
Le Lettere di Tedghenan – Omosessualità e fede religiosa
Tedghenan è una persona omoafetttiva cattolica credente che ha già scritto su questo blog l’1 dicembre dell’anno scorso. Questa sua Lettera si inserisce nella linea degli articoli che hanno fatto eco alla manifestazione del 20 giugno a Piazza san Giovanni.
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Dopo la manifestazione del 20 giugno, don Mauro Leonardi ha sottolineato le difficoltà di comunicazione tra i manifestanti – anche i più aperti – e chi in quella piazza non vi era. Si può infatti temere che si alzino gli scudi e i muri.
Sono pronto a lunghe e appassionate discussioni sulla divisione tra persone che piazze diverse e incomunicabili rappresentano.
Qui mi basta solamente ricordare una distinzione capitale che ho letto nel libro “Dio e noi” del cardinale Daniélou: l’eros è il conquistare qualcosa che è in un altra persona o oggetto, perché mi manca, perché ne sono privo. E’ la riduzione di una persona a un insieme di concetti, di sensazioni, di cui io colgo solo ciò che mi manca. E’ un atteggiamento egoistico e riduzionista, nel senso che riduce l’altro a quell’aspetto che mi manca o che mi serve per motivarmi a fare qualcosa. L’agape è invece una conseguenza di una pienezza esistenziale (che per noi cristiani non può che nascere nella immersione sacramentale nella dinamica della Salvezza) che si comunica – proprio perché sovrabbondante – agli altri con piena gratuità e generosità. In questo secondo caso l’altro è innanzitutto un mistero cui io voglio “bene”, perché voglio per lui una pienezza traboccante che in qualche misura io ho già sperimentato.
Probabilmente mai come nel dibattito sui diritti civili il pericolo di un dibattito esplicitamente “erotico” (nel senso succitato) è incombente…per iniziare bene, intendo presentarmi con il paradosso esistenziale della mia inclinazione omosessuale legata alla mia fede religiosa, proprio nella prospettiva di poter proporre a me stesso e agli altri, quelle gocce di pienezza che mi e ci possano fare “decentrati”, giacché la neutralizzazione dell’egocentrismo è uno dei primi effetti della dinamica dell’agape cristiana.
Due anni fa, nell’ambito di un minicorso, presso i Gesuiti di Selva in Val Gardena, scrissi quanto segue, un po’ per registrare le emozioni che mi bollivano dentro: avevo infatti detto ai ragazzi del minicorso della mia inclinazione e cercavo di trovare nel mio dialogo con Dio, quelle spinte che mi avevano condotto ad un’apertura della quale solo qualche tempo prima non avrei avuto il coraggio.
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“Ti ho ignorato a lungo. Mi hai svegliato, mentre ero depresso e concitato nella notte di otto anni fa.
E’ venuta la tua calma, sono caduto addormentato dopo l’insonnia, e ho provato che non potevo più fare a meno di corrisponderTi tutto me stesso, compresa la mia intimità, in tutti due i sensi: interiorità e intimità fisica.
Ho pensato alla vocazione, ma non era per un gay…mi sono visto senza famiglia, senza futuro, senza scelte di lungo respiro. Mi sono detto: magari un passatempo, una piccola passione, una modesta preghiera…se so che da Te viene, mi basta…
Ma questa precarietà di vita, questo attendere delle briciole da Dio, mi ha logorato…talvolta preferisco che Tu mi tratti da nulla, per poterTi dire: Fai il Dio! il dominatore di schiavi! dammi l’appiglio per poterTi dare la colpa di avermi inguaiato!…e così starei staccato, starei distante, avrei la corda con segnata la misura della separatezza, e come un paranoico, mi illuderei che quella distanza segnata è la mia libertà. Invece Ti ostini ad amare me debole, facendoTi debole e talvolta penso che Tu non puoi fare nulla…ma la Tua potenza è proprio questa: sei debole perché non solo stai con chi soffre, ma lo tocchi, lo compatisci ed entri in lui…ma così sei anche forte.
La mia vita è immobile, inguaiata, costretta a gioire un po’ forzatamente di una piccola cosa senza progetto…e perdipiù questa gioia vera è talvolta procrastinata con abili finzioni, con esaltatori di sapidità.
Allora nella chiusura dei sentimenti, mi sento come un vulcano. Erutta di tutto, non costruisce niente, né progetta. Spero solo che la lava che erutta faccia crescere dei fiori…mi dicono sia più nutriente del tanto citato letame di De Andrè.
Ma questo stato rende inutile l’opera delle mie mani, le rende inette…quando lavorano, lo fanno assonnate, oppure sovraffaticandosi, perché sanno che non hanno un futuro scritto da loro. Io posso, solamente, come l’Etna, darti la lava – che magari ha fatto danni – e lasciare che la Tua Provvidenza faccia sorgere qualcosa…ma questa è una Provvidenza che svuota, che asciuga, che fa deserto…l’unica cosa bella è che ti dà una felicità in bassa frequenza, che ti fa capire che Qualcuno, lassù, ha la Risposta al Paradosso, cui io non so rispondere: perché mi hai messo di fronte una gioia precaria? perché il vuoto e l’inazione mi dominano? perché la tua legge è carnivora?…nel senso che mangia e sputacchia a lato la forza carnale di vivere le mie passioni e i miei amori, lasciandomi come un nocciolo di pesca strappato dalle fibre che gli erano saldate. L’unica risposta – e scusami se spesso ne dubito – è che la Tua Legge è carnivora: devo Mangiare la Tua Carne, devo amare questa tua intrusione che è forte e debole, che è forte perché nel e col debole. Così mi sento meschino, indegno…anche fiducioso, poi…comunque un po’ schizzato…e questo mi pesa…Ti prego: non voglio essere come tante persone che quando Tu hai detto che avresti loro dato la Tua Carne, ti hanno preso per pazzo…ma Ti hanno preso per pazzo? oppure hanno capito che facevi loro firmare un contratto da clandestini, nella società, nella famiglia, nel corpo (come il mio, frocissimo) in cui vivevano…perché non posso fidarmi un po’ di me stesso?perché non posso mettere i piedi a terra e devo vivere sospeso nella Tua dolce speranza?
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