culmine dell’intimità non sarebbe stato più giusto definire Cristo “Amico della Chiesa” e non Sposo della Chiesa? E visto che l’amicizia esclude la componente sessuale del rapporto, significa che nella relazione tra Cristo Sposo e la Chiesa entra la componente sessuale? Ma perché l’esclusione della componente sessuale nell’amicizia motiverebbe il celibato del laico? Che discorso è? La componente sessuale non entra nella relazione con Cristo, non va ad incrinare l’amicizia con Cristo anche se si è sposati. Sarebbe come dire che la mia amicizia con don Mauro è incrinata dal fatto che io non sono celibe ma sposato.
Infine don Mauro scrive: «La decisione del Signore di rimanere celibe è la quintessenza della sua libertà di essere Sé stesso. Tutte le spiegazioni di questa scelta illuminano solo parzialmente la sua decisione. In Come Gesù (soprattutto alle pp. 206-208) cerco di motivare perché a me convince molto la spiegazione che Gregorio di Nissa dà della scelta di tale condizione da parte di Cristo (cfr De Virginitate 2, 1-11: SC 119, pp. 262-264): quella per cui il Figlio rimane vergine nel tempo, perché Lo è nell’eternità avendo ricevuto la medesima vita del Padre, che è “Colui che genera verginalmente”. Questa spiegazione, illumina in qualche modo anche un altro mistero, quello della verginità di Maria: e cioè, era conveniente che il Figlio generato verginalmente dal Padre nell’Eternità, venisse ugualmente dato alla luce verginalmente dalla Madre nel tempo».
E mi sembra che si giochi sulle parole. Intanto si può osservare: perché aggiungere al verbo “generare” l’avverbio “verginalmente”, visto che il Padre in altro modo non avrebbe potuto generare? Dire che Maria concepisce verginalmente ha un senso, giacché avrebbe potuto concepire in altro modo, ma l’avverbio riferito al Padre non ha senso. E per questo dico che si gioca sulla parola “vergine”, la quale riferita al Padre ha un significato (integrità, pienezza), e riferita a Maria o a Gesù ha altro significato. Se Maria avesse avuto rapporti sessuali (non si può escludere che li abbia avuti dopo la nascita di Gesù), non avrebbe in nessun modo perso la sua integrità e la sua pienezza. Lo stesso discorso vale per Gesù. Altri furono i motivi che lo spinsero a non sposarsi. Non si comprende che cosa abbia da spartire la “verginità” divina, intesa come integrità, pienezza, con la verginità umana. Ha qualcosa da spartire solo per chi vede nei rapporti sessuali qualcosa di menomante, di limitante, qualcosa che va ad incrinare la purezza, la pienezza.
Renato Pierri