Blog | 15 Aprile 2012

LA SUORA E PADRE ALDO cap. 2 [data originale: 15.04.2012]

Quando arriviamo a 200 commenti Blogger ci impedisce di proseguire. Per questo
facciamo il secondo capitolo di questa bellissima Discussione. Penso che la cosa migliore sia copiare qui sotto solo qualcuno degli ultimi commenti. Sono tutti bellissimi e tutti meritano di essere scelti, ma non è possibile copiarne tanti.
Grazie!

Trovate il capitolo 1 di questa Discussione nella sezione “01. Discussioni” alla data originale. I post sono in ordine di data.
Grazie ancora.

198 risposte a “LA SUORA E PADRE ALDO cap. 2 [data originale: 15.04.2012]”

  1. Gian Paolo ha detto:

    Caro Mauro,

    lo sapevo che col tuo blog mi avresti messo nei guai. Comunque per ora ci sto e chiedo scusa a qualche interlocutrice per averla rattristata. In effetti non avevo letto tutto quanto contenuto nel blog e lo farò con piacere , con interesse per imparare e per condividere.
    Posso assicurare:
    – che di solito mi dicono “Meno male che parla lei, così ci divertiamo”,
    -che ho passato giornate presso una ammalata, dedicandole il tempo,che non avevo,attraversando in autobus mezza città, solo, perché in famiglia, tutti la curavano in modo tecnicamente perfetto, ma senza un gesto di tenerezza e questo la riempiva di una furiosa amarezza, minacciando la sua pace, negli ultimi mesi della sua vita,
    -che passo ore del mio tempo ogni giorno a fare iniezioni di speranza a gente sfiduciata e a cantare la bellezza e l’importanza che ogni persona ha davanti a Dio e davanti a me, importanza affettiva ed esistenziale.
    Non sono un allevatore di marines cattolici ma nemmeno di generoni lacrimosi.Oh che dolce compagnia oh che bella comunità! Questo si trova solo nelle scene del Mulino bianco per ammollarci biscotti non sempre all’altezza.
    Io però penso che gli uomini di oggi non abbiano bisogno di gratificazioni, solo emotive, labili come lo sono i sentimenti non sostenuti da un profondo aggancio ad una verità vissuta.
    Abbiamo bisogno della testimonianza della fedeltà. Questa è la vera coccola che dilata lo spirito e dà la pace al cuore. Non c’è niente di più doloroso che vedersi abbandonare da chi aveva giurato a Dio e per Dio a noi, di starci per sempre accanto in una impresa di amore, sia essa la famiglia che il celibato per il regno dei Cieli.
    Questi tradimenti che d. Mauro – nel suo libro e con la sua bontà – cerca in qualche modo di comprendere e di perdonare, usando espressioni che gli fanno onore, anch’io li perdono, mi domando se ne sono responsabile con le mie omissioni ma non posso far a meno di soffrirli come una ferita, come una tentazione e come una contro-testimonianza che toglie gloria a Dio. Dice il patriarca Giuseppe a proposito del tradimento dei fratelli, che Dio ne aveva tratto un grande bene per il popolo di Israele,ma io non riesco a non considerarlo un avvenimento doloroso e deprecabile, frutto dell’umana miseria.
    (continua)

  2. Mauro Leonardi ha detto:

    (continua)
    Quando contemplo un mio fratello o una mia sorella, (celibe o sposato, non fa differenza), che è fedele e sicuro, io mi sento veramente oggetto di una grande gratificazione che mi riempie di pace, anche senza grandi coccole o manifestazioni sensibili di affetto.
    I farfalloni affettuosi non fanno che riempirmi di inquietudini anche con la loro affettività che percepisco malferma ed esposta a fare dolorose sorprese.
    E la coccola delle coccole – l’unica a volte e in ogni caso quella sempre sicura – è la presenza di Gesù inchiodato per amore alla Croce, prigioniero di amore per me nel Tabernacolo. Contemplarlo spesso è l’unica vera consolazione, perché non sempre ci sono i fratelli a consolare o perché non si può gravarli delle nostre pene
    Non voglio dilungarmi; solo due brevi precisazioni.
    Gesù non soffre solo tre giorni, anche se in modo inimmaginabile, data la perfezione della sua perfetta sensibilità; Gesù soffre ogni giorno della sua vita con Maria perché percepisce in sè lo scandalo del peccato e si sa l’Agnello di Dio, il Servo di Dio, il segno di contraddizione, fin dall’infanzia. Leggendo il Vangelo in questa luce sono innumerevoli i segni della sofferenza redentrice di Gesù in tutta la sua vita e Maria gli è sempre accanto.
    In ultimo spiego perché il cento per uno, promesso a chi abbraccia il celibato per il regno dei cieli può offrire più consolazioni del matrimonio: la molteplicità e la varietà delle persone a cui dedicarsi con cuore libero offre molte più occasioni di essere ricambiati. Perché sono d’accordo che si ha bisogno di essere riamati , ma l’assenza di questa reciprocità che dovrebbe essere doverosa, ma può non esserci, non autorizza a volgere le spalle.
    Per concludere sorridendo: mia nonna, una emiliana doc – dopo essersi ribellata per un po’ al mio celibato – diceva al mio parroco “ Se sposa la santa romana Chiesa, almeno non gli metterà le corna”. Non è un argomento teologico, ma la consolava. E io, in Gesù, nei sacramenti e nella fraternità, l’ho trovato in qualche modo, sempre vero. Buona notte a tutti
    .

  3. Sbit ha detto:

    Mi dispiace ma non ci riesco a leggere questo blog di chiacchieroni… (quanti interventi sono, 100, 200?) Lo dico perché magari ripeto quanto ha già detto qualcun altro, nel caso, chiedo scusa in anticipo.

    Dunque: io non sono d’accordo con don Mauro. Mi sembra la reazione di chi risente delle sue personali ferite e non penso possa aiutare la suora a ritrovare la strada. Provo a spiegarmi.

    1. Se incontrassi Giobbe te la prenderesti con Dio che lo ha trattato troppo duramente? Perché Dio tratta duramente quelli che più ama… è dura ma è così (ah, e Lui sa quello che fa, non dimentichiamolo).

    2. Quando una persona entra in religione si mette su un cammino molto difficile e molto ambizioso. Come andare in alta montagna: per raggiungere la vetta tocca soffrire e anche accettare il rischio di cadere. Inutile scandalizzarsi che non ci sono le ringhiere o altre sicurezze o che viene la tempesta o manca l’ossigeno: fa parte del gioco.

    3. C’è modo e modo di dire “Devi pregare di più”. A me sembra che padre Aldo non stia parlando di preghierine, sta dicendo che l’unica via di salvezza è gridare al Signore con tutto il tuo fiato perché solo da Lui può venire la salvezza. Si può anche pensare di riformare il convento, e il Signore chiederà conto delle responsabilità di ciascuno, ma quella non è una “via di salvezza”: alla vetta soprannaturale non arrivi con soluzioni umane. Se la suora dovesse riprendersi perché miracolosamente il suo convento diventa più umano, il mio cuoricino sarebbe appagato, ma il suo cielo sarebbe un po’ più distante.

    4. Mi sono perso sul “c’è modo e modo”… Volevo dire: posso mettermi al tuo fianco piangere con te e dirti che devi pregare di più, oppure posso restare nella mia torre d’avorio e dirti che devi pregare di più, ma la risposta da darti rimane la stessa.

    Insomma: alle superiore dico che devono fare qualcosa perché il convento non sia un inferno, ma alla suora posso solo proporle — con tutta la mia compassione — di abbracciare la sua croce. E se mi sembra che Dio sia troppo duro con lei, come Giobbe metto una mano sulla bocca e non dico più nulla.

  4. Tres ha detto:

    Allora Don GianPaolo caro, eccomi. Lei dice:

    “Non sono un allevatore di marines cattolici ma nemmeno di generoni lacrimosi.Oh che dolce compagnia oh che bella comunità! Questo si trova solo nelle scene del Mulino bianco per ammollarci biscotti non sempre all’altezza”.
    Quando nella vita, e capita spesso, ti tocca mangiare biscotti non all’altezza, l’unico modo di mandarli giù senza strozzarsi è una buona tazza di latte genere “Mulino Bianco”. Sarà pure “generone lacrimoso” ma intanto mangi e ringrazi pure (due cose che fanno bene nella vita).
    A volte, purtroppo, se i discorsi funzionano ma non scaldano, si generano Marines cattolici.

    “I farfalloni affettuosi non fanno che riempirmi di inquietudini anche con la loro affettività che percepisco malferma ed esposta a fare dolorose sorprese.”
    Non tutto ciò che è affettuoso è farfallone. Le persone affettuose, al limite, sono un po’ appiccicose. Ma che male c’è a desiderare che Gesù, oltre che salvarmi dal peccato, mi cucini un po’di pesce e stia con me a guardarmi e chiacchierare?
    Sarà che, quando io “contemplo Gesù nel Tabernacolo”, Lui, nella “Sua infinità sensibilità”, non mi spiega la Trinità ma è affettuoso con me.

  5. Lidia ha detto:

    scusate condivido con voi una cosa che è successa ora.
    Una mia carissima amica cinese è qui in Italia a studiare da anni, ormai ha quasi finito, le manca la tesi. Si è battezzata qui in Italia anni fa, è venuta in Italia anche per poter praticare la fede più liberamente (è una lunga storia). Suo papà ha una metastasi da carcinoma al fegato. In Cina non lo curano perché è anziano e “improduttivo”. La mia amica aveva fatto tutti i documenti per farlo venire qui con sua mamma, dopo innumerevoli sacrifici, e lunedì prossimo dovevano venire e si doveva operare qui (a pagamento, ovviamente, perché sono “turisti”). MA sua mamma oggi si è rotta il ginocchio e la operano solo lunedì, perché in Cina nel week-end non si fa nulla. Suo papà allora non vuole più venire, si è depresso. La mia amica è disperata e oggi al telefono mi ha detto “Lidia ma Dio che fa, si diverte? prima tutte le difficoltà a laurearmi, poi i sacrifici dei miei genitori di stare lontani da me, poi la metastasi, e ora, che tutto pareva a posto…questo. Ma Dio che fa, si diverte a vedere quanto io più sto male, quanto resisto?”.
    Io non ho saputo che dirle. Che le dico? Ma che c’è da dire?

  6. Ester ha detto:

    Ho letto e riletto la lettera di d. Gian Paolo e anche il suo secondo intervento. Che dire? Chi ha ragione? Ma si tratta di ragioni? Un po’ su questo blog cosa mi è successo ve l’ho raccontato. Inutile tornarci.
    C’è stato un tempo in cui credevo che la fedeltà fosse una questione di volontà, di intelligenza ben orientata al mistero di Dio. Facile? No per niente, però ero sicura di questo. Non mi sarebbe mai accaduto di ritrovarmi impastoiata nelle vicende di cuori che ‘impazziscono’, che non capiscono più nulla, che persino sanno ‘rigirare’ la verità, perché la verità è una e non si cambia. Forte, decisa, sicura di me e della mia vocazione al celibato. Così sicura da conoscere i vangeli a memoria, perché se leggo le Scritture lo conosco e se lo conosco non mi stacco da Lui.
    C’è stato un tempo in cui ho pensato che tutto fosse stato una farsa. La verità il cuore (quello di noi donne soprattutto?!) la rigira in un batter d’occhio. Chi di voi non ha sentito, non solo da un celibe, ma anche da uno sposato frasi tipo “ma io avevo le fette di salame sugli occhi, non vedevo bene quello che stavo facendo, ero condizionato..” o cosa del genere. Il tempo dell’infedeltà, se volete possiamo chiamarlo anche così. Non che abbia fatto chissà quali cose di male, ma non è questo il punto. Il punto è che il cuore cercava altro, altro che non fosse quel freddo volontarismo, e quella sicurezza che sembra essere sinonimo di fedeltà, ma che a volte è solo la difesa guardinga delle nostre paure.
    C’è stato un tempo in cui ho pensato che fosse colpa di quello o di quella, di chi abitava con me e non mi amava abbastanza. Si chiama tempo della fuga. Come la suora di p. Aldo che se la prende con la sua comunità, con i superiori che non capiscono. E ben venga anche questo tempo, se è un tempo di passaggio. Io lo rispetto perché dietro tutto questo c’è sempre un desiderio di bene e di verità, e ben vengano anche i cambiamenti dentro le nostre realtà, per renderle più a ‘misura d’uomo’.
    Poi mi sono guardata dentro e mi sono detta: cosa vuoi fare? Andartene o cercare? È stato il tempo dell’umile fiducia in chi mi accompagnava. Il tempo in cui riscoprire che quando si è “malati non c’è bisogno solo della fredda tecnica, ma di quel prete (o quell’amico/a) che attraversa mezza città, per passare un po’ di tempo con te che mendichi solamente un gesto di tenerezza”. Il solo linguaggio che si riesca a capire, quando la verità non si sa più da che parte sta e la volontà è diventata come una goccia di rugiada che al sole svanisce!
    E ora c’è il tempo di chi ha deciso di rimanere. Non lo chiamo il tempo della fedeltà, addosso a me sembra una parola tanto grande. È il tempo di chi forse ha un po’ compreso che per lei tutte queste cose erano necessarie: la volontà, il cuore, la fuga, l’umile fiducia… per imparare a rimare. Ho bisogno di tutto questo, tutto questo, insieme, unito è la preghiera più bella che possiamo fare al Padre del cielo… vi ho già detto che un tempo ho letto qualcosa di s. Francesco, di lui il biografo scrive che “Francesco non era un uomo che pregava, ma un uomo fatto preghiera!”…. una vita fatta preghiera, il mio corpo, il mio cuore, la mia intelligenza,…anche i miei sbagli… fatti preghiera!
    Anche quando si è arrabbiati come Gesù il venerdì santo: bello quel canto. L’ho ascoltato anch’io ma non avevo pensato all’arrabbiatura di Gesù che dice : Popule meus, quid feci tibi? Responde mihi?”. Lidia assomiglia un po’ alla domanda della tua amica cinese! Scusate sono stata veramente prolissa… e con questa storia del tempo mi sembro quasi Qoelet!!!

  7. Fefral ha detto:

    Torno sugli interventi di don Giampaolo (scusatemi ma in questi giorni ho davvero pochissimo tempo e non riesco ad essere costante, quindi potrei ripetermi su altri interventi che magari mi sono sfuggiti).
    C’è un punto che non mi sembra molto chiaro dai suoi scritti e che per me invece è fondamentale. Da quando ne ho scoperto la portata, aldilà delle semplici parole, mi si è aperto un mondo per quanto riguarda l’amore a Dio e l’affettività. Nel vangelo Gesù ci insegna in maniera molto chiara ed esplicita il modo in cui dobbiamo amare Lui, e quindi di conseguenza cosa significa “lasciare tutto e seguirlo”. “tutto ciò che avrete fatto ad ognuno di questi piccoli l’avete fatto a me” “non c’è amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici”
    La carità fraterna non è, come sembrerebbe ad una lettura veloce di quello che scrive don Gianpaolo, un semplice aiuto per la perseveranza (nostra e degli altri). Ma è “IL” modo in cui Gesù ci indica di cercarlo e di trovarlo. Solo nell’amore agli altri troviamo Cristo. Se manca quest’amore (con manifestazioni anche concrete, nutrire, vestire, curare) manca l’amore a Cristo (tutte le volte che non avete fatto questo a uno di loro non l’avete fatto a me). Non si tratta di coccole e smancerie, ma di amore vero per il Cristo che è nascosto in ogni persona che abbiamo accanto. Ed è sostanza, molto più sostanza di quella fedeltà intelligenze e volontaria ma tante volte fredda e razionale. È in quest’amore dato e ricevuto che si trova il senso della perseveranza, qualunque sia la vocazione che stiamo vivendo. Non nelle mezze ore di orazione comode e tranquille davanti al tabernacolo, o almeno non solo in quelle. Ma piuttosto nel tempo speso a cambiar pannolini, o ad ascoltare i problemi di lavoro di un marito stanco, o a insegnare a un giovane collega l’ABC del suo lavoro, o a mangiare una pizza insieme a un amico che ha avuto una giornata storta e ha voglia di distrarsi un po’.
    Aggiungo, è amore fraterno anche mostrarsi deboli, sofferenti e tristi davanti alle persone che amiamo, pur sapendo che probabilmente non riceveremo da loro consolazione, proprio come è successo a Gesù nell’orto degli ulivi. Ma questo non gli ha impedito di cercare la compagnia degli amici più cari, senza nascondere loro la sua paura, e la sua sofferenza. A quel punto
    sì che dobbiamo sapere essere disposti a rimanere soli, senza consolazione, senza la comprensione delle persone che amiamo.

  8. Dory ha detto:

    ç Ester- hai fatto un intervento bellissimo in cui mi sono rivista tanto…All’inizio è difficile accettare che anche le nostre paure, le nostre imperfezioni, le nostre inc*****ture possano ESSERE preghiera, come tutto di noi. Io sono a quel punto. Non ho avuto una formazione adeguata al matrimonio cristiano e più in generale al cristianesimo. E oggi mi trovo a dover accettare che la mia fedeltà In Lui,sta nell’offrire con amore anche le cose che non vanno, gli errori che non si possono più rimediare e anche quelli che, se si rimedieranno…Chissà quando succederà! Mi presento all’altare come ad una festa con un regalo impacchettato male ( in effetti i miei pacchi regalo sono noti per le loro sembianze schifose…Ho una manualità pari allo 0!!!) ed è questo, solo questo che posso offrire al Signore! Prima sarei scappata. Come posso presentarmi così? Ora dico al Signore…Ecco la mia vita. Te la dono. Lo so…E’ incartata male. Ma te la dono così con tanto amore. E tu sai, leggendo nel mio cuore, che se avessi potuto avere altre mani, ti avrei confezionato il pacco regalo più bello. La consolazione è che Tu, Tu puoi vedere cosa avrei voluto offrirti, cosa vorrei offrirti ora se solo potessi e vedi anche la povertà che invece ho tra le mani e anche la mia vergogna, la mia intensa sofferenza per la distanza che c’è tra quello che vorrei ( e che appena appena sto iniziando a comprendere) e quello che vivo ogni giorno. Ma Tu sei con me! Anche io ho bisogno di tutto questo!!!
    ç Ribelle- la meditazione è bella…L’unica cosa su cui non sono d’accordo (ma forse è frutto della mia fantasia) è che i santi siano persone perfette…Sai mi piacerebbe che qualcuno scrivesse la vita quotidiana dei santi: io mi sono sempre immaginata che S. Paolo fosse sempre rimasto, anche dopo la caduta da cavallo – uno “spiritaccio”, irruente ed impulsivo, la Maddalena una donna pudicamente attenta alla propria bellezza e castamente “civettuola”…Escrivà uno un pò “rompiscatole” e fissato con l’ordine e guai chi sgarra… E così via!!! Non voglio sembrare irrispettosa, non è assolutamente la mia intenzione:la mia fantasia mi fa immaginare questi santi così “umani” e rivolgermi a loro immaginandoli così…Mi fa sentire più a mio agio. Me li fa sentire più vicini (dipende sempre dal fatto che non sono uno spirito mistico…)! Certo non pretendo che sia una tecnica di preghiera proprio ortodossa, forse anzi sbaglio a “fantasticare” e pregare così..Ma risponde al mio cuore!

