Blog / Lettere | 21 Giugno 2014

Le Lettere di Paolo Pugni – Tragedie nazionali

Sto alla porta e osservo. Il carico di sangue della settimana. Le urla, gli schiaffi, il dolore. Che bisognerebbe guardarlo in silenzio, con rispetto, con empatia. Non con rabbia.
Con vendetta.
Così percosso e attonito, alle news sto.
È la settimana dell’orrore, dei delitti in famiglia (famiglia?) degli assassini (?) infine scoperti, ammesso che sia vero e non lo sappiamo. La settimana dello sdegno e della paura. È la settimana dei mondiali. Degli entusiasmi facili e delle delusioni cocenti. Delle sere d’estate improvvisamente ingrigite, cieli graffiati, come capita quando la nazionale perde ai mondiali.
Che cosa c’entrano queste due storie così lontane e così diverse nello stesso paragrafo? Come oso mettere insieme due delitti, uno tanto efferato (un delitto per i giornali è sempre efferato, bestiale, le vittime sempre innocenti) quanto recente e folle di un uomo che per ridarsi la libertà (e andare a vedere la partita) massacra (altro verbo imposto) la famiglia; l’altro che emerge dalle nebbie recenti in un tweet, e 11 miliardari che corrono stanchi verso la vergogna come faccio a metterli insieme? Come oso?
C’è un filo che mi sorprende ed è quello della pietà, del senso, della profondità.
Perché mai si riesca a trovarsi tutti dalla stessa parte, fratelli come Montale chiamava l’anguilla, quando si fissa lo sguardo su una maglia azzurra, e così lontani dentro una casa che una volta era nido, da inondarla di sangue per sfondare la gabbia?
Vabbé, ma che discorsi sono!? Potreste obbiettare. Io ci vedo una filigrana, che tutte le volte che sappiamo esserci qualche cosa di più grande, non che sta prima, ma che sta al centro –come ci insegna Paci- fosse anche per un solo secondo, allora riusciamo a venire fuori, a liberarci del guscio che ci rende ego referenziati.
Epi emera, greco, per un solo giorno, effimero: che bella parola! Che triste significato. Ecco, se riusciamo però a rendere solido quel centro, quell’amore, perché alla fine sempre di amore si tratta, c’è solo amore, allora dai novanta minuti spesi attorno ad un televisore, potremmo portare il senso nella vita, non fino a sera (epi espera) ma senza fine.
Che quell’uomo –lo si può ancora chiamare così? O ne ha già perso i tratti? È come frate Alberigo? O stanno dentro di lui ancora i semi del perdono? Non lo so- abbia bruciato tutto per se, al punto da uccidere i figli per tagliare i legami sia un monito a dove ci può condurre il desiderio smodato di me, di ciò che io solo voglio, al punto da perdere la lucidità prima ancora che l’umanità.
E per contraltare ci resta il dolore sobrio e puro di un famiglia che sa pregare e chiedere preghiere per il presunto assassino della figlia, e ridare così senso a tutto, in quel silenzio che parla, anzi canta, come dovrebbe sempre fare.

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