Lettera di Tedgenhan – Una persona omoaffettiva cattolica credente
Se qualcuno dubitasse del perché tanti di noi impieghino tante energie nel blog Come Gesù, e io particolarmente nello scrivere articoli su L’Huffington Post e ilsussidiario.net, legga questa lettera di Tedgenhan che, in risposta a quella di sabato di Alberto Gonzaga, giunge inattesa ad aprirmi – ed aprirci – il cuore. Grazie!
Conosco bene e ammiro Alberto Gonzaga, tuttavia dissento da alcune considerazioni semplicemente censorie che ha fatto. Ho letto le lettere che lei ha pubblicato da parte di alcune persone transessuali [qui nei commenti, ndr] e che mi hanno spezzato il cuore, anche perché so benissimo (conoscendo due transessuali di persona) quanto la loro sofferenza sia grande e per molti versi imperscrutabile.
Certamente una lettura very fast delle tesi di Gnilka, potrebbe fare pensare che Gesù è stato discriminato in quanto eunuco, ma leggendo un po’ con lentezza si capisce che Gesù è stato discriminato in quanto celibe: lo stato di celibato prolungato oltre una certa età era sicuramente ritenuto da alcuni una bizzarria, da altri una vera e propria fuga dai doveri familiari e riproduttivi e quindi un peccato grave. Che quello fosse il solo motivo della persecuzione di Gesù mi pare strano: difatti all’inizio di Marco 3 si evince chiaramente che a causa della sua predicazione e delle sue guarigioni (mano secca, di sabato, in sinagoga) i farisei già allora meditavano di ammazzarlo. E quando l’odio è già allo stadio di odio omicida, qualunque diffamazione è possibile, anzi probabile. Non dico che Gnilka abbia torto, semplicemente reputo che l’ostilità contro Gesù, persino tra i suoi familiari, era già al calor bianco e quindi una situazione di vita celibe, di per sé già difficile da accettare allora, poteva essere presa a pretesto di gravissima diffamazione, dato ché diffamare la sfera sessuale sentimentale è ancor oggi uno dei mezzi per mettere fuori dai giochi una persona che sembra minacciare certi bastioni di potere acquisiti.
Questo però non sposta di un millimetro la necessità della Chiesa di interrogarsi sul modo di essere madre per le persone omosessuali. Trovo che dire semplicemente che l’identità di una persona è essere figlio di Dio e null’altro [come fa Alberto Gonzaga, ndr] è solo una soluzione retorica, giacché se si ravvisa un ostacolo per potere vivere in pienezza la condizione di figlio, bisogna vedere l’ostacolo, conoscerlo e superarlo. Voglio affermare che non è semplice dire: “Sei figlio di Dio e dunque fai la tua ricerca di sequela solitaria e non mostrare altre identità potenzialmente di disturbo!”. L’episodio della conversione e battesimo dell’eunuco della regina d’Etiopia negli atti degli Apostoli va perfettamente a rompere questa soluzione apparente. Lo Spirito Santo costringe l’apostolo ad evangelizzare quell’uomo che l’apostolo ripugnava nettamente di approcciare. Tuttavia l’eunuco aveva già sentito parlare di Gesù e aveva sete della Sua Parola e della Sua Salvezza Sacramentale (Battesimo). Come dice Papa Francesco “E’ Lui che ci raggiunge per primo”: in effetti pensare che un prete possa lui raggiungere le ferite dell’umanità, portando il Signore è molto presuntuoso: il Signore sta nelle sofferenze e nelle ferite umane e aspetta che la sua Chiesa porti i Sacramenti, porti l’azione di Dio che costruisce comunità tra questo mondo e il Paradiso, ma anche tra tutti i fratelli in questa terra. Molti si sono domandati quali fossero le doti, o meglio i doni di grazia, che sgorgano da queste ferite specifiche degli omosessuali e che, in quanto doni che edificano la comunità cristiana, vanno riconosciuti e apprezzati dalla Chiesa. Perché come insegna San Paolo a Listra: è il patire e condividere il patire degli altri che ci rende diversi da Dio (difatti gli abitanti di Listra stavano sacrificando a san Paolo dopo la guarigione dello storpio) ma al contempo queste finestre di sofferenza condivisa sono certamente le porte di Dio e della Sua azione di Grazia… cosa che invero ci spaventa e ci ripugna, ma che è tale. Questa domanda la Chiesa non se la è fatta. Ma il sapere che Dio dà risposta alle domande di senso della sofferenza sempre e comunque, anche fuori dal recinto dei presunti buoni cristiani, con tutto apposto, è la base della risposta che va data alle persone omoaffettive. Dico base, perché la “tecnologia” teologica e pastorale per fare questo non è ancora stata approntata.