  9. Tres ha detto:

    @Ribelle, grazie della meditazione, ti confesso che preferisco i complimenti e gli elogi, però va bene pure una sana discussione, pensa che strazio se qui fossimo tutti daccordo e a dirci quanto siamo bravi (però ogni tanto diciamocelo). Il commento di @Don Mauro mi piace molto: non un aut aut ma un et et e una grigliata di pesce.Ciao e buona domenica.

    @Lidia, lunedì questo c’è l’operazione del papà della tua amica cinese? Se le fa piacere dille che io prego, se invece la irrita, lascia perdere tanto penso che quello di cui ha più bisogno sia una dose di Lidia-via cavo!

    @Dory sai che pensavo la stessa cosa che dici tu sui santi? Devo dire che molte vite dei santi moderni presentano meno occhi rovesciati e più vita vera, umanamente santa. Bel commento, grazie.

  10. Monica ha detto:

    Mi ritrovo molto in quel che dici tu; grazie Ester per averlo voluto condividere! Ci sono momenti di tempesta che attraversano la vita di tutti; il problema è come si sono vissuti gli anni che ci hanno portato fino a certe scelte, e aver capito a chi poter dare fiducia. Ché poi uno non ha mai deciso una volta per tutte: ha sempre bisogno di fare esperienza della pochezza che è, e del bisogno assoluto che ha dell’altro, degli altri, di un Altro. “Natura non facit saltus”, ho sentito dire una volta; non possiamo saltare nessun pezzetto della nostra umanità, anche se non ce l’aspettavamo, così come ci si fa incontro giorno per giorno…

  11. Paola ha detto:

    Ester, che pace quello che scrivi! Non la pace del mondo che poi è quel momento tra due battaglie o, peggio, l’ipocrisia di non affrontare la guerra. Ma la pace come frutto dello Spirito Santo che è, poi, stare nel tuo pezzo di storia con il cuore pulsante. Ascoltati questa canzone cantata da Eros Ramazzotti e Giorgia (questo è il link http://www.youtube.com/watch?v=CGh_4Mp4Pwk ).
    Il titolo è “Inevitabile” e mi emoziona lì dove cantano “finirci dentro è inevitabile”. Proprio come nella nostra vita, nel sogno che Dio ha su di noi: è inevitabile finirci dentro.
    Sono sicura che ti piacerà!

  12. Ribelle ha detto:

    Scusate se intervengo ancora, ma voglio ringraziare Ester per queste bellissime parole “Francesco non era un uomo che pregava, ma un uomo fatto preghiera!”…. una vita fatta preghiera, il mio corpo, il mio cuore, la mia intelligenza,…anche i miei sbagli… fatti preghiera”
    A me queste parole dicono tantissimo, perchè in molti momenti l’uomo non può fare altro che “gridare” a Dio, trasformare in preghiera continua,tutto ciò che vive..Se ho già riportato questo brano sul blog,cancellatelo pure, ma leggendo il comm di Ester,mi è tornato in mente e sono andata a rileggermelo…
    “Francesco passeggiava con Leone lungo un corso di acqua limpida.
    – Se noi potessimo disporre di un po’ di questa purezza – disse Leone – potremmo conoscere anche noi la gioia folle ed esuberante della nostra sorella acqua, nonché il suo slancio irresistibile.Traspariva in queste parole una profonda nostalgia. E lo sguardo di Leone fissava, colmo di tristezza, il ruscello che continuava a scorrere nella sua inafferrabile purezza..E ripresero entrambi il cammino. Dopo una pausa di silenzio, Francesco chiese a Leone:
    Sai tu, fratello, in che cosa consiste la purezza del cuore?
    Nel non aver nessuna colpa da rimproverarsi – ribatté Leone senza esitare.

    Allora comprendo la tua tristezza – soggiunse Francesco – giacché abbiamo sempre qualcosa da rimproverarci.

    Sì – soggiunse Leone – ed è questo pensiero che mi fa disperare d’attingere un giorno la purezza del cuore.

    Ah, frate Leone, credimi – ribatté Francesco; – non ti preoccupare tanto della purezza dell’anima tua. Volgi lo sguardo a Dio. Ammiralo. Rallegrati di Lui che è tutto e soltanto santità. Rendigli grazie per Lui stesso. Questo, appunto, significa avere il cuore puro.
    E quando ti rivolgi a Dio così, guardati bene dal tornare a ripiegarti su te stesso. Non chiederti mai a che punto sei con Dio. La tristezza che provi nel sentirti imperfetto e peccatore è un sentimento ancora umano, troppo umano. Bisogna guardare più in alto, molto più in alto. C’è Dio, l’immensità di Dio ed il suo inalterabile splendore. Il cuore puro è quel cuore che non cessa di adorare il Signore vivo e vero. Il cuore puro non si interessa che alla esistenza stessa di Dio, ed è capace, pur in mezzo alle sue miserie, di vibrare al pensiero dell’eterna innocenza e dell’eterna gioia di Dio. Un cuore siffatto è al tempo stesso sgombro e ricolmo. Gli basta che Dio sia Dio. In questo pensiero il cuore trova tutta la sua pace, e tutta la sua gioia. E Dio stesso diventa allora tutta la sua santità.

  13. Ribelle ha detto:

    CONTINUA….
    Dio, nondimeno, esige da noi che ci si sforzi d’essergli fedeli – fece osservare Leone.

    Sì, senza dubbio – soggiunse Francesco. – Ma la santità non consiste in un compimento del proprio essere, né in uno stato di pienezza. La santità consiste, innanzitutto, in un vuoto che si scopre in noi e si accetta, e che Dio ricolma di sé nella misura in cui noi ci si apre alla sua pienezza.

    «La nostra miseria, allorché viene accettata, diventa lo spazio libero dove Dio può ancora creare. Il Signore non consente a nessuno di togliergli la gloria. Egli è il Signore, l’Essere unico, il solo Santo. Ma prende il povero per mano, lo estrae dal suo fango e lo invita a sedere fra i principi del suo popolo, perché prenda visione della sua gloria. Dio diventa in tal modo l’azzurro dell’anima sua.

    «Contemplare la gloria di Dio, frate Leone, scoprire che Dio è Dio, e Dio per sempre, ben oltre la nostra condizione umana, rallegrarci di Lui, estasiarci dinanzi alla sua eterna giovinezza, rendergli grazie per Lui stesso e per la sua misericordia che non verrà mai meno, tutto ciò costituisce la più profonda esigenza di quell’amore che lo Spirito di Dio non cessa di diffondere nei nostri cuori. In ciò, appunto, consiste per noi l’avere il cuore puro.

    «Ma questa purezza non si ottiene con la forza dei pugni tesi né con lo spasimo.

    E come, allora? – chiese Leone.- Bisogna semplicemente spogliarci di tutto. Far piazza pulita. Accettare la nostra povertà. Rinunciare a tutto ciò che pesa, perfino al peso dei nostri peccati. Non veder altro che la gloria del Signore e lasciarcene irradiare. Ci basta che Dio esista. Allora il cuore si fa più leggero e non sente più se stesso, come l’allodola inebriata di spazio e d’azzurro. Libero da ogni cruccio e preoccupazione, il cuore non aspira se non ad una perfezione che coincide con la pura e semplice volontà divina.

    Leone camminando, sentiva il suo cuore farsi più leggero e pieno di pace.

    Dentro ciascuno di noi esistono fonti inesauribili di amore. Fontane ‘sorgenti’, coperte però dai detriti dell’abitudine, della fretta, DELLA INCAPACITA’ DELLA PREGHIERA. Perché la preghiera in cosa consiste se non in parole riempite di silenzio, che ci immettono in un dialogo ‘infinito’, in sterminati orizzonti?

  14. Ester ha detto:

    Grazie Paola, appena ho tempo vado a sentirmi questa canzone… non la conosco, ma il titolo mi attira: inevitabile!!!
    Vorrei dire a Sbit una cosa. Amo molto la montagna e spesso prendo a paragone della vita l’immagine che usi tu dello scalare. Quando ero un po’ più giovane e un po’ più incosciente andavo anch’io ad arrampicarmi su per le rocce… mai da sola, è una pazzia! Sempre in cordata. Una volta stavo con un personaggio quasi leggendario, uno di quelli che apre i percorsi, cioè che parte per primo, mette i chiodi, allunga la corda, posiziona i moschettoni… insomma un vero esperto. Aveva tutte le mani piene di cicatrici e gli ho domandato cosa avesse mai fatto per ridurle in quel modo.
    Paziente si è messo a spiegarmi che il primo rocciatore che parte in cordata sale da solo, è vero, ma la sua vita dipende da quello che rimane a terra e che tiene la corda che lui piano piano va tendendo sulla parete. Insomma una volta l’amico che era salito per primo ha fatto uno sbaglio ed è scivolato, inesorabile, lui sotto teneva la corda è ha cominciato a stringerla, a puntare i piedi per fare da contro peso, ma la corda gli scivolava nelle mani… per dei secondi interminabili, fino a quando si è fermata la corda e si è fermata anche la caduta dell’amico. Le mani sanguinanti, un dolore terribile, ma non ha mollato fino a quando l’amico non si è risistemato in parete, sicuro ed è sceso. Alla fine al pronto soccorso è andato lui con le mani tutte ridotte a brandelli….
    È vero si sale da soli, ma al momento della caduta è così importante che qualcuno sappia tenerci stretti, forse facendosi pure male… cosa c’è a fare la Chiesa altrimenti?!
    …e poi hai ragione è un blog di chiacchieroni! A proposito dove sono finiti Polifemo e La sciagurata?!
    Lidia come è finita la storia della tua amica cinese?

  15. Gian Paolo Colò ha detto:

    Caro Mauro,
    sto entrando nella “mentalità “del blog, apprezzo tutti i contributi, profondi e molto sinceri. Appena avrò il tempo di capire come si risponde direttamente lo farò. Ora sto predicando un ritiro spirituale e non ho tempo per dedicarmi a capire meccanismi informatici, mentre alcuni interventi sono stati utili anche per arricchire, addolcire ( eh, signore interlocutrici, vi sembro senza cuore, forse perché non è facile addomesticare il proprio per renderlo disponibile dimentico di sé ! ) o insistere sull’importanza dell’intelligenza nella disciplina del cuore.
    Voglio ravvivare il discorso importantissimo che stiamo facendo attirando la vostra attenzione sul tema della fedeltà oggi ,ai patti che comportano una donazione personale per sempre.
    Mi pare si tratti di un tema che provoca stragi nelle famiglie e anche nella Chiesa e sta facendo fuggire a titolo preventivo ( meglio che non mi impegni !) dal matrimonio e dl celibato.
    Le mie domande sono: perché succede questo ? Non ci rendiamo conto che la fedeltà ha una importanza oggettiva e sociale grandissima, aldilà di quanto possa essere affettivamente gratificante? Il pacta sunt servanda non è più vigente ? Come si può educare per rendere possibile e serena la fedeltà, anche se comporta lotte, con la pace che è frutto delle vittorie sudate? Solo i capitani delle navi ( crocifissi se le abbandonano quando stanno naufragare ) debbono resistere fino a rischiare la vita? E gli altri ?
    Buona giornata a tutti gli appassionati interlocutori del blog ( scusate della parolaccia generica e astratta “interlocutori”, imparerò presto i vostri nomi ) e vi dirò quello che mi suggeriscono i vostri interventi.

  16. Tres ha detto:

    Allora l’aspettiamo, così ragioniamo su tutte queste cose. Grazie.

  17. Mauro Leonardi ha detto:

    @ Gian Paolo
    Visto che stai cominciando a impratichirti, considera la possibilità di usare un nickname.

    Ti copio qui quello che scrivevamo nella sezione “il nostro blog” laddove si dicevano “tre cautele”. Comunque decidi tu.

    1) Nomi, cognomi, nickname & anonimato.

    “Su internet ciascuno si firma come vuole. Ma negli altri blog quasi nessuno usa i propri nomi. Perché a chi legge un blog non importa sapere come ti chiami ma gli interessa leggere quello che scrivi. Per capire lo spessore dei contenuti la firma è ininfluente. Ciò che caratterizza le persone nel mondo virtuale è ciò che dicono non come si firmano. Sono sicuro che dopo tre mesi tutti saprete accorgervi se certe cose le scrivo perché sono autentico, perché lì dentro ci sono io, o perché “devo”. Può essere perfino divertente scoprire l’identità di chi scrive tra le righe. Forse è anche un modo per diventare un po’ amici: si possono scrivere e leggere cose che magari guardandosi in faccia ci si direbbe solo dopo due anni. E se uno vuole fare l’hacker si isola da solo. Oltretutto esigere che su internet ci si firmi è inutile. Non sapremo mai la verità. E’ come se io pretendessi che voi mettiate le vostre foto accanto al nome. Sarebbe un’ idiozia, ma non solo.
    Sarebbe anche pericoloso. Perché ciascuno di noi ha una famiglia, figli, parenti. E forse anche una famiglia spirituale. Il blog è mio per cui io devo dire per forza chi sono, ma quante volte devo pensare e ripensare se una cosa scriverla o no, dirla o no. Chi ci andrà di mezzo? Sì: questi ragionamenti io sono costretto a farli ma vorrei togliere a voi questo peso. Fate come volete, ma se volete seguire il mio consiglio sceglietevi un vostro profilo, un nickname. Anche “anonimo” va bene (poi però bisogna fare la caccia al tesoro per distinguerli).”

  18. Tres ha detto:

    Oggi ho letto questa cosa dalla seconda lettera ai Corinzi di S.Paolo: “Infatti, da quando siamo giunti in Macedonia, il nostro corpo non ha avuto sollievo alcuno, ma da ogni parte siamo tribolati: battaglie all’esterno, timori all’interno. Ma Dio, che consola gli afflitti, ci ha consolati con la venuta di Tito, non solo con la sua venuta, ma con la consolazione che ricevuto da voi. Egli ci ha annunciato il vostro desiderio, il vostro dolore, il vostro affetto per me, cosicchè la mia gioia si è ancora accresciuta.”
    Ecco questa è l’affettività di cui parlavo, forse in termini un po’generone romantico e sentimentale. Uno ha il corpo tribolato da fuori e da dentro e Dio ci consola mandandoci…Tito, l’amico, e con lui l’affetto e desideri e dolori di chi ci vuole bene. Dio lo sa che Lui basta ma sa anche che ci piacciono i regali, i Titi.

  19. Tres ha detto:

    Scusate: “che ha ricevuto da voi”, non “che ricevuto”.

  20. Mauro Leonardi ha detto:

    Questo commento è stato eliminato dall’autore.

  21. Gian Paolo Colò ha detto:

    Caro Mauro,

    per mie assenza e difficoltà varie, il mio….consulente informatico non mi ha potuto ancora istruire sul funzionamento del blog. Io vado istruito come una scimmia, per giunta refrattaria, per precedenti condizionamenti.
    Spero sia l’ultimo messaggio, prima di mettermi …. la mascherina dello pseudonimo. In verità la cosa non mi convince del tutto, perché mi pare che la sincerità e la disponibilità a dare la faccia sia una condizione di maturità e una garanzia di una comunicazione costruttiva e aperta. Lo pseudonimo mi fa pensare tanto agli “alcolisti anonimi” ( scusa l’ironia, che non vuole essere una critica ) come se il blog non fosse una conversazione chiara ma una specie di psicoanalisi o di terapia di gruppo per scansare i pericoli della franchezza davanti a tutti. La mia idea è che se uno pensa una cosa deve dirla senza vergogna, se se ne deve vergognare è meglio che smetta di pensarla o comunque la tenga per sé e la affidi al confessionale o alla direzione spirituale. Una direzione spirituale collettiva e anonima mi pare disorientante. Ma forse sono all’antica. Nota bene. Non è un discorso da prete senza la “mascherina”. Me lo insegna l’esperienza: nelle cose personali è un male,avere una specie riserva chiusa a tutti e rivelata senza rivelarsi, a chi ci è simpatico.
    Voglio assicurare Tres che io non sono contro le manifestazioni di affetto, l’attenzione a consolare, il saper prevedere il disagio del fratello e venirgli incontro anche con una battuta allegra; io mi sono sentito tradito dei “teneroni affettuosi” ( non generoni: errore di stampa fu!) che poi non esitano a venir meno tradendo l’affetto profuso nei loro confronti, solo perché non sentono più, perché essere fedeli costa troppo o non è autentico. L’emotivismo contemporaneo crea questi…”mostri”: mostri in quanto contraddittori in se stessi e nell’essere prima affettuosi e poi pronti a smentire tutto l’affetto con un abbandono. Direi che la mia delusione tradisce piuttosto un sentimento ferito che non un freddo razionalismo.
    Cito per la consolazione di Tres un altro brano del grande s. Paolo che un po’ la conferma e un po’ la smentisce. Dalla seconda lettera a Timoteo , 4, 9 e seg“ Cerca di venire presto da me, perché Dema mi ha abbandonato, avendo preferito le cose di questo mondo …….(ecc ) Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito: tutti mi hanno abbandonato. Nei loro confronti non se ne tenga conto. Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza …..Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli …”
    Tante cose a tutti.

  22. Mauro Leonardi ha detto:

    Gian Paolo se vuoi scrivi pure con il tuo nome. L’unico problema è che questo ti impedisce di passare dal livello della considerazione astratta ai racconti veri sulla tua vita. Nei racconti della tua vita ci sono fatti, persone, che presumibilmente non gradiscono finire sul blog senza un permesso esplicito.
    Io – che non posso usare uno pseudonimo – quando racconto cose della mia vita devo stare molto attento a decontestualizzare (lo dichiaro espressamente) luoghi, nomi, epoche. Dipende quindi se tu riesci ad avere la fantasia sufficiente. Per esempio quando ci hai raccontato di quando porti la comunione alla malata ci hai commosso ma è chiaro che qualcuno potrebbe capire di chi si tratta. Niente di male, in questo caso, anche se forse i parenti che la lasciano sola – come tu dici – non sono così contenti che tu lo dica.
    Se no, sei costretto a rimanere sull’ astratto.
    Un abbraccio.

