Articoli / Blog | 16 Aprile 2015

L’Huffington Post – In quella catena umana c’era Dio

Finora i barconi della speranza avevano solo posti in piedi, solo posti ammassati, solo gente che fuggiva e che aveva per meta la speranza.

Stavolta a bordo è salita una rabbia nuova. La lite sarebbe scoppiata per motivi religiosi. Dodici cristiani, nigeriani e ghanesi, sono stati gettati in mare dai loro compagni di viaggio mussulmani.

Questa volta le parole sono come pugni che prendono e menano, che prendono e buttano giù.

Mussulmani contro cristiani? Per favore non usiamo Dio per coprire la violenza che abbiamo dentro, Cristo non è un guanto di velluto. Uomini contro uomini, ecco cosa è successo.

Papa Francesco lo aveva detto nel 2013 durante la Messa di Santa Marta: “Nessuno deve uccidere in nome di Dio. E anche soltanto dirlo è una bestemmia”. E lo ha ripetuto nel 2015 durante il volo che da Colombo lo portava a Manila: “è una aberrazione chi pretende di “uccidere in nome di Dio'”.
Dio non c’entra. I pugni sono le nostre mani chiuse contro il fratello. Se non posso chiamare fratello chi divide con me la sorte in un barcone, quale sangue potrà mai unirci?

Però su quel barcone ci sono stati anche uomini che si sono comportati da uomini.

Non li chiamo cristiani, anche se lo sono. Preferisco dirli uomini perché se non si può chiamare “Uomo” Gesù, al cristiano non resta più niente da dire.

Su quel barcone c’è stato anche “uomo con uomo”. Ci sono state mani che si sono intrecciate e hanno fatto una catena umana. E quando gli uomini fanno catena, fanno sangue e fratellanza, non li smuovi, non li vinci. Non li butti giù.

Le nostre mani, unite, intrecciate, rendono la nostra vita inespugnabile. Una catena umana che non aveva bisogno di usare il nome di Dio perché dove due o più sono uniti, abbracciati, lì c’è Dio.

 

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