Le Lettere di Sandokan – Confessioni
– «Papà, hai cinque minuti? Ti devo confessare un po’ di cose».
– «Ti serve il prete allora?», rispondo io sorridendo.
– «No, no. Al prete, in confessionale, faccio “elenchi”, non “discorsi”. E poi solo di peccati. Ma io mi confesso con te. Non solo con te, ma anche con te. Al prete non interessano i miei discorsi, di solito. Almeno non quando sta seduto in confessionale. C’è gente in fila e lui ha da fare. E ho da fare pure io. E poi anch’io a sentirlo a volte mi annoio. Un bell’elenco e via, mi trovo meglio così».
– «Ma lo sai che una volta un prete mi disse che lui conosceva le donne, perché le “confessava” (lui intendeva che le ascoltava dalla grata), mentre gli uomini non le conoscono? Lui intendeva dire che esistono cose che le donne dicono soltanto in confessionale».
– «Che stupidaggine! Che può sapere di me da dietro una grata? Sembra la mamma, che tende a costruirsi un’idea del mondo a partire dalle aule di Tribunale che frequenta ogni giorno. Forse è vero che esistono donne che in confessionale dicono cose che normalmente non dicono in altri luoghi, ma ti assicuro che queste donne in altri luoghi sono diverse da come si raccontano in confessionale. E non necessariamente perché mentano al prete. Mentono a se stesse. Mentire al prete è una cosa da uomini. Le donne, alcune almeno, mentono a se stesse e, per questo, sono in fondo sincere col prete. Quando vanno da lui è come se portassero il loro mondo dal parrucchiere, a fargli dare una sistemata, a renderlo presentabile a loro stesse.
Invece con te, come potrei mentire a me stessa davanti a te? Tu mi guardi anche quando non ti parlo, anche quando neanche mi accorgo che ci sei. Non me ne accorgo, ma lo so che ci sei. Quando invece ti cerco, come accade adesso, quando voglio stare con te, è solo per chiarirmi le idee, per chiederti aiuto, per chiederti scusa, per ridere o per piangere. Voglio stare con te per fare discorsi, confessioni, in cui non c’è traccia dell’essenziale, perché questo tu lo conosci già … o mi aspetto che tu lo conosca. Ci sono cose di me, di come sono, intendo, che io non ti dico nei miei discorsi, ma che tu comunque conosci, perché fai parte delle mie giornate, dei miei pensieri, delle mie preoccupazioni, del mio tempo. Non ti fai ingannare dalle mie parole, tu. Perché non aspetti che ti dica chi sia per sapere chi sono».
– «E il prete in confessionale si fa ingannare?».
– «Beh, povero figlio, fa quello che può. Ma non è solo colpa sua. Lui dovrebbe star lì per perdonare i peccati, non per ascoltare i discorsi. Che poi sono quasi sempre “lamenti”. Ho sempre l’impressione che quando, raramente, mi lamento della mia vita in confessionale, il prete mi “sopporti”. A volte con più malavoglia di come mi sopportano i miei amici quando mi comporto così. Perché loro possono andarsene e invece lui no. E io lo so e ne approfitto».
– «Penso anch’io che molti preti in realtà “sopportino” un certo tipo di penitenti continuamente a caccia di tonache su cui piangere. Si vede da come mi spiegano la necessità che io vi sopporti, te e la mamma. Oppure mi educano a come arginarvi con fiori, balli e complimenti. Loro, i preti, invece vi arginano facendovi rassegnare alla vostra vita, rimandando la felicità a un futuro in cui tutto sarà diverso, bellissimo. Anche per lui, che non dovrà stare là ad ascoltarvi».
– «Però anche se non mi lamento, se mi limito a elencare le colpe, non è che mi conosca di più», continua ridendo mia figlia.
– «No, certo. Le tue colpe non sono certo l’essenziale, quello che c’è da sapere di te. Il prete da dietro la grata non ha idea del motivo per il quale tu sei al mondo, se non un’idea generica, un’idea da Catechismo. Ma il Catechismo di te non parla mai. O forse ne parla, ma dice di te quello che dice di me o di tutti. Il Catechismo sa perché al mondo ci sono gli uomini e le donne. Ma del perché ci siamo io e te non sa nulla».
– «Penso che tutti dovremmo avere qualcuno “da confessare” o col quale “confessarci”. Un amico intendo, non un prete. Dal prete si va per dovere, a chiedere perdono. Le confessioni invece sono un bisogno, un piacere anche. Non ho invece bisogno di essere l’amante di un prete, neanche in spirito (ammesso che voglia dire qualcosa questa espressione), non voglio che sia un prete l’unico a cui desidero di mostrarmi “nuda”. I miei amici, tu e la mamma, venite prima di lui».