  23. Tres ha detto:

    Don Gian Paolo, no! Era un errore “generone”? Insieme a “marines cattolico” erano due neologismi che mi piacevano un sacco. Va beh.
    “Direi che la mia delusione tradisce piuttosto un sentimento ferito che non un freddo razionalismo.”Don Gian Paolo, grazie della precisazione. Io Don Gian Paolo non so molto dell'”emotivismo contemporaneo” ma forse è tutto ciò che non è fedele che prima o poi tradisce e fa sentire abbandonati. Quando non si è fedeli viene a mancare tutto, non solo l’affetto. Però almeno uno ha dei bei ricordi, momenti di affetto passati insieme, parole, gesti, che se ne sono andati con la persona, ok, ma ci sono stati. Io mi ricordo di un’amica l’affetto non le citazioni dotte. Mi rendo conto che abbiamo ragione tutte e due ma io sono fatta così e meglio non mi riesco a spiegare. Però lo sa che lei con questo suo terzo (mi pare intervento) è già venuto fuori un po’ più affettuoso. Grazie! P.S. A me quel “vieni presto da me, perchè Dema mi ha abbandonato”, mi fa tanto generone-tenerone-affettuoso!

  24. Vera ha detto:

    @ don Gian Paolo vorrei risponderle e con il cuore in mano , con la mia esperienza di vita riguardo alle delusioni tremende delle persone che dicevano di amarmi e dalle quali ho ricevuto dolori. Primo tra tutti mio padre… che mi impediva di essere me stessa… poi mio marito che mi costringe dopo anni di matrimonio ad uscire di casa perchè io lo derubavo di tutto visto che mi manteneva e non voleva più farlo (io facevo la casalinga)… poi la persona che mi ha veramente uccisa dentro è stato il mio padre spirituale dopo tre anni di meravigliosa comunione spirituale e mai avrei pensato di perderlo rifiutata probabilmente a causa di mio marito che aveva deciso di farmela pagare distruggendo tutti i rapporti positivi che avevo e quella della direzione spirituale era per me essenziale, era un porto sicuro nella mie tribolazioni. costretta a cambiare parrocchia per non amata anzi rifiutata finisco presto sulla brace incontrando un sacerdote esorcista che vedeva nella mia sofferenza (matrimonio e paternità perduta) elementi per dire che ero disturbata dal nemico… conseguenza mi sentivo isolata e ammalata sul serio se non sono impazzita e non ho perduto la fede è solo un miracolo! Tutti ho perduto con il tempo , tutti mi hanno voltato le spalle….. ma io ho continuato a credere nell’amore incondizionato e gratuito di Dio per la mia persona e che tuto doveva avere un senso, ne ho cercato la ragione in Lui, davanti a lui per mesi e forse anni.. chiedendo la grazia del perdono dentro di me, mi ha risposto e mi ha reso più forte. Mi ha fatto la grazie di perdonare continuando ad amare…. non mi ha mai tolta la fiducia in voi sacerdoti, mi inginocchio davanti al vostro sacerdozio come a quello di Cristo. Il mio moodo di rapportarmi con la gente è sempre lo stesso anche se dovessi prendere calci e pedate e altri abbandoni,sinceramente non importa, io non posso essere diversa da quella che sono, se amo amo veramente a qualunque costo. Dio mi ha dimostrato e mi dimostra sempre che è lo stesso amante senza condizioni a dispetto di tutto… se lo accetto oppure no ferendolo, lui mi ama con lo stesso amore e non lo tira indietro neppure se non è corrisposto! è quello che mki sento chiamata a fare io .

  25. sbit ha detto:

    @Ester
    Sono ben d’accordo sull’imprudenza di avventurarsi in montagna da soli: in senso letterale e anche in senso metaforico. Io però avevo in mente la suora da cui è partita la discussione e penso che quando uno si avvia per la strada ardua della vocazione religiosa deve rinunciare ad ogni sicurezza e fidarsi di Dio. Le sicurezze “previste” ci sono: superiori, direttori spirituali ecc. ma non sono garantite.

    E poi, adesso che ho avuto il tempo di sbollire, mi rendo conto che la mia reazione è dovuta al fatto che certi giorni anche a me le mani fanno male e ho tanta voglia di dire a certe persone: “Va bene che cerco di farti sicurezza, ma non potresti smetterla di appenderti alla corda e invece cercare di sfruttare un po’ di più gli appigli che hai?”

    Oggi ho letto qualche commento in più di questo blog: davvero grandi chiacchieroni… ma che bei chiacchieroni! Mi piacerebbe potervi seguire con più assiduità.

    @Don Gian Paolo
    Secondo me lei deve continuare ad usare il suo nome. La sua personalità è troppo esuberante per sopportare le limitazioni di uno pseudonimo. Quanto alla prudenza, mi pare che non sia mai stata il suo forte ed è anche per questo che tanti le vogliono bene. Perché cambiare proprio adesso?

  26. Mauro Leonardi ha detto:

    @Gian Paolo
    Chissà forse sbit ti conosce bene… comunque fai come credi…

    @Vera
    Il tuo commento mi ha veramente commosso. So che preghi tanto per noi, effettivamente il nostro è il sacerdozio di Cristo, anche se il nostro sacerdozio è al servizio del sacerdozio comune dei fedeli. Vabbé un giorno ne parliamo.

  27. fefral ha detto:

    ragà non riesco più a starvi dietro!
    Sull’uso del nick o del proprio nome ho già detto la mia. Secondo me ognuno deve fare come gli pare, basta che si senta a suo agio. Per qualcuno il nick può significare nascondersi, per qualcun altro invece è l’unico modo per potersi presentare nel blog in maniera autentica (anonimo non vuol dire falso, finto).
    Quindi, don GianPaolo, se non sente l’esigenza di un nick non perda tempo a cercarlo.
    Ciao a tutti, sto sott’acqua, prima o poi riemergo.
    Ma la sciagurata è scappato? E polifemo ha finito la sua settimana di punizione?

  28. Tres ha detto:

    Ciao Fefral!

  29. Dory ha detto:

    Vera…per quel che vale: ti sono vicina con il cuore e con la preghiera. Seppur virtualmente, commossa, ti abbraccio! Gr5azie per la testimonianza toccante che ci hai donato.

  30. fefral ha detto:

    ciao tres!

  31. Gian Paolo ha detto:

    Caro Mauro,

    purtroppo ancora il mio consulente informatico non è disponibile e perciò continuo con le lettere.
    Ringrazio sbit perché mi considera amabile, “in quanto imprudente”. Mi pare il complimento che mi fece una persona dopo una lezione di teologia: “ La ringrazio perché, senza tanta teologia, ci ha spiegato come stanno le cose (sic!). O un altro che mi ha detto: “Lei ha una grande qualità: riesce a “banalizzare tutto”(sic!)
    A parte gli scherzi, vorrei ritornare sull’idea del come e perché occorre essere fedeli ai patti fatti, donandosi a Dio o a un’altra persona per la vita. Mi pare che potrebbe essere anche il tema di un dialogo a parte.

    Io lancio questa provocazione: ”Ogni fedeltà mantenuta richiede un amore disinteressato e sacrificato, anche se gratificante ed è un modo in cui si manifesta nella realtà l’immagine di Dio. Ogni impegno fedele è una luce posta sul candeliere che illumina tutta la casa. Al contrario, ogni patto rotto spegne una luce e rende più lontano e meno amabile l’uomo. Forse l’uomo o la donna infedele può essere più bisognoso/a di comprensione e di misericordia, ma gela il cuore e rende più banale e insignificante la vita”.

    Insomma per me ogni infedeltà è un danno netto a tutto il creato, è un fatto pubblico e oggettivo che avvelena la speranza nell’uomo, distrugge quello che la donazione per sempre ha “edificato”. E’ la negazione stessa dell’”edificante”.
    Un mondo pieno di infedeltà è un mondo pieno di macerie e camminare tra le macerie è triste e scoraggiante e fa passare la voglia di costruire. Non si deve trattare della fedeltà solo in termini di convenienza soggettiva, di benessere psicologico ma anche in termini di rilevanza oggettiva, di responsabilità antropologica. Un mondo e una chiesa piena da di infedeltà sono un mondo e una chiesa inquinati e inquinanti: certo la speranza resta e Dio trae grandi beni dai grandi mali, ma noi che facciamo? Ci nascondiamo dietro le nostre o le altrui fragilità ? certo tutto è grazia, ma bisogna anche cooperare:i santi, canonizzati i nascosti, grandi testimoni di fedeltà, restano oggi più che mai una grande luce.
    Che ne dici di mettere sulla piazza del blog queste “affermazioni radicali,…. imprudenti ?
    La cara Vera può essere in negativo – per quello che ha sofferto- e in positivo – per come ha saputo essere fedele, nonostante tutto – un esempio vissuto di quanto dico.
    A Tres assicuro che sto cercando di diventare sempre più buono, ma non troppo sennò non si campa più.

  32. fefral ha detto:

    si vabbè, fedeltà. Ma parlare di fedeltà rischia di spostare tutto su un piano solo volontaristico. E sinceramente ne ho le balle piene di un amore raccontato solo some atto di volontà.
    La fedeltà è un valore se è libera. Si può essere fedeli a una vocazione, a un matrimonio, a Dio solo se siamo prima di tutto liberi. Altrimenti è bacata all’origine. Non posso essere fedele ad un altro se non sono fedele prima di tutto a me stessa, a chi sono io. Cioè quello che voglio dire, don GianPaolo, è che la fedeltà è importante e sono d’accordo con lei che ogni infedeltà è un danno a tutto il creato, ma una fedeltà che prescinde dalla libertà personale e si limita a un’obbedienza cieca ai compromessi derivanti da un impegno assunto senza libertà è una fedeltà finta. Attenzione quindi a richiamare all’importanza di essere fedeli all’impegno preso senza prima appurare che sta parlando con una persona libera

  33. Tres ha detto:

    @Don Gian Paolo mi ero complimentata sull’affettuosità non sulla bontà! Non mi permetterei di dire quanto è buono.
    La bontà rende la nostra giornata e il nostro cuore molto affollati di persone che, presenti o assenti, ce li invadono entrambi. E il suo cuore e la sua giornata li conosce solo lei.

  34. Tres ha detto:

    @Don Gian Paolo ho letto quanto lei dice sulla fedeltà e me lo devo studiare prima di rispondere.
    Ho parlato ora con una cara amica, tantissimi anni di matrimonio dove il marito ha rotto tutto quello che c’era da rompere e lei è fedele, fedele a tutto ma, mi dice, io sono morta. Io le chiedo ma quando da lei viene una persona infedele o a cui gliel’hanno rotto il patto, e lei pensa che l’infedeltà “gela il cuore e rende più banale e insignificante la vita” e che “ogni infedeltà è un danno netto a tutto il creato” come fa a dare “comprensione e misericordia” a quella persona?
    Dobbiamo ragionarci su, ha ragione, e in più teniamo presente quello che ci dice @Fefral. Arrivederci e a presto.

  35. Mauro Leonardi ha detto:

    Questo commento è stato eliminato dall’autore.

  36. Mauro Leonardi ha detto:

    Nella seconda Discussione del nostro blog (La libertà e la verità nell’amicizia) avevamo già parlato di fedeltà. Là si trattava di chiedersi come deve comportarsi un amico di una persona che ha problemi di fedeltà. Magari qualcuno ha voglia di andare a rivedersela. Basta cliccare nell’indice “01 La nostre Discussioni.”
    A me ha fatto un po’ di tenerezza rileggere quei brani. E’ ieri ma sembra un secolo fa.

  37. Gian Paolo Colò ha detto:

    Capisco il disagio di fronte a questa parola: è un disagio tipicamente moderno o postmoderno, a mio modesto avviso.
    Secondo me, si è liberamente fedeli se si accetta e si progetta con l’intelligenza un percorso vitale, disposti ad accettarne i rischi prevedibili e imprevedibili. Quando le difficoltà si presenteranno, si riuscirà – con l’intelligenza – a guidare i rifiuti della sensibilità e a ottenere che la volontà assecondi il progetto e fornisca alla sensibilità un senso per affrontare i disagi che si prospettano. E’ tutta la persona che vuole dinamicamente essere fedele. Io ritengo, insomma, che la fedeltà è possibile solo nell’esercizio della libertà. Come educare all’esercizio consapevole della libertà è un altro discorso, difficile ma è un discorso che va a tutti i costi affrontato. Qui mi fermo. Ti assicuro che non penso che si possa o si debba rinchiudere in una gabbia volontaristica una persona perchè sia fedele. d. Gian Paolo Colò

  38. Gian Paolo Colò ha detto:

    Sei troppo gentile: io scherzavo dicendo cerco di essere più buono. Volevo solo dire che ammorbidirò ancora di più i toni. Avverto tutti che mi piace scherzare un po’ e usare un linguaggio….poco accademico.

  39. Gian Paolo Colò ha detto:

    Io penso che direi alla persona che si sente morta, che invece è vivissima e mi fa vivere meglio con il suo esempio di coerenza e alla persona infedele, che è sempre in tempo a rimediare il male che ha fatto, ma che lo può deve riconoscere e capire che continuando a vivere così finirà con l’essere vittima dei suoi stati d’animo, soffrendo e facendo soffrire. Può darsi che non capisca ma non si può accettare che questa cultura dell’infedeltà e della precarietà trovi diritto di cittadinanza alla stessa stregua della fedeltà. Non si tratta di instaurare una ferrea disciplina con dure condanne, occorre sviluppare una cultura della bellezza della fedeltà, portatrice di un messaggio di grandezza umana, utile alla persona fedele e a chi la contempla. Ma naturalmente sono le risposte che io mi do: vorrei tanto sapere che cosa possono suggerire gli altri, dato che è un tema con cui incontro e mi scontro ogni giorno di più e la sofferenza non è poca, proprio perchè bisogna essere comprensivi e misericordiosi, mandando giù i magoni senza che gli altri se ne accorgano.

  40. Gian Paolo Colò ha detto:

    Mi sono inserito. Non sono più una scimmia. Andrò a vedere quello che suggerisci. Se parlo troppo, dimmelo autorevolmente

  41. fefral ha detto:

    don GianPaolo, non è la parola fedeltà che mi provoca disagio, tutt’altro. E’ il senso da dare a questa parola che mi pare molto spesso venga travisato. E ho sentito troppo spesso parlare di fedeltà molto prima di educazione alla libertà. Quasi subordinando la libertà stessa alla fedeltà. Sei libero solo se ti sottometti all’impegno a cui ti sei vincolato. Ho trovato molto illuminante il capitolo sulla fedeltà del libro di don Mauro in cui invece si parla di una fedeltà dinamica, una fedeltà che si rinnova giorno per giorno e non un semplice tener fede alla parola data in un’epoca passata ad un qualche tipo di impegno di cui non si conoscevano le conseguenze.
    Credo che diciamo la stessa cosa, ma insisto sull’importanza della libertà come condizione necessaria perchè si possa parlare di fedeltà. Se si educa davvero alla libertà non c’è bisogno secondo me di perder tempo a parlare di fedeltà

  42. Vera ha detto:

    @fefral padre Mauro in quel capitolo parla di impegno, di una fedeltà che vive e dura fino alla fine nonostante tutto… lui ricorda anche l’episodio di un dialogo con la madre che ricordando il padre morto l’anno prima, dice che non le manca il suo camminare, il suo parlare, che a mio parere potrebbe anche non piacere, non collimare con il mio essere, ma lei risponde in modo stupendo… : ” mi manca lui” tutto intero, il suo essere come era…questa è fedeltà e cito le sue parole: ” LA FEDELTA’ E’ UN CAMMINO, E’ UN SI DATO UNA VOLTA A QUALCOSA CHE PERO’ CAMBIA, PERCHE’CAMBIO IO E L’ALTRO E LE CIRCOSTANZE, ANCHE SE LA RADICE RIMANE LA STESSA” Quindi un impegno che dura sempre…

  43. Mauro Leonardi ha detto:

    complimenti!

  44. Mauro Leonardi ha detto:

    Gian Paolo questo commento andrebbe messo in fondo così lo leggono tutti. La possibilità “rispondi” va usata per piccoli scambi di battute come hai fatto più sotto, non conviene usarla per argomentare in maniera corposa perché la gente non legge ogni volta il blog dall’inizio, ma parte dalla fine.

  45. Tres ha detto:

    @Don Gian Paolo salve! Mi piacciono i linguaggi non accademici.
    Grazie delle due risposte che mi ha dato. Sono stanca ora ma me le riguarderò con calma. La “bellezza della fedeltà”: sono daccordissimo ma, come ha detto lei, quanto dolore.

  46. Mauro Leonardi ha detto:

    Collegherei il tema della fedeltà a quello dell’identità della nostra vita. Scusate se mi permetto un auto citazione…

    “Nel Vangelo le frasi in cui Gesù ci parla della croce sono due: «Chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me» (cfr Mt 10, 38; Lc 14, 27); «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua.» (cfr Lc 9, 23; Mt 16, 24; Mc 8, 34). Ora, se mettiamo al posto della parola «croce» la parola «amore» non solo le espressioni non perdono il loro senso, ma ne mostrano uno più profondo, ulteriore. «Chi non prende il suo amore e non mi segue, non è degno di me». «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda il suo amore ogni giorno e mi segua». A me non sembra un giochetto ma una suggestiva conferma che il senso della croce è proprio l’amore. Amare la croce, significa propriamente amare fino in fondo le persone
    che amiamo dando per loro la vita. A ben guardare, ogni croce è collegata in qualche modo
    con le persone che amiamo. In questo senso, quindi, abbandonare la propria croce, non è altro che abbandonare il proprio amore e cioè la propria vita. Se ne ha una conferma infinitamente commovente
    in quest’altra espressione del Vangelo: «Salva te stesso scendendo dalla croce!» (cfr Mc 15, 30).
    È quello che dice la gente a Gesù in croce, e se anche qui sostituiamo croce con amore, otteniamo: «Salva te stesso scendendo dall’amore!». Non è forse questa la parola che il demonio a volte ci sussurra all’orecchio facendoci credere che salveremmo la nostra vita, se scendessimo
    da quella giostra d’amore su cui eravamo saliti (matrimonio, celibato) e che adesso ci sta facendo soffrire? Ma scendere dalla croce è scendere dall’amore, perdere la nostra vita, perché la nostra vita ha senso se la doniamo” (come Gesù pp. 146-7)

  47. Vera ha detto:

    @ padre Mauro dirle la gioia che mi ha dato leggere questo suo intervento è troppo poco, è proprio vero che l’amore per Cristo passa attraverso il dolore: Chi ama davvero non si arresta di fronte alla prospettiva della sofferenza, amare è sempre doloroso perchè ti strappa, ti toglie qualcosa di te… una parte di te che doni all’altro, e amare mio marito senza averlo accanto, vivere un matrimonio da sola non è sempre gioia, ma è molto dolore…. ma in dolore offerto vivo serena sapendo di trovarmi dentro la Volontà di Dio, fedele a Lui e al Sacramento.