Propongo 3 punti di partenza:
1)il filosofo francese Henri Bergson sosteneva che esistevano tre popoli (ebrei, rom e omosessuali) che non possono essere integrati normativamente e che per questo le reazioni di una comunità a queste diversità sono sempre state repressive e tuttavia le comunità non hanno capito la sfida di condividere “un tratto di strada” con una identità non assimilabile. 2)l’eunuco che seguirà la Legge del Signore (Isaia, 56,3) avrà un nome che sarà superiore a quello di figlio di Dio…la donna sterile che confida nel Signore è più feconda della madre di molti figli: ecco la fecondità biologica non è che la proiezione biologica della vita casta da amici di Dio che è la massima fecondità spirituale possibile…allora un omosessuale che vive solo e cerca ardentemente di essere casto è invero non solo più casto, ma anche più fecondo di un buon marito che ripone nella pur opportuna umana fortuna della sua famiglia il perno del suo impegno: voglio dire che chi fa una vita casta investe tutto il coacervo – inizialmente confusionario – dei suoi sentimenti e delle sue pulsioni, nel cuore stesso di Dio…e si sa, noi prestiamo sempre a usura a Dio…Gli diamo un millesimo e ne abbiamo sempre diversi milioni, la castità costruisce questo ponte cuore a cuore con Dio che ci rende capaci di amarlo, di meditare e di avere quel dialogo fruttuoso con Lui. Ma se questa prospettiva di fecondità spirituale viene messa in disparte e rammentata talvolta e distrattamente solo per illustrare la vocazione sacerdotale e non la vocazione alla castità di tutti i cristiani, allora siamo lontani dall’indicare ai nostri fratelli omoaffettivi la fonte della loro gioia cui loro possono personalmente attingere con una scelta di castità per diventare Tempio di Dio.
3) Esistono testi che hanno ricevuto plurimi riconoscimenti dai Romani Pontefici, per il loro valore di edificazione spirituale e di discernimento delle scelte, ma anche dei moti dell’anima, per giudicare insomma se una scelta di vita ineunte sia giusta o sbagliata…penso agli Esercizi di sant’Ignazio di Loyola. Teniamo bene in conto che quell’amore che non osava dire il suo nome, ora lo sa dire, lo sa narrare, lo sa riempire di significati e solo un approccio superficiale potrebbe fare pensare che si tratta di uno scimiottamento della coppia uomo-donna. Dopo Billy Budd di Melville, il linguaggio dell’attrazione e del sentimento omosessuale, sono stati codificati e non sono sovrapponibili ai codici eterosessuali: dunque si tratta di vedere quali scelte, quali inclinazioni del sentimento, quali situazioni di scacco o di gioia, sono originate da Dio e quali sono causate dall’inganno del Demonio…è chiaro che per fare questo serve una grande “tecnologia” spirituale, che tuttavia la Chiesa già possiede a patto che parta da tre punti:
1) il discernimento è per ogni anima, anche in situazioni di grave peccato, perché Dio dà delle spinte per sfangarla da là.
2) la vita casta non è una punizione per alcune persone che non hanno altra scelta…Pio XII rivolgendosi nel 1950 alle donne che non potevano sposarsi causa la mancanza di possibili mariti, dopo la II Guerra Mondiale, diceva pressapoco che se una donna era chiamata alla vocazione religiosa, tutti gioivano per quella vocazione con grandi parole, mentre se una altra si trovava cucita una situazione addosso veniva compianta, tuttavia, rammentava: “Hic Dominus adest!”…quella situazione, quello scacco sono fortemente benedetti e amati da Dio, Dio proprio lì chiama alla sequela.
3) le persone omoaffettive sono state sempre attratte dalla possibilità di offrire la loro vita a Dio…prima c’era una soluzione ovvia e semplice…il sacerdozio…e adesso? (senza dire che i ragionamenti della supposta immaturità insuperabile persino dalla grazia di Dio che traspare dal documento del 2005, fa pensare che se la Grazia non può fare di una persona con attrazione per persone dello stesso sesso un buon sacerdote e casto, allora la stessa Grazia sarebbe insufficiente a garantire la fedeltà coniugale usque ad mortem di due sposi…insomma si è ragionato come faceva il (non) buon Lutero…spero che i miei ragionamenti di persona sola che spera di trovare in Dio un porto sicuro e caldo non la abbiano annoiata.
La ringrazio per la sua apertura d’animo.
P.S. io sono contrario al nickname, ma vorrei usarlo in questo caso, perché sono abbastanza conosciuto nella mia regione. La ringrazio e va benissimo che la pubblichi.
Qui il link alla Lettera di Alberto Gonzaga
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