Blog / Lettere | 04 Ottobre 2014

Le Lettere di Paolo Pugni – Il bastone e la carota

Devo dire che ci sono rimasto male. E di più: ci son rimasto male di esserci rimasto male. Allo specchio. Perché so che è male rimanerci male, è invidia, è malizia, è la parte del fratello maggiore di quello prodigo, che dei due ci fa la figura peggiore perché il primo è perdonato il secondo non si sa, lo sappiamo ostinato e fuori.

Però vedere tutti questi complimenti “che cose intelligenti che scrivi” “che bella cosa che hai scritto!” “sono d’accordo con te” e nessuno, neanche un commento, neppure uno, neanche una osservazione quando lo scalfari di periferia afferma con spocchia e presunzione da sedicente divinità le peggiori aberrazioni su feti down, matrimonio e altri punti essenziali della vita. Neanche una notula per dire “bhe, ma forse stai dicendo cose non vere”. No, semmai un accogliente abbraccio: “interessante conoscere la tua posizione”.

Ora io sono pieno di peccati e non capisco, ma fosse solo quello, gli è che mi inalbero proprio. E allora ho iniziato a chiedermi, e spero di essere io e non il tentatore che agisce in noi, ma siamo sicuri che questa esasperata accoglienza non finisca per svuotare l’ovile del tutto? Perché va bene andare alla ricerca non più della sola pecora persa, ma delle novantacinque che stanno fuori, alcune delle quali di rientrare nell’ovile proprio non ce l’hanno manco per la testa, ma se per farlo finiamo per far scappare anche le poche che c’erano, che guadagno ne abbiamo?

Isaia  ce lo dice papale papale «Il digiuno di cui mi compiaccio non è forse questo: spezzare le catene della malvagità, sciogliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi, spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel rompere il tuo pane con chi ha fame, nel portare a casa tua i poveri senza tetto, nel vestire chi è nudo, senza trascurare quelli della tua stessa carne?». (Is 58:6-7) e mi sembrava di ricordare  che anche san Paolo avesse simili pensieri, ma posso sbagliare. Di sicuro un altro Paolo, io, li ha. Ma lungi dall’essere santo non faccio testo.

Ripongo dunque qui la domanda che ho già discusso sui social ed è una domanda sincera, perché sono più confuso che Mazzarri col Cagliari, proprio non la trovo la cifra.

È  più caritatevole inseguire la pecora che sguscia tra le mani perché non ha nessuna voglia di farsi mettere nel recinto del buon pastore e con questo farne scappare 10 che ci rimangono male, o lasciare andare per la sua strada la pecora falsa gentile e prendersi un po’ a cura le proprie pecore?

E vorrei sottolineare che di pecora riottosa si parla, che ovunque nelle scritture e non si parla di chi cerca con cuore sincero la quadratura della sua vita, perché chi rifiuta anche solo di pensarci, m’hanno insegnato, sta più nell’area di quel peccato che non sarà perdonato –ed è l’unico- che non altrove e mi pare che stia anche scritto che ai pòrci è bene non dare le perle. Ora se il Signore ci facesse il dono di mettere un led sopra quelli che sono già out sarebbe più facile, ma siccome non è così e siccome questo non succede, se non nella Divina Commedia, ci tocca fare la fatica di amare tutti. Ma a che prezzo? Chi un minimo si risente è proprio soltanto un arrogante fratello maggiore triste e deluso oppure….?