  48. Tres ha detto:

    Mi sono riletta un po’di commenti su questo tema della fedeltà. Mi sono resa conto che c’è una cosa che io vivo ma su cui non avevo riflettuto. Penso sia una cosa buona ma vorrei sapere cosa ne pensate. Credo che la fedeltà e l’amore, per me sono inscindibili, non si possano vivere da soli nella coppia. Mi rendo conto che l’amore di coppia, l’amicizia, l’amore verso Dio in ogni vocazione, non è un affare tra due persone. Cioè la partita si gioca tra i due, io e mio marito, io e la mia amica, io e Dio. Ma ci vuole il tifo sugli spalti e quello in panchina. Ci vuole qualcuno che festeggi con te le gioie e che ti fischi quando fai fallo, qualcuno che corra a soccorrerti se ti fai male o che semplicemente passi l’acqua in caso di sete, o urli come giocare quando sei un po’disorientata. Mi accorgo che la parola Croce la puoi sostituire con la parola amore se hai qualcuno che ti dice seguimi e che è “di fronte” alla tua vita. Da “soliindue” la croce spesso rimane croce e la gioia è più piccola. Non lo so, ultimamente sto soffrendo per alcune cose, ma il fatto di girare la testa e vedere la mia amica in panchina, mi fa riprendere il gioco con più fede, non fosse solo perchè lei mi guarda, c’è. Grazie e buona festa.

  49. Mauro Leonardi ha detto:

    @Tres
    Credo che parlando della solitudine hai centrato il problema del nostro tempo. Credo che quello che dici valga assolutamente per l’eutanasia, tutti vogliamo vivere ma vogliamo che qualcuno faccia il tifo per noi. E potremmo fare tanti esempi.

  50. Dory ha detto:

    @ Tres …E io spero che gli spalti del tuo stadio e della tua partita (con Dio, con il marito, con i figli, con gli amici e i parenti…) siano sempre stracolmi di pubblico che tifa per te stracolmi di gente con il kit del primo intervento, stracolmi di gente pronta a tirarti su. A incitarti e darti coraggio. A sostenerti… Anzi…A sostenerVi sempre!

  51. Vera ha detto:

    @ padre Mauro… la solitudine altro tema che tocca tutti, riempire lo spazio vuoto dentro e fuori di Gesù, cosa difficile sapersi con Gesù senza vederlo e toccarlo, nè sentirlo. So che basta aspettare… che il Signore decida (come dice S. Teresina) di aprire gli occhi…..

  52. Paola ha detto:

    Tres, ma se poi la panchina si svuota? o peggio ti tirano i carciofi proprio dalla panchina?

    La sconfinata solitudine di ogni rapporto umano, anche dei più belli e profondi, credo si sconfigga solo mettendosi nelle Sue mani; mettendo il capo su di Lui. Al vertice, ogni partita, ogni relazione personale, è sempre una partita con Lui, sebbene attraverso le Sue creature.

    A me sembra che ogni volta che penso di centrare la mia vita, anche se in parte, su altro da Lui, anche se su realtà buone (marito, lavoro, direttore spirituale, amichetta del cuore e boh che dire la mamma, il suocero, il capo o la sorella), ne esco più indebolita, perdo stabilità.

    Sarà che stanotte ho lavorato (sto finendo di scrivere un libro, non di teologia ovviamente) fino alle 3.30 e oggi mi sembra di avere oanchine vuote …

  53. Mauro Leonardi ha detto:

    Questo commento è stato eliminato dall’autore.

  54. Mauro Leonardi ha detto:

    Gesù vuole essere nostro tifoso attraverso i cristiani. A volte giocano gli altri e noi facciamo i tifosi, a volte giochiamo noi e gli altri fanno i tifosi: e così Paola sono sicuro che il tuo libro delle 3.00 del mattino ti farà vincere il nobel dell’ economia.

    La frase di Santa Teresa di Gesù “Solo Dios basta” è vera ma solo in un certo senso. Non dimentichiamoci che le carmelitane hanno nel loro fondamento una spiritualità eremitica (Come Gesù, p. 197). Troppe volte ho sentito tessere il panegirico di “solo Dios Basta” da cristiani che dovrebbero più aiutare che parlare. L’inizio della carità è “perfino i cani venivano a leccargli le piaghe” (Lc 16,21). E’ più cristiano un pover’ uomo che si ferma a leccare una ferita di uno che gli sta affianco, di un dotto che canta “Solo Dios basta” e va via.
    Comunque la poesia di santa Teresa è molto bella e la copio qua sotto.

    NADA TE TURBE

    Nada te turbe,
    nada te espante,
    todo se pasa,
    Dios no se muda;
    la paciencia
    todo lo alcanza;
    quien a Dios tiene
    nada le falta:
    Sólo Dios basta.

    Eleva tu pensamiento,
    al cielo sube,
    por nada te acongojes,
    nada te turbe.

    A Jesucristo sigue
    con pecho grande,
    y, venga lo que venga,
    nada te espante.

    ¿Ves la gloria del mundo?
    Es gloria vana;
    nada tiene de estable,
    todo se pasa.

    Aspira a lo celeste,
    que siempre dura;
    fiel y rico en promesas,
    Dios no se muda.

    Ámala cual merece
    bondad inmensa;
    pero no hay amor fino
    sin la paciencia.

    Confianza y fe viva
    mantenga el alma,
    que quien cree y espera
    todo lo alcanza.

    Del infierno acosado
    aunque se viere,
    burlará sus furores
    quien a Dios tiene.

    Vénganle desamparos,
    cruces, desgracias;
    siendo Dios tu tesoro
    nada te falta.

    Id, pues, bienes del mundo;
    id dichas vanas;
    aunque todo lo pierda,
    sólo Dios basta.

  55. fefral ha detto:

    Don Mauro, la verità è che la panchina non può riempirsi di chi diciamo noi. E a volte ci ostiniamo a guardare la panchina sbagliata. La partita la giochiamo da soli, a questo non c’è rimedio. Nel suo libro c’è una frase di sua madre in cui mi sono rispecchiata molto: una donna è sempre sola fino a quando non accetta di esserlo. Vale non solo per le donne, naturalmente. Ma forse per noi un po’ di più. Tutte le volte che ho cercato conforto nelle panchine sono rimasta delusa. Quando invece sono riuscita ad andare fino in fondo nella mia solitudine, annegandoci dentro senza lottare contro corrente, ho poi trovato un salvagente a cui aggrapparmi, un abbraccio a consolarmi, una panchina affollata a incoraggiarmi.
    Abbiamo bisogno di compagnia e di relazione. Il modo peggiore per trovarle però è perdere il tempo a cercarle.

  56. Paola ha detto:

    Ma allora a chi è in panchina e, semmai, tira carciofi che diciamo? Ohi, sono qua, nella pozza di fango del campo da gioco! ohi, apri gli occhi! tifa per il mio nobel per l’economia!
    O alziamo lo sguardo a Lui?

  57. fefral ha detto:

    io in quei casi abbasso lo sguardo e continuo a giocare il mio gioco. Sinceramente non riesco neppure a pregare senza incazzarmi. Quindi preferisco star zitta e aspettare che passi. Di solito passa :-)

  58. Paola ha detto:

    Su questo Fefral, come sai, non sono d’accordo con te.

    Io sono rissosa di natura e a costo di qualche pippone tento di gridare all’altro il mio bisogno di essere amata. Rischiando che il risultato però sia che io nel fango ci resto, pure affaticata di aver gridato alla panchina … vuota.

    Ma se avessimo sbagliato la metafora?

    Ovvero in panchina non c’è nessuno; perché finché siamo su questa terra, tutti, e ognuno, siamo impegnati in una partita.
    Sicché sei lui (lei o loro) è nel fango più di me, non mi vede proprio giocare!

    Ora vado alla partita coi professori di mia figlia grande; farò il tifo per lei … sperando di non essere la becera mamma italiota come qualcuno nel blog ci ha dipinto!!!!

  59. Tres ha detto:

    Ciao @Paola, volevo dire quello che ha detto Don Mauro dopo.
    Ma quali “realtà buone”? Qui siamo tutti panchinari e giocatori. Qualcuno un po’ più griffato-qualificato ma tutti panchinari e giocatori a turno. Buoni e cattivi a turno. Certo che la panchina ogni tanto si svuota: qualcuno manca sempre all’appello ma è anche vero che è una panchina è di passaggio, ci si siede per alzarsi quando tocca.
    Se ti tirano i carciofi…casomai uno se li merita o casomani no e allora “abbasso lo sguardo e continuo a giocare il mio gioco”, un po’ incazzata e delusa, ma gioco. Lui? Lui sta con me.

  60. fefral ha detto:

    appunto nel fango ci resti e la panchina resta vuota… e cosa ci hai guadagnato? Se vuoi vincere il nobel di economia fatti due conti prima di sprecare le tue energie a gridare a tifosi distratti

  61. fefral ha detto:

    (incazzata l’ho detto io… don mauro non scrive parolacce :-) )

  62. Tres ha detto:

    Si infatti, mi sono scordata di citarti! Il virgolettato e la parolaccia erano le tue. Errata corrige. Ciao

  63. Paola ha detto:

    E’ che, Fefral, io non voglio vincere il nobel per l’economia!

    Ma molto di più!|

    Voglio andare in Paradiso, con i miei compagni di gioco e quelli in panchina e, se possibile, finire prima il mio libro. Quindi il tempo e le energie impiegate a far capire, come dice don Mauro, che “Gesù vuole essere nostro tifoso attraverso i cristiani” sono quelle meglio spese!

  64. fefral ha detto:

    credo che le uniche energie non sprecate in questo discorso del tifo e della panchina siano quelle con cui faccio il tifo per i miei amici. Quelle impiegate a cercare gli sponsor si sono sempre rivelate un pessimo investimento

  65. Lidia ha detto:

    Io in questi mesi mi sono sentita spesso sola e spaesata (a parte la mia famiglia). Questo perché sono tornata a Roma da poco, dopo anni spesi un po’ qua un po’ là, poi finché stavo col mio ragazzo tutto il tempo che potevo lo passavo in Germania…ed è ovvio che nonostante io abbia ancora molti amici a Roma tutti si sono organizzati con dei loro gruppi, e non è facile inserirsi. Il mio gruppo di amici invece (causa crisi e interessi giramondo) si è dissolto geograficamente: una sta a Forlì, una a Los Angeles, uno a Makachkala in Dagestan e una a Lugano.
    Per fortuna frequento ambienti in cui è facile trovare amici e le volte in cui ho avuto bisogno di parlare ho sempre avuto qualcuno, non è quello, amici ne ho molti. Però non c’è quel gruppo con cui dici “esco sempre con loro la sera o il primo maggio”. Non tanto per parlare o confidarsi, per quello ho con chi farlo, ma proprio per uscire e basta.
    Un po’ mi dispiace e penso mah, se fossi restata più tempo a Roma…però dall’altra parte ho pensato: ma io, gliel’ho mai detto ad alcune mie amiche “vorrei uscire con voi più spesso?” No, in realtà. Infatti sto cercando di darmi da fare: invece di pensare “ma perché non mi chiamano?” chiamo io, cerco di organizzare, e a parte il fatto di aver incontrato persone buonissime mi sono resa conto che a volte semplicemente chiedere aiuto aiuta. poi c’è chi non ha la sensibilità per capirlo, e allora non c’è niente da fare. Ma a volte chiedere aiuta come dice Paola aiuta.
    In generale io ho tantissima paura della solitudine, però è anche vero che non bisogna diventare troppo dipendenti dagli altri, perché si creano meccanismi perversi, in cui l’altro è importante in funzione di ciò che ti dà e non in funzione di se stesso.
    Stamattina ho letto due romanzi, cretini, ma ero stanchissima. Un po’ mi sono pentita di averlo fatto, erano storie molto tristi che mi hanno molto ferita, non avevo mai pensato esistessero storie così tristi. Sostanzialmente erano la storia di una donna che aveva subito ogni sorte di abusi da piccola e di un’altra il cui marito la vessava psicologicamente. Finiscono bene entrambi ma mi hanno colpita molto.
    All’inizio ero arrabbiata, con Dio perché permette certe cose e per coloro che le compiono, e vorrei poter aiutare tute le persone del mondo in questa situazione.
    Poi però con Dio mi sono disarrabbiata: in realtà, lui è l’unico a cui tutte queste persone interessano davvero. I bambini abusati, le prostitute, i ladri, i suicidi, i truffatori, le donne maltrattate, i drogati…a me fanno impressione, e vorrei poter eliminare il loro ricordo dalla mia vita, che è così “pulita” e serena, ma invece Dio li ama. E con lui posso parlare di loro, pregare per loro, e a Lui gliene importa davvero di loro.

  66. Tres ha detto:

    Scusate c’ho la risposta lenta causa cervello lento. Il mio commento sopra, @Fefral, era diviso in due (la prossima volta ne faccio due). Da “Ma quali realtà buone” in poi, è il mio pensiero e commento, non spiegazione di quello che diceva Don Mauro, che “copiavo e incollavo”virtualmente. Ho solo appiccicato il tutto.

    Giornate faticose.

  67. Paola ha detto:

    Ferral, Santa Caterina diceva: “Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo”.
    Se amo qualcuno, marito, figli, amiche, e vedo che “non è quello che dovrebbe essere” allora, se non sono ipocrita (anche se talvolta sembra convenire perché si risparmiano molte energie), devo provare a dirglielo (senza pipponi però; hai ragione tu e talvolta mi vieni in mente quando io sto per iniziarli!).
    Insomma nel gioco della vita, se si è sotto la luce di Dio, bisogna avere l’ottimismo che le realtà umane possono migliorare.

  68. fefral ha detto:

    “se sarete quello che dovete essere”, non se vi mettete in testa di rendere gli altri quello che devono essere.
    Non fraintendermi, Paola, io sono una che di prediche nella vita ne ha fatte più di quante ne abbia ricevute. Sempre con l’idea che se amo una persona voglio il suo bene e quindi devo aiutarla a essere migliore. Però di fatto i frutti non sono nostri, non siamo noi che dobbiamo e possiamo rendere migliori gli altri. Non è insegnando agli altri dov’è il bene che li aiutiamo a essere migliori. Ma solo perseguendo il bene in prima persona. Il fuoco incendia quando è acceso. La mia premura deve essere che il mio fuoco non si spenga. Chi mi sta accanto si incendierà se gli sto vicino

  69. Polifemo ha detto:

    Perché nun rimani? Cioè scusa in che senso, je volevo de dì. Era l’artro giorno, il 25 aprile, artro che liberazione. Io ero tornato a casa a riportà er pupetto, e Rosa se n’esce co ‘sta uscita. Cioè scusa? Je domando. “Ma rimani, no. Su, basta litigà e fa cazzate”.
    Scusa don Ma’, scusate amici der blog, scusa Paoletta che spero che l’amica tua nova Carlotta mo’ te lo dice, io nun ve l’ho detto subito peché nun ce credevo. Ho fatto passà quarche giorno. Vabbé già de Cesare, l’avvocato colla forfora, nun vavevo detto gnente, ma quello è da mo’ che è affanculo. Vabbé co’ Rosa je davo poco, addì tanto, pecché è proprio no sfigato. Però nun sapevo proprio come ch’annava a finì.
    E cuando Rosa m’ha detto così, me so’ fiondato. A rimané in casa, vojo dì. Però nun ce capivo proprio gnente ma ieri un po’ boffonchiando mi moje m’ha spiegato ch’è successo.
    Dunque. Rosa era proprio ‘ncazzata e questo se sapeva. Ma che je successo, ch’è cambiata? me dicevo…. e ieri m’ha detto che sull’aurelia ha visto un tizio. Mo’ oggi ce so passato e nun l’ho trovato, però io ho capito.
    Cuanno che prennete l’aurelia a entrà verso dentro, ce stà quer punto cor semafero che poi la strada scenne, no? Ecco, lì ce steva uno – ce sta ogni tanto – che nun te chiede proprio i sordi. Porello sta lì, tutto su in pulito – cioè cerca de sembra’ normale… – e s’avvcina a le machine con uno straccetto pe’ pulitte i fari de la machina. S’avvicina piano piano pe’ nun scassà er cazzo, te li pulisce e, se tu nun je dai gnente, lui va via che te dà ragione. E’ triste disperato però je s’abbasseno le orecchie e dice ma che, me dai i sordi a me che so’ propio no sfigato? Ma tietteli pe’ te che fai bene… Cioè… fa na tristezza infinita. Cioè, mo’ io ve lo racconto così, ma a Rosa sta cosa l’ha proprio corpita. Steva co la machina e er pupetto sopra, e quello je s’avvicina e fa tutta la mafrina, e Rosa che fà? Pensa a me, m’ha detto. (Nun ja dato un cazzo, porello…). Ha detto: quello è Polifemo tra ‘n po’ se vado avanti così a mollallo. E s’è commossa da piagne. (Questo nun me l’ha detto, ma ho capito che na lacrima jè scesa).
    E infatti don Ma’, te devo dì che stava proprio a diventà dura. Ormai a magnà nun mettevo più manco la tovaja. Na’ birra e ‘n panino con la tele. Il letto na vorta a la settimana, la barba solo cuanno ch’annavo a pija er pupetto. Io finivo proprio come quello, pe’ questo je volevo dà qualcosa oggi. Colla castità – poi – un casino de l’artro monno. Ma nun solo co’ internet. Vabbé cazzate propio grosse nun ne ho fatte ma c’è sta la pischella der supermercato che me guarda languida – cioè a me me pare… – e ciò na voja de scopammela… Poi va da sé che nun l’ho fatto però don Ma’ te poi immagina i casini da solo (vabbé nun te li immaginà, va). E mo’ co’ Rosa…. è proprio bello! n’artra cosa. E’ proprio vero coll’amore er sesso è n’artra cosa e nun se po’ chiamà scopà.
    Scusa, lo so che nun dovevo intasà er blog che sta cosa l’ho messa su tutte le discussioni, ma – oh! – vojo divve grazie a tutte e a tutti che me siete stati vicino e nun vojo mancà nessuno!
    Grazie!
    Ciao.
    Siete belli tutti!

