Papa Francesco – Omelia della Veglia di Pasqua 2015
“Non si può vivere la Pasqua senza entrare nel mistero”, “senza adorare”. Così Papa Francesco, in San Pietro, per la Veglia del Sabato Santo. Nella sua omelia ha sottolineato la necessità di andare oltre le proprie “sicurezze”, l’egoismo, “l’indifferenza”, la “pigrizia” per poter “vegliare” e ascoltare, “in silenzio”, la voce di Dio che con il suo amore ha fatto “passare il popolo attraverso il Mar Rosso”; e “Gesù attraverso l’abisso della morte e degli inferi”. Massimiliano Menichetti:
“Siamo qui per entrare nel Mistero che Dio ha compiuto con la sua veglia d’amore”. Così il Papa in una Basilica immersa nella solennità dell’antico canto “Exsultet” che annuncia la Pasqua, avvolta dal profumo dell’incenso e scaldata dalla fiamma del cero pasquale. Una “notte di veglia” ha rimarcato il Pontefice, di attesa, nella certezza che il “Signore” custodisce il suo popolo. Notte che vissero i discepoli e le discepole di Gesù provando “dolore” e “angoscia”. Il Papa ha indicato proprio le donne che all’alba andarono al Sepolcro e per prime videro Gesù una volta entrate.
“Non si può vivere la Pasqua senza entrare nel mistero. Non è un fatto intellettuale, non è solo conoscere, leggere… E’ di più, è molto di più! “Entrare nel mistero” significa capacità di stupore, di contemplazione; capacità di ascoltare il silenzio e sentire il sussurro di un filo di silenzio sonoro in cui Dio ci parla (cfr 1 Re 19,12)”.
“Entrare nel mistero – ha detto – ci chiede di non avere paura della realtà: non chiudersi in sé stessi, non fuggire davanti a ciò che non comprendiamo, non chiudere gli occhi davanti ai problemi, non negarli, non eliminare gli interrogativi…”.
“Entrare nel mistero significa andare oltre le proprie comode sicurezze, oltre la pigrizia e l’indifferenza che ci frenano, e mettersi alla ricerca della verità, della bellezza e dell’amore, cercare un senso non scontato, una risposta non banale alle domande che mettono in crisi la nostra fede, la nostra fedeltà e la nostra ragione”.
“Per entrare nel mistero – ha poi aggiunto – ci vuole umiltà”.
“L’umiltà di abbassarsi, di scendere dal piedestallo del nostro io tanto orgoglioso, della nostra presunzione; l’umiltà di ridimensionarsi, riconoscendo quello che effettivamente siamo: delle creature, con pregi e difetti, dei peccatori bisognosi di perdono. Per entrare nel mistero ci vuole questo abbassamento che è impotenza, svuotamento delle proprie idolatrie… adorazione. Senza adorare non si può entrare nel mistero”.
Le discepole di Gesù – ha aggiunto – “vegliarono” con “la Vergine Madre”, le aiutò a non perdere “la fede e la speranza”. Impariamo da loro – ha concluso – “a vegliare con Dio e con Maria, nostra Madre, per entrare nel Mistero che ci fa passare dalla morte alla vita”.
Vita riflessa e affermata in tutta la liturgia in San Pietro, densa di simboli di purificazione e rinascita come fuoco e acqua. Notte in cui Francesco ha battezzato e cresimato dieci catecumeni adulti, uomini e donne, per metà italiani e altri provenienti da Cambogia, Albania, Portogallo e Kenya. Notte in cui si è lavata con forza la Preghiera universale per i perseguitati e per quanti lavorano per la pace.