Blog / Lettere | 14 Settembre 2013

Le Lettere di Paolo Pugni – La bestia

Va be’ ho pensato “che fortuna!”. Poi è arrivato l’abisso e la vergogna. Perché finisce che tutto lo riferisci ai tuoi meschini egoismi. E sei sempre lì prono a chiedere perdono.

Che infatti il Signore abbia fatto morire un padre di famiglia per permetterti di andare a Messa alle 11.00 e correre con serenità alla mattina non credo stia in piedi nemmeno nella mente del peggiore peccatore. Eppure la prima parola che m’è venuta in mente è stata proprio “che fortuna!”.

Perché l’egoismo sta sempre lì acquattato, pronto a morderti alla gola come una bestia. Riuscire a tenerla lontana è la fatica di tutti i giorni. Di tutti gli istanti. Ma non è una croce che portiamo da soli. È bastato un pensiero alla Mamma per mandarla via, e se ne è andata lasciando solo il fetore del suo passaggio. Alla fine un odore che guarisce perché ti costringere a riflettere sulle tue meschinità e a chiedere perdono.

La felix culpa che si rinnova. Bisogna dare un nome alle tentazioni, ai mali che ci portiamo dentro. Lo sentivo dire da un sacerdote in una meditazione della quale mi ha fatto regalo –l’audio intendo- e mi ha indotto a riflettere: fingere di non essere assaltati dalle tentazioni, di non sentire quel messo di satana che ci schiaffeggia di continuo, la spina nella carne, è il primo errore che si possa commettere, il primo passo verso l’obrobrio. Non dare il nome alle cose, non prenderne possesso e porgerle a Dio perché le rimuova. Perché la confessione alla fine non è solo una cosa della religione, ma anche una cosa dell’uomo, della nostra materialità. Il medesimo sacerdote nella stessa meditazione faceva notare come tutto ciò che è di Dio è materiale, è carne, è corpo, è fisico: nel senso che non è solo spirito, ma l’inscindibile connessione tra le due dimensioni. Ciò che invece viene dal maligno, che è scimmia di Dio, è solo nell’ordine spirituale. Le potenze dell’aria di san Paolo. Curiosamente don Fabio, questo il suo nome, ha ripreso una frase che mi è molto nota e cara, cioè l’invito fatto da Dio ad Adamo ed Eva di custodire e coltivare il giardino, facendo notare che il primo pezzo di mondo che Dio ci affida è proprio il nostro corpo, che dobbiamo custodire e coltivare.

Difendendoci dal male che ci assedia. Dandogli un nome per riconoscerlo e guardarlo in faccia e ridere di lui.

Perché la forza che ci viene da Dio ha il potere di deridere il male e cancellarlo se siamo pronti a rivelarlo, a svelarlo dicendolo al confessore.

Senza avere paura delle nostre meschinità.

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