  70. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Cari amici, ho l’mpressione che di fronte al tema della fedeltà, il blog si sia fermato o abbia preso derive collaterali. La mia domanda è:non è vero che l’assenza di fedeltà intorno a noi fa soffrire? Non è vero che quando una persona è infedele al dono di sè che ha fatto si spegne una luce umana e cristiana? Non è vero che l’eccesso di importanza data all’emotività potrebbe essere alla radice di tanti tradimenti? Non è forse necessario ridare all’intelligenza dei valori un ruolo guida nella vita delle persone? Anche in questo blog io vedo un po’ troppo spazio concesso all’emotività, al consenso esterno, alla paura della solitudine, quasi fossero una giustificazione per chi abbandona il proprio posto: tutta la mia comprensione per chi soffre e cede ma solo essendo disposti a passare per l’orto degli ulivi e a non scendere dalla Croce, si può arrivare a dire “Tutto è compiuto” Guarda Mauro, che non dico “ho tenuto duro a denti stretti” ma dico “Tutto è compiuto” cioè ho dinamicamente raggiunto la pienezza del mio impegno di Amore? Abbasso il volontarismo, però occhio alla melassa emotivista, all’autocommiserazione e al “volemose bene che tutto si aggiusta”. Mi fermo, sennò Mauro dice che sono troppo lungo. Se sono troppo duro ( quanto costa diventarlo continuare ad esserlo, dinamicamente ) mi ritiro in buon ordine; se avete qualche sistema per essere fedeli senza lottare e faticare, ditemelo per favore, ma non penalizziamo la fedeltà in nome della libertà e dell’elasticità, altrimenti facciamo di chi lotta per essere fedele un “cornuto e mazziato”, come si dice in Sicilia.

  71. fefral ha detto:

    don Gian Paolo, non ho molto tempo per risponderle, comunque riguardo al discorso del cercare una giustificazione per aver abbandonato il loro posto, parlando delle discussioni che facciamo in questo blog almeno, mi sa che è fuori strada.
    L’emotività, il consenso esterno, la paura della solitudine non giustificano l’infedeltà. Tuttavia sono dei sintomi e io credo che nell’analisi di quei sintomi vada cercata la cura. Se ci limitiamo a ragionare solo su intelligenza e volontà ci perdiamo un pezzo di quello che siamo.
    Glielo dico così, in maniera molto nitida. Ho visto un sacco di danni fatti da un approccio come il suo. Una fedeltà ridotta a tener fede ad una parola data di cui si è perso il senso da tempo. E un’insoddisfazione profonda (che non è pura emotività) che viene calpestata e ignorata invece che analizzata a fondo per capirne la causa.
    Ho visto vite stritolate da questo. Sinceramente temo molto di più il volontarismo che l’emotività. Forse dipende dalla mia personale esperienza. Ma per una donna che ha scelto di essere fedele (forse più che per un uomo, non saprei) il rischio maggiore è di implodere sotto il peso della sua stessa lealtà. Per poi magari, se riesce a non soccombere, esplodere mandando all’aria tutto quello per cui ha vissuto fino a quel momento.

  72. Mauro Leonardi ha detto:

    @Gianpaolo, bentornato! Devo dire che la tua assenza del blog stava diventando un po’ preoccupante.
    L’argomento della fedeltà è un argomento molto presente nel nostro blog ed è già stato tematizzato diverse volte. Per esempio l’ultimo intervento che ho fatto nella Discussione sulla lettera di Tolkien al figlio riporta proprio alla fedeltà. Te la copio qui nel caso tu non sia riuscito a leggerla: “Quasi tutti i matrimoni, anche quelli felici, sono errori: nel senso che quasi certamente (in un mondo migliore, o anche in questo, pur se imperfetto, ma con un po’ più di attenzione) entrambi i partner avrebbero potuto trovare compagni molto più adatti”. E’ giusto per fare un esempio.

    Discussione “LA suora e Padre Aldo” si era fermata solo perché c’eravamo tutti interessati ai tuoi interventi ma poi tu sei sparito. Dal 23 aprile – ultima volta in cui sei intervenuto – ci sono stati 26 interventi su quello che hai detto, solo che tu non rispondevi nulla. Sia chiaro non ti voglio colpevolizzare. Voglio solo mostrarti le dinamiche di un blog. Nel nostro, se una Discussione si ferma io non la posso tenere in evidenza, ma devo farla tornare mogia mogia al suo posto normale dentro l’indice: insomma “va giù in classifica”. Vedi invece che adesso l’ho subito messa al primo posto. Direi che in un blog più che l’ intervento lungo, vale la presenza. Quindi adesso non mollare: se puoi scegliere tra “spesso e poco” e “tanto e raramente”, scegli di stare sul blog “spesso e poco”. Purtroppo se no la gente si dimentica e passa a altro.
    Grazie per l’aiuto.

  73. Giaa Paolo Colò ha detto:

    fefral.
    Io parlo di una intelligenza che dà significato all’essere fedele anche nella sofferenza della sensibilità. Non parlo di una volontà che soffoca la sensibilità, caricando la pentola a pressione della soggettività fino a farla implodere o a farla esplodere e generando in ogni caso la sofferenza di una aspirazione frustrata.
    Quando io mi dò a una persona, per realizzare con lei una storia di amore che ha come orizzonte il “for ever” che anche i ragazzini scrivono sui muri delle strade e che comporta che io mi dia e riceva l’intimità totale dell’altro e dia la vita ad altre creature per amore o quando mi dò a Dio, che è fedele per sempre, in una famiglia come è la Chiesa universale,con legami altrettanto forti, se non di più io sono chiamato ogni giorno a sviluppare la storia della mia relazione, contemplando il valore del mio amore, la bellezza della mia donazione e anche il significato dei miei momenti di oscurità, di delusione o di ribellione.
    La teologia spirituale o è lo studio della vita di santi,uomini in carne ed ossa, che cercano e imitano Gesù, perfetto Dio e perfetto uomo o è un laboratorio di perverso volontarismo da combattere su tutta la linea.
    Io ho vissuto di affetti e di consensi ma anche di incomprensione e di solitudine, consolata dal pensiero del valore, del “significato” di non voltarsi indietro a cercare emozioni e consolazioni, sperando che avrei trovato la terra promessa o avrei avuto la consolazione tutta spirituale di essere stato fedele e di aver testimoniato l’amore, senza tradire chi stava al mio fianco, rinnegando le mie dichiarazioni e le mie promesse. Adesso forse non mi importa più nemmeno tanto di trovare il paradiso su questa terra e mi accontento di stare al mio posto cercando di amare il più possibile gratis, anche se l’ansia del riconoscimento, del consenso non si spegne mai. Ne è prova il fatto che sto qui a scrivere.
    Dobbiamo educare all’unità di vita senza paura dei sentimenti, ma non dimenticando che chi guida verso la salvezza è l’insieme delle virtù in teologali e delle virtù, intellettuali e morali, armoniosamente fuse in un percorso di lotta e di studio, sperimentato nella vita quotidiana. Mi fermo qui, aspettandomi un diluvio di obbiezioni e l’epiteto di sergente dei marines spirituali. Pazienza: la discussione vale il rischio.

  74. Paola ha detto:

    Fefral (senza complimenti perché credo che ormai siamo in amicizia e ci possiamo dire tutto, con garbo), la tua frase “Adesso forse non mi importa più nemmeno tanto di trovare il paradiso su questa terra” mi fa un po’ pensare. Sai io credo, ma magari mi sbaglio, che il paradiso o lo trovi già su questa terra o rischi che ti sei persa una occasione.

    Caro don Gian Paolo (con lei siamo meno amici e allora uso il complimento come incipit). Sono d’accordissimo con la Sua osservazione sul dolore che causa l’infedeltà. E di più Le dico che ieri sera, vedendo con i miei figli, il risultato delle elezioni francesi, mi ha fatto davvero tristezza vedere che i due sfidanti portavano davanti a milioni di telespettatori due situazioni di caos affettivo ( uno sfidante 3 mogli e 5 figli; l’altro 2 compagne e 4 figli).

    Però noi creature fedeli (per ora perché siamo tutti a rischio infedeltà) dobbiamo rendere ragione di questa fedeltà! E forse far capire che l’accento è sull’innamoramento che sostiene la fedeltà.

    E allora io Le riporto un pensiero di un santo: “Per questo vi voglio innamorati … perché se lo siete non ho paura di niente. Sarete fedeli!”.

    Insomma usando le parole di un antico proverbio: alla pentola che bolle, nessuno si avvicina.

    La fedeltà spaventa tutti. L’innamoramento attrae. E sostiene la fedeltà.

  75. fefral ha detto:

    @Paola, quella frase non è mia ma di don GianPaolo… e ti dico che gliela stavo per contestare, ma per ora devo scappare.

  76. Mauro Leonardi ha detto:

    @Gianpaolo
    “…. anche se l’ansia del riconoscimento, del consenso non si spegne mai. Ne è prova il fatto che sto qui a scrivere.” Non credo che il movente principale che ci spingere a scrivere sul blog sia il desiderio di consenso. Quello un pochette c’è sempre, ma è sola una cosa degli inizi. Poi – un po’ come per tutto – si sperimenta che il consenso le persone lo danno solo a chi cerca di essere autentico. Almeno nelle cose che uno scrive.
    E tu GianPaolo lo sei.
    (…anche se sei ancora un po’ legatino…)

  77. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Mauro e Paola,
    sono stato in giro e non ho potuto scrivere. Io sento l’esigenza di fondare il discorso della fedeltà nella chiesa e nella famiglia, restituendogli il signficato di valore ideale ( da idea:immagine spirituale.
    Studio e rifletto su quello che viene proposto alle persone di oggi – soprattutto ai più giovani- intossicati da serie televisive, canzoni, cuoricini e colorini e poi sbattuti in una realtà spietata e irrispettosa delle più elementari esigenze di amore delle persone e pronta invece a offrire sesso a buon mercato.Ogni giorno mi arrivano confidenze di persone che non si sanno perdonare mancanze per sciocchi risentimenti emotivi e per questo sono disposte a distruggere le famiglie. Io chiedo risposte a queste emergenze, senza metter camicie di forza a nessuno, ma con l’esigenza di dare un orientamento, una direzione che non sia sottoposta alla tempesta del sentimento. Credo che insieme – da persone che amano l’uomo con il cuore di chi è in sintonia empatica e di chi ama Gesù – dovremmo trovare le strade per risolvere il problema, che prima che personale, sta diventando culturale e ambientale. Giovanni Paolo II parlava di una ecologia umana da promuovere: l’inquinamento romantico-emotivo mi pare una vera e propria peste del nostro tempo. Oh, che consolazione leggere le parole di Tolkien al figlio, belle, sode e senza fronzoli. Donne, so che che questo non tanto vi garba ed è giusto che sia così, ma aiutiamoci insieme ad attraversare il guado del nostro tempo. Io vi prometto che vi ascolterò con religiosa attenzione e straodinario rispetto. Penso che l’innamoramento di cui parlava quel santo che mi è tanto noto e caro ( magari potessi somigliargli ) era ed è l’innamoramento che nasce dalla contemplazione intelletuale, con o senza mille risonanze emotive, ma non era il tenero be in love di tanti ai nostri giorni. E c’era un interprete “fedelissimo” edinamicissimo dello stesso santo che diceva ” Non lo lasciare e ti innamorerai”

  78. Ribelle ha detto:

    So che non si risponde qui, ma una frase la dovevo riprendere subito”mi aspetto un diluvio di obiezioni”…ma per niente proprio, almeno da parte mia che ho lamentato nel mio ultimo intervento, proprio la mancanza di una tale linea di pensiero, nel blog! grazie!(poi scrivo meglio…)

  79. fefral ha detto:

    @don GianPaolo, io non credo che diciamo cose diverse, ma complementari.
    Lei parla soprattutto dei giovani. Io guardo alla mia generazione, di cui i giovani di oggi sono i fratelli minori, e di cui i suoi coetanei probabilmente sono i genitori.
    La mia generazione è il trionfo dell’infedeltà, lo riconosco. Di 4 donne quarantenni nel mio ufficio tre sono separate e la quarta sono io. Questa più o meno è la stessa proporzione che ritrovo in persone della mia età che non hanno continuato in altri tipi di scelte di vita. C’è da chiedersi perchè.
    Lei, se non sbaglio, attribuisce questo alla perdita del valore della fedeltà. Secondo me invece l’infedeltà è conseguenza di mancanza di libertà. Una mancanza di libertà che la mia generazione ha sofferto molto (la generazione dei miei genitori aveva ben chiaro il senso del dovere, dell’obbedienza, e con questi valori ci ha cresciuti) e con cui ad un certo punto, volenti o nolenti abbiamo dovuto fare i conti. Da qui il buttare nel cesso (mi perdoni il linguaggio) da un giorno all’altro scelte di vita che qualche decennio fa nessuno si sarebbe mai sognato di mettere in discussione. Oggi tutto ciò che sa di indissolubile fa paura. Un impegno per tutta la vita viene visto come un obiettivo assurdo, irraggiungibile. Siamo nell’era della precarietà.
    Ma prima di di insistere sull’importanza della fedeltà, non crede che sia meglio capire perchè la fedeltà fa così paura?

    Lei dice che non cerca più il paradiso in terra.
    Eppure non credere nel cento per uno significa non fidarsi nella promessa di Gesù.
    Sono d’accordo parzialmente con Paola sull’obiezione che le ha fatto a quella frase erroneamente attribuita a me. Parzialmente perchè se da una parte è vero che il nostro obiettivo non è cercare il cento per uno (Gesù non lo promette a chi lo cerca, ma a chi lascia tutto per seguirlo) tuttavia se a conti fatti quel cento per uno non lo troviamo qualcosa non ha funzionato.

    Per questo sostengo che non possiamo prescindere dall’ascoltare le nostre emozioni. Perchè sono le emozioni il termometro di come l’intelligenza e la volontà si stiano muovendo nella direzione giusta.
    Se la mia vita è un inferno anche se io mi comporto bene, coerentemente con i miei impegni, senza mai tradire, facendo sempre il mio dovere, essendo fedele, allora qualcosa non è andata bene. Se io sto male nella mia fedeltà e non trovo il cento per uno promesso forse forse non sono poi così fedele.

  80. Senza nome ha detto:

    Fefral, credi che i martiri abbiano trovato il cento per uno tra i denti dei leoni?Non credo che necessariamente in questa vita ci si debba sentir felici… ascoltar le emozioni è giusto, ma pensiamo a tanti infelici che vivono in zone di povertà,o guerra o malattie…con loro non ha funzionato la promessa di Gesù?
    A me pare bellissimo trovar una soluzione nella ” intelligenza che dà significato all’essere fedele anche nella sofferenza della sensibilità” di cui parla d Colò…ed è una frase che descrive perfettamente la mia vita.

    Dunque la mia vita: un matrimonio che ha rivelato ben presto gravissime carenze a livello di sensibilità:intendo modi di vedere la vita ,gli altri, la fede…diversissimi e direi inconciliabili , la negazione del dialogo,visto come inutile perdita di tempo,e soprattutto il sentirsi dire continuamente- sei sei diversa, vuol dire che sei sbagliata…in te non trovo nulla da lodare…quel che fai tu ,io lo farei meglio…senza di te, io posso stare benissimo…se le cose che faccio io a te non piacciono, visto che le mie sono quelle da bravo marito e padre…vuol dire che sei sbagliata! o almeno hai sbagliato stato di vita! etc…

    Inutile fare la domanda cattiva: ma perchè te lo sei sposato? presumo immaturità mia, inesperienza della vita,modo romantico di concepire il matrimonio, desiderio di fuga da una famiglia molto rigida , innamoramento a-razionale che ti prende…insomma varie “colpe “mie..( e comunque lui non è una cattiva persona, solo che con una come me forse non era l’ideale!)
    In ritorno dal viaggio di nozze eravamo già in tre…e poi sono arrivati altri figli e anni che, mi hanno distrutto a livello psicologico, convinto di valere nulla e mi hanno lasciato una fragilità che si ritrova in ogni campo…
    La” sofferenza della sensibilità” di cui parla d Gianpaolo, è qualcosa di terribile perchè, soffri nel SENSO (di vivere), per cui ti chiedi A CHE SERVE LA TUA VITA E SE SERVE… e ci sono momenti in cui non saper rispondere a tali domande, ti getta nel panico, nella disperazione…ed è fondamentalmente qualcosa di cui non puoi parlare, e perchè ti riesce difficile spiegarti e perchè, (tranne se hai davanti uno che ha vissuto sofferenze simili,) nessuno ti capisce.

    L’unica salvezza è incontrare qualcuno che appunto ti parli di “una intelligenza che dà significato all’essere fedele anche nella sofferenza della sensibilità”, che ti aiuti a svilupparla questa intelligenza e tale sviluppo, ti porta necessariamente ad incontrare Lui,e a “rimanere”anche nella sofferenza (mi sa che ieri si parlava di “rimanere” più di 6 volte, nel Vangelo..)rimanere,nella fede (guarda caso quelli che hanno fede si chiamano fedeli)…
    Pian piano impari a dare un senso (anzi forse in assoluto il miglior senso)a sofferenze che non riesci a padroneggiare perchè improvvise e violentissime…ma passano!(anche perchè tutto ciò che è umano passa!) e sapere questo è già qualcosa…invece lo spirito, e la fede aiutate dall’intelligenza e dalla volontà, possono sempre rinascere…
    In un certo modo misterioso, nella tua vita è sempre presente il rinascere, la “risurrezione” del tuo spirito dopo o anche durante le tempeste emotive…
    Certo sono ancora lontana dal” non mi importa più nemmeno tanto di trovare il paradiso su questa terra”,ma è una meta, un qualcosa da chiedere sempre a Lui( mi sa che non ci si arriva solo a sforzi, ma è molto un dono…)e, ad essere sincera, ci sono momenti in cui riesco a vedere le cose così e sono davvero momenti di paradiso, nei quali capire che significa vivere una” vita nascosta” in Cristo…è una chiamata anche questa, una” vocazione”, (anche se non lo è a livello ecclesiale, anzi può anche capitare che non potrai mai” inquadrarti “perchè le tue sofferenze lo sconsigliano..ma questo è un altro argomento..)

  81. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Senza nome.Non posso che fare tanto di cappello a ciò che confida “senza nome”. Direi che si tratta di una vocazione ai piedi della Croce. Grazie, non perchè mi dai ragione ma perchè mi dai una lezione. Però come dobbiamo insegnare alle persone giovani a riflettere sull’amore e agli uomini a contemplare la diversità delle donne.

  82. Giaa Paolo Colò ha detto:

    fefral. Ti auguro il 100 per uno che ti aspetti, ma se non arrivasse come lo vorresti, ripensa a quello che ho detto sopra….”Pietro quando eri giovane, andavi dove volevi, ecc quando sarai vecchio, andrai dove non vorrai” e te ne importerà sempre di meno, aggiungo io.
    Debbo invece chiedere scusa alle donne perchè forse la paura della parola “fedeltà” è da loro percepita con una radicalità che spaventa. Quante figlie di genitori anziani vedo fare una vita di sacrificio incredibile e vengono pure a lamentarsi di avere sbuffato un po’, sentendosi in colpa….. e io devo consigliare loro con autorità certa di trovare un po’ di spazio per sè.
    Lo stesso si dica per quanto concerne la loro disponibilità illimitata a servire figli e marito. Il”prendersi cura” rischia di diventare una prigione costruita dall’affetto, una specie di tela di ragno che soffoca. Mi chiedo se non sia questo che fa spaventare di fronte alla parola “fedeltà”.
    Una volta mi capito che una futura sposa venne da me terrorizzata perchè il futuro marito un po’ talebano cattolico le aveva detto che bisognava essere “disposti ad accogliere tutti i figli che Dio avesse mandato loro…..Lei si vedeva già circondata da una schiera innumerevole di creature. Io l’ho dovuta rassicurare per il fatto che gli uomini fanno discorsi astratti che invece le donne prendono alla lettera. Di fatti ora hanno tre belle figlie!
    Io voglio solo dire che i sentimenti non debbono guidare,perchè colgono aspetti immediati, autentici, ma non riescono ad avere una visione d’insieme. Se poi dominano, incontrastati “maestri di verità”, provocano sfracelli.
    Può essere che il “cento per uno” non sia più così importante perchè sto sbagliando qualche cosa. Ti ringrazio perchè mi hai suggerito un tema per esaminare la mia vita. Sinceramente più che al Paradiso in terra anelo ad un rapido purgatorio e poi all’eterno riposo.

  83. Mauro Leonardi ha detto:

    @Gianpaolo
    Ho un po’ paura di scandalizzare a scrivere quello che sto per scrivere ma… lo faccio, però in due interventi diversi. Ecco il primo.

    Secondo me nei tuoi interventi non è del tutto chiara la differenza tra il valore della fedeltà (o l’ideale…) e il come fare a portare avanti questo valore. MI spiego. In questo blog – e per me è una carenza perché vorrei che ci scrivessero anche quelli che dicono che la fedeltà è un disvalore – siamo tutti a favore della fedeltà. Vai nella cronologia delle prime discussioni e troverai delle conferme. Non è questo il punto. Il punto è come fare a aiutarci a essere fedeli. Qui si oscilla tra il “Dios solo basta” di santa Teresa e il cercare anche di costruire delle vere relazioni umane. In questo senso sono d’accordo con Fefral che è d’accordo con mia mamma: “Una donna, mi direbbe, è sempre sola finché non accetta
    di esserlo. E questo anche se ha il miglior marito del mondo e lo ama. È una donna, aggiungerebbe, e quindi è capace di andare avanti solo per fedeltà purché sia consapevole davvero che la fedeltà è già amore. Se manca questa consapevolezza la donna implode, si annulla, persevera ma si consuma. Stai attento Mauro, mi direbbe, a capire bene se è davvero libera, perché a volte le donne mentono. Soprattutto a sé stesse. Sono bravissime a farlo. A mentire a sé stesse, intendo. E convincersi”. (Come Gesù, p. 48).
    Cioè fino a che punto bisogna essere fedeli? Quando noi usiamo la parola fedeltà, essa va intesa sempre nello stesso modo?
    E qui c’è il mio secondo intervento.

  84. Mauro Leonardi ha detto:

    @Tu Gianpaolo
    vedo che ami molto mettere sullo stesso piano la fedeltà del matrimonio e quella del celibato, ma per me non è così. Ci sono delle differenze.
    In primo luogo la parola fedeltà la si può usare per molte cose: a una squadra, a un’azienda, a un’amicizia, a un matrimonio, al celibato per amore di Dio. Io credo che la parola fedeltà in queste diverse accezioni abbia sempre una parte di senso in comune perché la fedeltà in ultima analisi richiama alla fedeltà alla propria identità profonda, che è la propria vocazione.
    Ma c’è differenza tra fedeltà nel matrimonio e fedeltà nel celibato. Perché il matrimonio è indissolubile e invece il celibato, nella Chiesa, è sempre dispensabile. Sempre.
    Che il matrimonio sia sempre indissolubile vuol dire in termini di principio che Dio ha per quella coppia l’unico progetto di felicità terrena e eterna nel loro essere uniti finché morti non li separi (e questo senza voler togliere l’ultima parola a Dio che solo conosce i misteri dei cuori umani…). (E non voglio neppure entrare qui nella questione della nullità matrimoniale). Che il celibato sia sempre dispensabile significa invece che sempre, dico sempre, c’è un’autorità nella chiesa che può dispensare dal celibato il sacerdote che ha preso il solenne impegno di viverlo quando si è ordinato, il religioso che ha fatto il voto solenne e perpetuo, o il numerario che ha fatto la fedeltà (chi ha letto il mio libro sa cosa intendo). Che sia dispensabile non significa che sia “un diritto” in senso stretto, ma che è una possibilità che c’è sempre e che quasi sempre viene realizzata. Io conosco molte persone che avevano preso degli impegni definitivi di celibato per amore di Dio e che, col trascorrere della vita, hanno capito di essersi sbagliati (uso le loro parole) e si sono sposati. In chiesa. Con il sacramento. Quindi Dio è impegnato in quel matrimonio per la loro santità.
    Che significa Gianpaolo? Che significa Senza Nome?
    Non mi sembra la stessa cosa. Matrimonio per amore di Dio e celibato per amore di Dio sono due cose diverse.
    Su questo non ci piove.

  85. Senza nome ha detto:

    Mi ha chiamato in causa e allora tento una risposta…
    Fino a che punto bisogna essere fedeli? Questa domanda fa parte secondo me delle domande da “porre in relazione”, cioè è impossibile trovare una risposta valida per tutti i casi, ci sono differenze spesso profondissime…è chiaro che la fedeltà è un valore, ma questa è la classica verità assoluta,(cioè è così SEMPRE) “non relativa ma relazionale”( cioè da modulare sulla persona!)Il rischio è quello di prendere dei casi limite per giustificare la negatività dell’esser fedeli, mentre è senz’altro tra i valori non negoziabili…Ce ne sono tante di realtà così ,nella vita morale e anzi ero ero ( e in parte sono ancora) una che cerca proprio le risposte assolute! ma mi sono presa tanti “rimproveri” su questo, perchè in fondo cercar la sicurezza assoluta spesso è anche un non voler mai sbagliare, un volere essere al posto di Dio (mi sa che è l’unico a saper sempre tutto), un non accettare che le cose si chiariscano nel tempo( visto che siamo esseri in cammino…)ma questo forse,è un andar un pò fuori tema…e scendere troppo nel personale.

    Riguardo alla differenza tra matrimonio e celibato, come la pone lei, d Mauro…mi scusi ma sembra sia meglio sceglier il celibato!(tanto poi è dispensabile, se mi accorgo che va male) mentre chi si sposa, resta “bidonato” a vita! Io credo che l’amore vero escluda SEMPRE la possibilità di tornare indietro…voglio dire che va esclusa NELLA TESTA ( anche se poi ci può essere la dispensa o l’annullamento)
    Ricordo di aver seguito una catechesi bellissima sulla fedeltà matrimoniale, nella quale ci si chiedeva proprio come poter essere sicuri che la persona scelta fosse quella giusta per me o piuttosto si potrebbe ancora trovar di meglio di meglio?( e si può applicare anche alla scelta del celibato…non sarà migliore un altro stato di vita?)ecco la risposta, tratta da S Paolo..

    “per conservarsi fedeli e irreprensibili, s Paolo parla di tre livelli, dunque il corpo,l’anima e lo spirito. Ora quando ci si innamora il primo livello è il corpo:una persona ti colpisce nei sensi, ti piace…ma in effetti te ne possono piacere anche tante altre!poi c’è l’anima:a questo livello,scopri che l’altro ha difetti, ma anche tanti pregi e affinità e ti piace star con lui per questo! ma gusti e affinità cambiano in base alla maturazione personale!!e , anche questi,li puoi aver con tante persone!
    Solo a livello dello spirito, si pone la vera FEDELTA’: perchè ti chiedi se vuoi vivere il tuo amore in modo cristiano, come Lui,fino alla fine, cioè fino a dare la vita per l’altro!

    L’amore non è scambio(se sei bravo ti amo, se sto bene con te, ti amo)ma è ..dò la vita per te!PER QUESTO PUOI AMARE E ESSERE FEDELE A UNO SOLO…PERCHE’ HAI UNA VITA SOLA!”

  86. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Mauro. IN questi primi giorni della settimana ho più tempo a disposizione e quindi ricupero il tempo perduto. Mi lascia sinceramente perplesso l’idea che la differenza tra celibato e matrimonio consista nel fatto che l’uno può essere dispensato e l’altro no. Il celibato propter regnum coelorum ha un valore grandissimo di testimonianza per quanto riguarda la natura spirituale dell’uomo, il suo destino escatologico ed è una vocazione divina. Qui potest capere capiat. Il concilio di Trento ne riconosce la superiorità oggettiva rispetto al matrimonio. Non lo si può ridurre ad un giochino emotivo ( scusa l’espressione ) senza assumersi la responsabilità delle conseguenze del significato che ha all’esterno,sia che abbia un carattere pubblico o privato. Ora è tardi e non continuo, ma la cosa non mi farà dormire sonni tranquilli. Così diventiamo protestanti o mettiamo in discussione il celibato ecclesiastico , lo stato religioso, ecc. Per tacitare qualche coscienza mi pare una posizione piuttosto estrema. Dio perdona tutti i tradimenti e le debolezze, ma non si può chiamare una cosa normale in quanto dispensabile, ciò che in tanti casi è una superficialità inquietante o un vero tradimento. Ne parleremo domani, ma mi serviva mettere qualche paletto per dormire tranquillo. Il mio cuore ha ferite che sanguinano da sempre e per sempre, pensando a certi fatti. che funestano con un’ombra di permanente malinconia anche i luoghi dove queste cose fallite si sono svolte. Io credo che questa sia la portata antropologica ed ecclesiale dell’infedeltà al celibato, come al matrimonio. Buona notte.

  87. Paola ha detto:

    Senza nome, ti pongo qualche domanda per cercare di capire. Ma rispondi solo se lo reputi opportuno, ovviamente. Tutto questo dolore l’hai portato, in questi anni, dentro da sola o sei riuscita a parlarne con un’amica, una parente, un medico, un sacerdote? Ed ora con tuo marito come vanno i rapporti? Perché capisco la tua scelta eroica della fedeltà, ma non ci sono veramente soluzioni per farvi aiutare?

  88. fefral ha detto:

    @don Gian Paolo,
    sono molto stanca quindi sarò breve, ma domani avrò un’altra giornatina intensa e quindi preciso solo una cosa. Io non mi aspetto nessun cento per uno. Non so assolutamente come sarà, e quante volte lo avrò. So che Gesù ha detto che chi lascia tutto per seguirlo avrà la vita eterna e in più in questa vita cento volte quello a cui ha rinunciato. E questo vorrà pur dire qualcosa, no?
    Secondo me bisogna capire per ognuno di noi cosa significa lasciar tutto per seguirlo. E per ognuno di noi cosa significa cento per uno.
    La promessa del cento per uno è conseguenza di un dono totale di tutto ciò che abbiamo. Io credo che quando riusciamo ad amare davvero allora il cento per uno è una conseguenza.
    Il punto è che amare davvero nella vita terrena difficilmente è qualcosa che dura ogni momento, per tutta la vita. Altrimenti saremmo già santi. Ma qualche volta ci capiterà di riuscirci, no? Ecco, quelle rare volte che succede a me il cento per uno risulta così evidente! Peccato non esserne capace sempre!
    Sulla fedeltà ripasso un altro giorno. Mi sa che guardiamo due facce della stessa medaglia. Però don GianPaolo, leggo amarezza in quello che scrive. Forse è solo che sono stanca.

  89. fefral ha detto:

    ho riletto e ho capito che non si è capito molto di quello che volevo dire. In soldoni: il cento per uno non lo cerco, tutte le volte che l’ho cercato sono state grandi delusioni. Quindi le dico la verità, in fondo non interessa molto neppure a me. Però è un fatto che se il cento per uno manca probabilmente c’è qualcosa che non va: o non ho lasciato tutto, o non sono in grado di riconoscere il cento per uno (probabilmente perchè mi aspetto che debba avere chissà quale forma, ma allora vuol dire che non ho lasciato tutto).
    Forse sono stata ancora più confusa, quindi vado a letto

  90. La sciagurata rispose ha detto:

    Leggo ma non riesco a starvi dietro.. Ma che fate nella vita per aver tempo di scrivere Sti papiri logorroici?
    Peró sta discussione sulla fedeltà mi piace!
    Don Colon, lei soffre troppo.. Non si sarà cacciato in una gabbia fatta dalle sue idee talebane? Amate i vostri nemici’ diceva qualcuno.. E come mai lei ha tanto rancore? Chi ama è felice e trasmette entusiasmo.. Lei col suo desiderio di purgatorio e le sue ferite non sanate mi fa venir voglia di cercare la felicita lontano dai preti. :-)
    Fedeltà, bella roba. Ma fedeltà a chi? Alla parte più vera di noi stessi, alla nostra coscienza che è immagine di dio, o fedeltà all’immagine di noi che abbiamo trasmesso agli altri? Questa potrebbe essere anche ipocrisia! Bel guaio essere fedeli all ipocrisia!
    Io so che molti santi non son stati fedeli alla scelta religiosa.. Ad es madre Teresa dopo 20 anni scappa dall ordine delle suore di Loreto e diventa madre Teresa di Calcutta. So che San josemaria diventa sacerdote diocesano ma dopo poco abbandona di fatto la diocesi e si mette a fare altro e diventa santo così.
    Non ho mai sentito di uno santo che si sposa più volte, (con moglie in vita) quindi son d’accordo che la fedeltà alla scelta religiosa sia diversa dalla fedeltà matrimoniale. Completamente diversa se senza la prima puoi diventar santo, senza la seconda no.
    Allora la domanda che ho imparato in questo blog è: come si fa ad amare, AMARE, la libertà dei nostri amici anche quando non fanno quello che vorremmo noi?!
    Questo è fedeltà: amare nonostante noi. Mica facile.. Ma quando lo sfiori scopri che il purgatorio su questa terra è meraviglioso e forse così è davvero auspicabile.
    Non faccia brutti sogni, e dorma bene.. Che il futuro ci sorride.

  91. Mauro Leonardi ha detto:

    @Gianpaolo
    Sono le 23.02 e anch’io vado a dormire. Dormirò sonni tranquilli. Un blog è un discorso aperto per cui a maggior ragione le frasi vanno prese e contestualizzate.
    Dici: “Mi lascia sinceramente perplesso l’idea che la differenza tra celibato e matrimonio consista nel fatto che l’uno può essere dispensato e l’altro no”. Questa non è “la” differenza, è “una” differenza. Indubitabile. Dopo di ché sono entrambe infedeltà e, ti dirò di più, io so se sono stato infedele o no a una mia vocazione al celibato anche “prima” di aver preso giuridicamente alcun impegno. Però il fatto che siano due fedeltà (o due infedeltà) diverse rimanda al fatto che celibato e matrimonio sono due realtà diverse.
    Ne parliamo domani. Probabilmente nel pomeriggio.
    Scusa -solo per sapere – tu sei riuscito poi a leggere Come Gesù? giusto per sapere quanti discorsi devo rifare….

  92. Polifemo ha detto:

    Scigura’!!!
    Bravo! io a te te capisco. Meno male che sei tornato. Nun fosse che te sei maschio e io pure e mo ‘ so’ pure tornato co’ Rosa, io a te te sposerei.
    Ciao!
    Sei bello!

  93. La sciagurata rispose ha detto:

    Fefral! Ma cosa dici: la nostra generazione non è il trionfo dell infedeltà! Tutt’altro!
    Credi che le generazioni precedenti fossero più fedeli di questa? Io credo solo fossero più pudiche e meno ostentate.. Ma altrettanto infedeli e forse rassegnate.
    Quante donne non avranno mollato il marito pur desiderandolo con tutto il cuore solo perché non autosufficienti? Quanti preti avranno fatto i preti perché il terzo gemito era segnato e non poteva fare altro pur desiderandolo profondamente?
    No, la nostra generazione soffre per essere davvero libera e non saper come gestire tanta libertà.. Ma forse per questa via riusciremo ad essere più veri e quindi fedeli.

  94. La sciagurata rispose ha detto:

    Polifemooooo! Grande che sei tornato con rosa!
    Pero se ti metti a facchinate i maschi non solo sei recidivo ma peggiori..
    Lasciami perdere.. Io preferisco rosa rosae rosibus bocciuol e affini. :-)

    Bello che siete tornati assieme peró. Bello per te, per lei bho.

  95. Paola ha detto:

    E’ tardi e mi sono fatta un giro tra le camere dei miei figli. E pensavo alle parole di @Antonio nell’altra discussione. E al 100 per 1 che i miei figli, specie i più piccoli, si aspettano da Dio. E allora penso che voglio essere come i piccoli, e non accontentarmi e credere al 100 per 1, su questa terra. Notte!

  96. Senza nome ha detto:

    E’ vero che scrivete tanto! e diventa difficile rispondere ad interventi che stanno molto più su…comunque a Paola che mi scrive” rispondi solo se lo reputi opportuno, ovviamente. Tutto questo dolore l’hai portato, in questi anni, dentro da sola o sei riuscita a parlarne?” Ti rispondo tranquillamente, che non ho voluto metterci persone in mezzo, intanto per un naturale pudore,e poi, proprio perchè mi aspettavo( parlo soprattutto di amiche) consigli del tipo-lascia stare e rifatti una vita…la mia famiglia era troppo pericoloso “infilarla”, soprattutto agli inizi, quando con un figlio in arrivo fin dal viaggio di nozze,(ma anche senza)devi trovarti un tuo equilibrio…solo molti annni dopo( e mi sembra si evinca da quello che ho scritto) ho trovato uno che mi ha aiutato nell'”intelligenza della sofferenza”(e si capisce dal contesto che era un sacerdote!, Comunque non è stato facile, anche lì ci ho messo molto a “aprirmi”, vuoi perchè non intendo passare per martire( che ho anche io tanti bei difetti !) e vuoi perchè non mi piaceva far passar lui per aguzzino( in quanto ognuno fa quel che può e in assoluto, lui è una brava persona…)è chiaro così? Fai bene a cercar di dare il 100 ai figli piccoli, per loro sei come Dio…ma non dimenticare che è una fase destinata a passare e se fissi il cuore su questo… la loro adolescenza sarà per te come i dolori del parto!!
    Sciagurata(in realtà sciagurato?)le tue parole a d Colò, mi lasciano molto perplessa!
    Scrivi”Lei col suo desiderio di purgatorio e le sue ferite non sanate mi fa venir voglia di cercare la felicita lontano dai preti.lei soffre troppo.. :-) guarda che il purgatorio uno mica lo desidera! solo che obiettivamente ritiene che non è sarà esente….e le ferite non sanate le ha chiunque abbia vissuto più di un lattante!(e abbia la sincerità di guardarsi dentro con calma…e piuttosto che “coprirle” con l’attivismo o con aria di sufficienza,o altro, preferisca esser uomo sino in fondo e riconoscerle..)Quanto al soffrir troppo,mica è colpa della persona! Per anni ho sentito questa storia da mio marito! ognuno ha dirito ad avere la sua sensibilità, che i casi della vita possono magari anche accentuare e comunque “soffrire tanto” può significare anche capire molto più le cose e le persone( a parte il valore cristiano della cosa..)…

  97. la sciagurata rispose ha detto:

    ciao Senza Nome,
    ognuno ha le sue ferite, ed io ho le mie.. non credo ad una vita da mulino bianco. E ti do ragione quando dici:
    “guarda che il purgatorio uno mica lo desidera”
    Quello che critico a don Còlon è ciò che dice lui:
    “Sinceramente più che al Paradiso in terra anelo ad un rapido purgatorio e poi all’eterno riposo.”
    son le sue parole, non le mie.
    mi sembra un desiderio sano quello del purgatorio… anche io lo spero per me.. ma nel contesto in cui lui l’ha scrtto (il 100xuno è un’utopia – le ferite mi apparterranno sempre – certi fatti che funestano con un’ombra di permanente malinconia anche i luoghi – ecc..) mi sembrava che fosse più una filosofia di vita, una rassegnazione definitiva.
    E le persone rassegnate e pessimiste non hanno mai costruito granchè nella vita. Non credo siano il modello del cristianesimo.

  98. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Oh,sciagurata Sciagurata, mi verrebbe voglia di dirti quello che mi diceva mio padre da ragazzo “Beato te, che te ne freghi!”, ma non posso permettermi di dirlo perchè non ti conosco e forse nemmeno mio padre mi conosceva poi bene.
    Io passo per un diffusore di buon umore e sorriso; ho inventato alcuni farmaci che prescrivo spesso lo “Speranzol”, il “Menfregol” e la “Meninfischina” con qualche risultato ma la vita è quello che è.
    C’è un amico che mi accusa di buttare tutto ” in vacca” che nel suo,linguaggio, significa mettere tutto sullo scherzo.
    Se le persone non sono fedeli, fanno soffrire; se le persone non si impegnano a sviluppare la loro umanità in senso oblativo ma vivono di egoismo e di meschinità seminano delusioni intorno e fanno star male. I nemici possono essere amati ma restano sempre nemici.
    L’essere considerato un “prete”, categoria da cui guardarsi e stare lontano è essere vittima di un pregiudizio altrui e uno se lo becca, se lo tiene, ci ride su e va avanti. Andare per la strada e trovare ragazzotti che bestemmiano quando passi o signori rispettabili che affondano in fretta e con devozione le mani in tasca, ti fa riparare, urlare un preciso riferimento al mestiere della mamma dei ragazzotti e ridere dei rispettabili signori e delle loro….. dotte e scientifche credenze, però sono tutti fatti.
    E’ pur vero che ti chiedono preghiere, benedizioni, si fanno il segno della croce e qualcuno persino chiede di confessarsi. Sono chiaroscuri che rendono più varia la vita e desiderabile l’eternità.
    Ma il tradimento e l’infedeltà sono fonte di dolore, c’è poco da fare. Fai pure la preparazione al matrimonio degli ex celibi e ne consoli le eventuali successive delusioni, ma il dolore resta nel cuore.
    Se questo è essere talebani, insegnami a non esserlo e ti ringrazierò.

  99. fefral ha detto:

    “Ma il tradimento e l’infedeltà sono fonte di dolore, c’è poco da fare. Fai pure la preparazione al matrimonio degli ex celibi e ne consoli le eventuali successive delusioni, ma il dolore resta nel cuore”
    @Don GianPaolo, l’infedeltà è fonte di dolore, per sé stessi e per gli altri, su questo nessuno le sta dicendo il contrario.
    Ho freschi d’esperienza molti casi di infedeltà di cui porto ancora i segni, le assicuro che so bene di cosa sta parlando, ma a me non piace il modo in cui lei si pone, aprioristicamente, di fronte a casi in cui qualcuno non ha proseguito nella propria scelta di celibato chiamando questi casi, indiscriminatamente “infedeltà”
    Non mi piace l’aggettivo talebano usato da sciagurata, tuttavia condivido quello che scrive. E accetto anche l’obiezione che mi ha fatto sulla mia frase “la nostra generazione è il trionfo dell’infedeltà”. Perchè è vero quello che dice.
    Essere fedeli significa prima di tutto essere fedeli a sè stessi. Ed essere fedeli a sé stessi implica non aver paura della libertà nostra e altrui.
    Io non posso sapere, non lo saprò mai, se una persona che dopo vent’anni lascia il suo cammino sta facendo una scelta di infedeltà o di fedeltà. So per certo che un marito che cornifica la moglie è infedele. Ma un celibe che ad un certo punto sceglie la strada del matrimonio può essere che lo faccia per egoismo, può essere che stia tradendo il suo ideale, ma può anche darsi che stia invece finalmente scegliendo liberamente di rispondere sì ad una chiamata di Dio dopo una vita vissuta nella menzogna (irreprensibile all’apparenza magari, ma totalmente falsa nei confronti suoi, dei suoi compagni di cammino, dell’istituzione cui appartiene e anche di Dio)

    Attenzione a cosa chiamamo fedeltà.

  100. fefral ha detto:

    Hai ragione

  101. Paola ha detto:

    @ Senza nome, Ti ringrazio per il consiglio sugli adolescenti! E’ innegabile che il tuo passato sia stato davvero difficile. Ma ora come vivi con tuo marito? E i vostri figli capiscono il dolore che ti porti dentro?

    @Gian Paolo, la voglio un po’ coccolare, perché da quanto scrive sento la forza e la bellezza della sua fede ma anche, forse, un po’ di fatica di fronte alle evidenti fedeltà che ci sono intorno. Le volevo dire che a fronte di tante infedeltà ci sono vite meravigliose spese per rendere il mondo migliore. E tanti simil Gian Paolo che sostengono queste anime. Sciagurata (a dispetto del nick name che come lui sa io detesto!!!) mi sembra che saggiamente abbia centrato la prospettiva che dobbiamo tenere, anche qui, nel blog. E allora, tutti concordi nel ritenere che la fedeltà faccia soffrire – o, come direi, rende brutto il mondo agli occhi di Dio – come può un uomo o una donna che vive in questo mondo senza essere un ufo a sostenere l’innamoramento che porta alla fedeltà nel matrimonio e nella donazione a Dio? Insomma non possiamo arrenderci di fronte alle molte infedeltà: Dio ha vinto il mondo o no?

  102. Paola ha detto:

    riposto la domanda a Gian Paolo perché, il mio amico Antonio psichiatra potrebbe dirmi che è un lapsus che dice molto sul mio essere un’inguaribile ottimista, rileggendo ho visto che dove volevo scrivere “infedeltà”, invece scrivevo “fedeltà”. (Però mantenevano senso le due frasi! Infatti c’è tanta fedeltà di sicuro intorno a Gian Paolo; e anche la fedeltà fa soffrire).

    ariposto!

    @ Senza nome, Ti ringrazio per il consiglio sugli adolescenti! E’ innegabile che il tuo passato sia stato davvero difficile. Ma ora come vivi con tuo marito? E i vostri figli capiscono il dolore che ti porti dentro?

    @Gian Paolo, la voglio un po’ coccolare, perché da quanto scrive sento la forza e la bellezza della sua fede ma anche, forse, un po’ di fatica di fronte alle evidenti “infedeltà” che ci sono intorno. Le volevo dire che a fronte di tante infedeltà ci sono vite meravigliose spese per rendere il mondo migliore. E tanti simil Gian Paolo che sostengono queste anime. Sciagurata (a dispetto del nick name che come lui sa io detesto!!!) mi sembra che saggiamente abbia centrato la prospettiva che dobbiamo tenere, anche qui, nel blog. E allora, tutti concordi nel ritenere che la “infedeltà” faccia soffrire – o, come direi, rende brutto il mondo agli occhi di Dio – come può un uomo o una donna che vive in questo mondo senza essere un ufo a sostenere l’innamoramento che porta alla fedeltà nel matrimonio e nella donazione a Dio? Insomma non possiamo arrenderci di fronte alle molte infedeltà: Dio ha vinto il mondo o no?

  103. Paola ha detto:

    cui adde: sempre per Gian Paolo: quando scrivi “Sinceramente più che al Paradiso in terra anelo ad un rapido purgatorio e poi all’eterno riposo”, sembra quasi, permettimi la confidenza di sintetizzare il tuo pensiero, parafrasando una frase di un santo a noi amico : “sognate il Paradiso e tappatevi il naso in questo purgatorio che è il mondo”.
    No, caro Gian Paolo: il nostro amico ci ha detto: ” Sognate e la realtà supererà i sogni! “
    Si era sbagliato?

  104. B. ha detto:

    Ciao a tutti, io vi seguo sempre e non scrivo (quasi) mai, questa discussione è davvero bella.
    A me la fedeltà di cui parla d Giampalo spaventa da morire, mi fa pensare che se è questa la fedeltà
    faccio prima a non impegnarmici per niente, perché non potrò mai essere sicura che quello che prometto oggi sarò in grado di mantenerlo per sempre. Lo so di non essere capace, lo so da adesso che se domani starò male, non ce la farò a stringere i denti solo perché la fedeltà è un valore in sé… e poi essere fedeli a cosa appunto?? Mica mi posso annullare per essere fedele a un valore… un valore è una cosa astratta, una cosa che non esiste, io invece sono reale e sto male.
    Se non teniamo in considerazione Dio, cioè se non ci aspettiamo una ricompensa nella prossima vita per aver tenuto duro in questa, questa fedeltà a tutti i costi di d Gianpaolo ha ancora senso?
    Fefral e sciagurata siete troppo forti ;)

  105. Antonio ha detto:

    Vocazioni e fedeltà … Mi ricordo di aver sentito di un santo che accoglieva le nuove vocazioni nella realtà storica che aveva fondato con parole del genere: “Quanto ti abbiamo aspettato! Quanto abbiamo pregato per te!”. Queste parole volevano testimoniare, secondo me, un desiderio: il desiderio che quel “sì” cambiasse in meglio non soltanto la vita di chi lo pronunciava ma anche la realtà storica in cui questa chiamata avrebbe dovuto svilupparsi. Queste parole erano un ringraziamento per aver soddisfatto a un bisogno: “Grazie per aver detto sì, a noi mancavi tu!”. Ogni vocazione deve scatenare una dinamica del genere la quale, mancando, provoca ferite perchè la persona si sente usata.
    Molte volte le infedeltà nascono dal fatto che questa idea di vocazione – la consapevolezza di soddisfare un bisogno altrui – non c’è perché dicendo sì a una “proposta” si vogliono soddisfare esclusivamente bisogni propri (di appartenenza, di sicurezza, di consenso, …). Molte altre volte questa idea c’è ma non si sviluppa nel tempo per motivi vari (e per colpe proprie e/o altrui).
    In questo secondo caso, quando cioè la vocazione è “pura” (anche quella matrimoniale è una chiamata vocazionale), come si fa a rimanere fedeli?
    Secondo la Genesi il primo compito del primo uomo sulla Terra è stato quello di dare un nome alle cose. E’ uno sforzo personale che ogni uomo che nasce è chiamato a fare ogni giorno. Purtroppo a volte questo sforzo non si fa … ci si accontenta di dare alle cose il nome che gli hanno dato quelli che ci stanno simpatici oppure di chiamarle come più ci fa comodo (l’amore diventa quello dei fotoromanzi, la prudenza diventa furbizia, il pudore diventa repressione sessuale, …).
    Questo è un errore anche nele caso in cui quelli che ci stanno simpatici fossero brave persone (e non sempre lo sono) perchè nessuno può vivere la vita di un altro.
    Quando invece questo sforzo si fa, liberamente e coraggiosamente, si fanno scoperte sorprendenti: che le cose hanno lo stesso nome per tutti. Lo si scopre a poco a poco … e niente rende l’uomo più felice di questa scoperta.

  106. Lidia ha detto:

    Mah don Mauro…io ci metto poco a difendere l’infedeltä, se le fa piacere.
    A parte il fatto che nessuna persona di senno normale le dirà mai “la fedeltà è un disvalore”. Le diranno semmai “la fedeltà è bella, i matrimoni che durano 50 anni sono stupendi e nessuno si augura di divorziare ma se capitasse, meglio risposati e felici che sposati e infelici”.
    Io, è vero, difendo la fedeltà matrimoniale: innanzi tutto perché i miei genitori non l’hanno rispettata e avrei preferito l’avessero fatto, e poi perché ci credo. Ma capisco coloro che dicono “no, scusa, passi per i figli, ma senza figli…meglio rifarsi una vita”. Conosco varie persone che l’hanno fatto e sono felici e contenti nei rispettivi secondi matrimoni (che durano da trenta e passa anni).
    Penso che altri motivi profondi per l’infedeltà non ci siano, a parte quello che dice “se sei infelice, davvero, meglio cambiare”.
    E in effetti, chi me lo fa fare? Dio? Vabbè, Dio ok. Ma Dio non preferisce che io sia felice piuttosto che vedermi infelice, scusi? Il senso dell’onore, della promessa fatta? E chissene importa, sinceramente. L’evitare sofferenze a mia moglie/marito attuali? Ma se anche lui/lei vuole separarsi? E poi, una vita falsa insieme non sarebbe peggio? I figli? Ma anche per loro è meglio che mamma e papà sia felici divisi che infelici insieme (qui però rispondo io: NO. a meno che il padre/madre non sia violento (psicologicamente o fisicamente) tossicodipendente, criminale, è sempre meglio che stiano assieme).
    Non credo ci siano altre obiezioni alla fedeltà, il matrimonio stile “50 anni insieme felici” lo vorremmo tutti, ma c’è chi non ce l’ha, punto.
    Se le va bene, penso di essere stata una buona avvocata del diavolo.
    Quanto alla fedeltà al celibato, personalmente ho gioito quando ho visto certi amici rinunciare ad una vita di celibato dopo alcuni anni dalla scelta fatta, perché li conosco e so che non hanno detto “no” a Dio, bensì “sì” (opinione peraltro condivisa dalle persone che li seguivano spiritualmente). In tutto, persino deviando da una scelta che avevano fatto in buona fede, e accettando di ricominciare tutto da capo.
    Certo, invece ci sono casi lampanti di infedeltà al celibato, decisioni di lasciare prese non perché si capisce che la propria via è un’altra, ma perché si ritiene che “non ce la si fa più”, che “ci si è innamorati”, scelte egoistiche e che causano molto male.

  107. Senza nome ha detto:

    Antonio…che bella la tua riflessione sul nome !Visto che ho il pc libero e un pò di tempo a disposizione, voglio copiarla…”Secondo la Genesi il primo compito del primo uomo sulla Terra è stato quello di dare un nome alle cose. E’ uno sforzo personale che ogni uomo che nasce è chiamato a fare ogni giorno. Purtroppo a volte questo sforzo non si fa e ci si accontenta di dare alle cose il nome che gli hanno dato quelli che ci stanno simpatici oppure di chiamarle come più ci fa comodo …”

    Ma lo sai che ho scelto di chiamarmi “Senza nome”, con un motivo di questo genere? In un certo senso sto ancora lottando con Dio come Giacobbe, perchè mi dia un nome, quello che Lui ha pensato…quel bellissimo modo di vedere la vocazione(“Grazie per aver detto sì, a noi mancavi tu!”) lo sto ancora cercando… e pertanto mi ritengo più una Senza nome che altro…anche se d Colò mi dice che la mia è una vocazione vicino alla croce e il marito si chiede che diavolo cerchi ancora dalla vita e perchè mai non mi bastino famiglia e figli come a tutte le persone “normali”…

  108. fefral ha detto:

    @Lidia, anche di fronte a quelli che tu definisci casi “lampanti” io preferisco sospendere il giudizio.

  109. Paola ha detto:

    @Antonio: io invece questa storia di dare un nome non l’ho capita!

  110. Antonio ha detto:

    Dare un nome alle cose (ma non un nome qualsiasi: il loro nome) significa comprenderle profondamente … incarnarle.
    Dare un nome alle cose è il modo con il quale ciascuno può giungere alla piena conoscenza di sè, a scoprire il proprio nome (quello che Dio ci ha dato … noi dobbiamo dare un nome alle cose, alle persone il nome l’ha dato lui). Scoprire il proprio nome significa scoprire ciò che sei, il motivo per il quale esisti, la via per la tua felicità. Il cardinale Biffi scriveva che il più grande mistero dell’universo non è l’esistenza di Dio (cosa di cui vari filosofi hanno dato dimostrazione) ma l’esistenza di ognuno di noi. Perchè esisto io? A che serve la mia vita?
    Uno ora potrebbe chiedersi: ma perchè per scoprire chi sono, il mio nome, devo dare un nome alle cose? Che c’entrano le cose con me?
    La scoperta di sè non è una analisi introspettiva: il nostro mondo (marito, figli, amici, dolori, gioie, lavoro, …) è impegnato a sostenere i nostri sforzi.
    La nostra realtà non è qualcosa che dobbiamo fuggire … è il campo di applicazione della nostra libertà. Se la trattiamo con rispetto, ci aiuterà … e alla fine capiremo.
    Se rinunciassimo, se rifiutassimo la nostra realtà per inseguire i nostri sogni, se desiderassimo qualcos’altro, sarebbe … un peccato.
    I Vangeli raccontano la meraviglia che Gesù provocava con il suo modo di comportarsi (in Maria, in Giuseppe, nei discepoli, nei farisei …). Da qualche parte è scritto: “Insegnava loro come uno che ha autorità”. Gesù non obbedisce alla Legge … Gesù è la Legge e questo le persone lo percepivano. Si nota quando una persona “sente” ciò che dice. Il Papa spesso ripete che il cristianesimo non è un moralismo ma è una persona … ciò significa che il Natale non è un fatto del passato. L’incarnazione è un fatto del presente e riguarda ogni persona.
    Spero di non averti confuso le idee.

  111. Antonio ha detto:

    Prega per me! … dici: “Aiuta Antonio, quello del blog”.

  112. lidia ha detto:

    sì beh hai ragione. Io pensavo più a casi di cui avevo letto sul giornale, e che mi parevamo lampanti casi di malafede o peggio. Ma di molti altri casi di cui ho sentito parlare, o che conosco io stessa…penso che le colpe fossero ben distribuite. Alcuni sono proprio difficili da capire.

  113. la sciagurata rispose ha detto:

    senta don Colò! Colà mi pare che lei stia menando il can per l’aia. Se vuole mettersi in discussione e cambiare modo di pensare deve pensare che abbia ragione l’altra parte ed essere disposto a cambiare idea, con tutte le conseguenze che questo può potrare. Se non è disposto a mettersi in discussione può chiaccherare tranquillamente come fanno in tanti qui dentro, ma non chieda a me di inseganrle a non essere talebano.. deve chiedere a sè stesso se è disposto a mettersi in crisi sulle sue certezze. Io l’ho fatto qui dentro e le assicuro che è un viaggio interessante.. da brivido.
    Non entra nel merito delle questioni esposte e poi ha un tono un po’ lagnoso.
    Ad esempo: Le chiedevo cos’è la fedeltà, fedeltà a cosa. ed ho esposto il mio pensiero.
    Lei risponde che
    “Se le persone non sono fedeli, fanno soffrire; se le persone non si impegnano a sviluppare la loro umanità in senso oblativo ma vivono di egoismo e di meschinità seminano delusioni intorno e fanno star male.”
    su questo siamo d’accordo tutti. E lascio perdere il tema dell’infedeltà coniugale perchè mi pare chiaro a tutti e distinto dal tema della fedeltà alla scelta religiosa di cui si parla ora.
    ma la domanda è un’altra.
    “Ma fedeltà a chi? Alla parte più vera di noi stessi, alla nostra coscienza che è immagine di dio, o fedeltà all’immagine di noi che abbiamo trasmesso agli altri? Questa potrebbe essere anche ipocrisia! Bel guaio essere fedeli all ipocrisia!”

    guardi che col suo modo di ragionare la conversione diventa difficile perchè c’è sempre un prima da lasciare a cui si è legati e a cui si vuole essere fedeli. e quel prima nella maggior parte dei casi non è una cosa brutta alla san paolo per intendersi.. ma è una vita bella che però non è quella che fa per noi.

    conosco gente che ha mollato la fidanzata per vivere il celibato e gente che ha mollato il celibato per sposarsi. Chi è fedele? chi scarica al fidanzata nel cestino tanto se ne farà una ragione (bel modo per cercare Dio), o chi molla i compagni di comunità per decidersi ad amare davvero? Non lo so. Ovvio che ho scelto casi limite.. ma reali e utili per capire che dobbiamo smetterla di giudicare le persone: al massimo possiamo giudicare un fatto.
    e allora mi chiedo: perchè dovrebbe essere ritenuta infedeltà se uno si rimette in gioco liberamente in un ambito in cui può farlo perchè libero di farlo?

  114. la sciagurata rispose ha detto:

    ciao antonio: sei di origine ebrea? sta storia del nome mi sa tanto di cultura ebraica.

  115. Paola ha detto:

    @Antonio, grazie! una luce nel mio inizio di pomeriggio faticosissimo …

    E uso quello che tu mi dici per provocare @Senza nome (che poi pro-vocare è tirare fuori il nome).

    Cara @Senza nome, ti chiedevo come vanno ora i tuoi rapporti con tuo marito e con i figli. Non mi hai risposto? Ti aggiungo, ma se sono troppo impicciona dimmelo, altre due domande: ma hai ancora desiderio di essere felice con lui e con i tuoi figli? Capisco che cerchi il tuo nome, ma moglie e madre non li senti più (o forse non li hai sentiti mai) tuoi nomi? Sarebbe interessante capire cosa passa nel tuo cuore perché qui si parla di fedeltà, infedeltà, nomi che Dio dà alle persone, ma tutto in teoria. Tu invece mi sembra che stai arricchendo la discussione con la tua vita vera. Ti ringrazio!

  116. la sciagurata rispose ha detto:

    Lidia, io credo che se uno si sposa, si sposa. Non condivido l’idea che sia meglio rifarsi una vita con un’altra piutosto che una valle di lacrime con questa qui.
    Ci si può separare se ci son gravi motivi per farlo. ma risposarsi no. Sennò che matrimonio è? è un fidanzamento.

  117. Paola ha detto:

    ah bello! lascia stare Antonio che è amico mio!

  118. la sciagurata rispose ha detto:

    ciao paola: e come vanno i tuoi rapporti con tuo marito?
    raconta racconta..

  119. Lidia ha detto:

    e da quanto l’origine ebraica è un insulto? Scusa paola, ma io sono fissatissima con gli ebrei, appena ho tempo vado a studiare ebraico!
    cmq sciagurata la cultura ebraica è anche la nostra (almeno in parte): “spiritualmente siamo tutti semiti” ;)

  120. Lidia ha detto:

    al caso della fidanzata mollata ci avevo pensato anche io, ma in realtà è diverso…mollare una fidanzata, alla fin fine, non è un male, per esempio se si capisce che non è quella giusta. diverso sarebbe mollare una moglie per rinchiudersi in monastero.
    Cmq è vero che nel caso di uno che molla la fidanzata e si fa prete tutti pensiamo “oh com’è edificante” mentre nel caso del seminarista che lascia per sposarsi tutti pensiamo “oh che brutto”, mentre invece tanto il primo quanto il secondo caso devono essere giudicati conoscendo i fatti e le persone.

  121. Lidia ha detto:

    ok ma perché? qual è il motivo di restare fedele ad una donna da cui ci si è separati dieci, quindici anni prima se poi arriva “il grande amore”? per la mera fedeltà a una promessa? O a che?
    (io sono d’accordo con te, ma per un attimo sostengo la parte avversa, credo che la fedeltà valga sempre la pena, anche da un punto di vista meramente sociale, ma don Mauro vuole sostenitori dell’infedeltà nel blog…)

  122. Paola ha detto:

    Sono pazza di lui! E tu una moglie che ti sopporti ce l’hai?

  123. fefral ha detto:

    figurati se uno che tratta così le donne può avere una moglie!
    Però una volta ci ha detto che c’ha l’amica!

  124. la sciagurata rispose ha detto:

    stavo facendo un pensierino su di te..

  125. la sciagurata rispose ha detto:

    conosco una che è stata mollata perchè lui si è fatto prete. E’ sotto choc ancora adesso ad anni di distanza..

    dice: se ne fosse andato per una più bella brava intelligente, potrei capire..
    se ne fosse andato perchè gay, certo sarebbe un trauma ma sopportabile… sai è lui che è diverso.
    Invece no: questo sta con me tre anni e poi decide che deve farsi prete.. ma che c’ho io? cosa gli ho fatto?
    eh he he ehh

  126. Antonio ha detto:

    ciao @sciagurata. Non sono ebreo né per fede, né per cultura … tuttavia c’é del vero in quello che dici … mia madre ha origini ebraiche. Ti dirò che mi fa piacere che si veda …

  127. fefral ha detto:

    @Paola, guarda che ce l’ha con te

  128. la sciagurata rispose ha detto:

    che mi sopporti???! Ma sentila, la pazza d’amore..
    la teorica dell’innamoramento perpetuo. :-)

    che ringrazia il cielo ogni giorno, vorrai dire..

  129. Senza nome ha detto:

    Paola, ringrazia che oggi ho molto tempo libero!!comunque più che impicciona, sei precisissima, puoi fare l’investigatrice, che non ti sfugge una domanda elusa..!!Scherzo…perchè la tua domanda comunque non volevo scansarla, ma avere il giusto tempo per rifletterci anche perchè come dici bene, non sto parlando di teoria , ma di vita personale e trovar le parole giuste può essere difficile!
    Vedi la mia strada verso Dio,o verso la santità o come vuoi dire, per via del matrimonio, porta ormai i nomi di mio marito e dei miei figli; non posso cercare qualcosa di diverso!Mi sa che quando arriverò lassù, non potrò presentarmi come single! Ma resta da capire COME, con quali strategie e mezzi, vivere un amore quando è essenzialmente un atto della volontà e molto poco un sentimento… può essere una grande fatica, un pò come costruire un tunnel nella roccia, ma sapendo che alla fine, qualcosa di bello ci sarà, una luce che qualche volta posso provare anche ora , ma certo non come vorrei..Ti riporto una frase che mi ha aiutato molto “Cosa si fa per assicurare qualcuno che una certa bevanda non contiene veleno? La si beve prima di lui, davanti a lui! Così ha fatto Dio con gli uomini. Egli ha bevuto il calice amaro della passione. Non può essere dunque avvelenato il dolore umano, non può essere solo negatività, perdita, assurdo, se Dio stesso ha scelto di assaporarlo. In fondo al calice ci deve essere una perla. E questa perla è la risurrezione!”(R. Cantalamessa)
    Per chiudere, in modo più “leggero”… ho trovato molto divertente la battuta ad Antonio (sei ebreo?)…beh credo che conoscere meglio il mondo della Bibbia, la straordinaria ricchezza dei significati delle parole, non possa che aiutarci nella comprensione del Vangelo! Ci sono ricchezze davvero sconosciute, rimandi continui che rafforzano e chiariscono il senso delle parole di Gesù e lo collegano a tutto il resto… Davvero una ricchezza che io per motivi di studio, ho potuto un pò approfondire…magari, in questo senso, fossimo tutti un pò ebrei!!!!Anche perchè l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Dio…

  130. la teorica dell'innamoramento perpetuo ha detto:

    sei unico!

  131. fefral ha detto:

    é fatta: sciagurà l’hai conquistata… è cotta!

  132. fefral ha detto:

    @Sciagurata, @don GianPaolo… è vero che quando l’amico a cui vuoi bene fa una cazzata grande (non mi piace dire che è infedele, perchè io vedo la cazzata, non posso leggere nel suo cuore) si sta male. E non è facile amarlo con la sua libertà. Eppure è l’unica strada

  133. Mauro Leonardi ha detto:

    @Lidia, don Gianpaolo
    A me piacerebbe parlare del fatto che – nella chiesa cattolica – il matrimonio è sempre indissolubile e il celibato è sempre dispensabile. E che questa non è una teoria ma un fatto, una constatazione, sulla quale è utile riflettere per capire che uno dei motivi per cui parlare del celibato come di “un matrimonio con Dio” non porta allo specifico del celibato e non aiuta a capirlo bene. Per questo la fedeltà del matrimonio e la fedeltà del celibato sono due fedeltà diverse anche se parzialmente sovrapponibili. Ma sono disposto a parlare di questo più avanti.

    Parlando invece di celibato matrimoniale, vorrei dire a Lidia che per la mia piccola esperienza non è vero “che nessuna persona di senno normale dirà mai la fedeltà è un disvalore”. E lo dice proprio Lidia quando afferma che “… diranno semmai: la fedeltà è bella, i matrimoni che durano 50 anni sono stupendi e nessuno si augura di divorziare ma se capitasse, meglio risposati e felici che sposati e infelici”: ma, appunto, quella del secondo caso non è la fedeltà al matrimonio indissolubile di cui parla la chiesa.

    Quando mi capita di preparare persone al matrimonio di primo acchito sembra che il problema sia l’argomento “fecondità”: contraccettivi, metodi naturali, paternità responsabile, preservativi, ecc. ecc. ma invece dove casca l’asino è proprio sulla fedeltà (non ancora – in Italia – sul terzo dei “beni” del matrimonio che è “uno con una”: questo perché la cultura del matrimonio omosessuale e la poligamia non sono ancora molto diffusi, almeno tra coloro che si sposano in Chiesa). Quando una coppia dice che sarà fedele per tutta la vita intende qualcosa del genere: “anche se l’amore che c’è adesso dovesse finire, noi saremo bravi e lo faremo ripartire”, ma questa non è l’idea di fedeltà del matrimonio. Il matrimonio è indissolubile qualunque cosa accada. Anche se mio marito scopre di essere gay, anche se è un pedofilo e se la fa con la figlia quindicenne della cameriera, anche… anche… Anche, ovviamente, se il nostro amore finisce e non riparte più. Questo vuol dire “fedeltà coniugale”.
    E ti assicuro Lidia che quando le cose le dici così non trovi molti che ti dicano di essere d’accordo. Eppure la fedeltà nel matrimonio è proprio questo: andare avanti anche se l’unico motivo per andare avanti è che mi sono sposato/a.

  134. Mauro Leonardi ha detto:

    … e poi sono un po’ stufo che tutti contrappongano il mondo dei sentimenti a quello della fedeltà. Mo’ vi racconto questa. Io ho 53 anni. Fino a 31 ero interista poi, d’improvviso, sono diventato milanista. Provo tutt’ora un senso di vergogna nel dire questa cosa, perché non si può dire. Quando dico questa cosa tutti mi saltano addosso e mi guardano con uno schifo che non è lontanamente paragonabile a quello che avrebbero se mi sposassi o se un marito lasciasse la moglie.
    Ebbene sì sono milanista ed ero veramente interista. Mi ricordo, avrò avuto 13 anni, una sconfitta per 7 a 1 dell’inter contro il Borussia per il quale piansi tutta la notte. Mi ricordo Netzer biondo che correva ed era un incubo. Ero veramente interista. Poi sono diventato milanista, veramente. Sarà stato Arrigo Sacchi, che ne so. E’ successo. Quando il Milan perde io non riesco neppure ad aprire il giornale (non solo le pagine sportive del giornale). Sono veramente milanista. (Mi sembra di essere un gay che fa outing…).
    Adesso mi volete dire da dove proviene il senso di schifo e di incomprensione che provate verso questo mio “voltafaccia”? Questa è o no infedeltà, è o no sentimento?

  135. fefral ha detto:

    embè già qualcun altro qualche tempo fa aveva detto una cosa tipo “Se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi”….
    ma per fortuna “Non tutti possono capirlo” altrimenti saremmo tutti celibi :-)

  136. fefral ha detto:

    don Ma’ non si preoccupi, pure se tiene milan le vogliamo bene lo stesso!
    Comunque pure io sono stufa di questa contrapposizione tra sentimenti e fedeltà, solo che don GianPaolo da quest’orecchio mi pare che non vuole sentire.

  137. Paola ha detto:

    Milanista? Che orrore …

  138. Dory ha detto:

    @Don Mauro…La fedeltà ha a che fare con i sentimenti? Più ancora per il corpo, Don Mauro…Non il corpo fisico, ma il Corpo… Perchè se c’è infedeltà ti senti “strappato dentro” e i pezzi…non li rimetti insieme. Non più. Quando l’infedeltà ( che non è solo il tradimento fisico come mi avevano spiegato nel “corso prematrimoniale…”) tocca il tuo matrimonio…E ti tocca subirla…Sei dilaniato…nel tuo progetto di Eternità che aveva un respiro a due, anzi a Tre (c’è Dio…)… Allora ti viene da chiederti se anche in questo caso, se anche quando l’altro ti strappa via la parte più bella di te, la tua stessa Dignità e magari lo fa senza neanche rendersene conto , ti viene da chiederti “ma sono sposato io?”… Io ci sto provando ad andare avanti comunque, ma è un dolore indicibile. Incolmabile, che non lascia respiro, devastante ancora di più perchè poi tutti i giorni ti alzi e ti devi sforzare di essere normale al lavoro, a casa perchè non è che hai la febbre o una malattia…Tutto “normale” e ti tocca dare tutto te stesso quando invece dentro ti senti un cumulo di macerie e non sai perchè… Ed è ancor più straziante sapere che i figli sono dentro a tutto questo…Pregate voi per me…Perchè io ora proprio non ci riesco. Vi ringrazio tutti.

  139. La sciagurata rispose ha detto:

    Dory, ciao. Contaci anche se non so quanto sia bravo in questo
    Ciao

  140. Antonio ha detto:

    Essere fedeli significa prima di tutto essere fedeli a se stessi … è una frase che non capisco. Per me essere fedeli significa mantenere le promesse che uno liberamente ha fatto. Tu dici: ha vissuto nella menzogna mentre ora è libero. Ma perchè questa non può essere una giustificazione anche per il coniuge tradito che sceglie di separarsi?

  141. La sciagurata deve pensare prima di rispose ha detto:

    @ Lidia aidi
    Devo dire che come avvocato del diavolo sei diabolica :-)
    Dici: Già perché rimanere fedeli ad una persona da cui si è separati e lontani col cuore, quando arriva quello che sembra essere davvero l’amore..
    Fedeltà ad una promessa o a che cosa?
    Sto ragionando su questo tema.. Ed ho letto un bell’articolo.. Ora devo ruminare un po’ di pensieri perché la rispostina del catechismo non mi basta più..
    Appena avrò assimilato darò la risposta del catechismi forse, ma sarà diverso.. Quindi porta pazienza.
    Grazie. Ciao

  142. La sciagurata rispose ha detto:

    Ma perché ci chiamiamo suora e padre aldo?
    La destrutturazione mentale di don leonardi ci ha contagiato o è tutto normale e sono io in crisi di identità perché entro a spizzichi e bocconi?
    Bho mistero!
    Viva la suora e viva padre aldo. Cin cin

  143. Mauro Leonardi ha detto:

    Ci chiamiamo “La suora e Padre Aldo” perché all’inizio la Discussione era su una una risposta di questo Padre Aldo a una lettera che una suora in crisi vocazionale scriveva a Padre Aldo. Trovi il tutto nel post iniziale della Discussione che è al cap. 1

    Oggi, magari nel primo pomeriggio, scriverò quello che penso su matrimonio indissolubile e delibato dispensabile e i perché e i per come della fedeltà nei due casi. Nel frattempo ho fatto tornare in auge la primissima discussione del blog “L’AMICIZIA NEL MATRIMONIO”, lì ci sono tante cose interessanti su matrimonio e istituzione (e fedeltà) che fa capire perché matrimonio e celibato sono molto ma molto diversi.

    Rileggere quei commenti dà un po di tenerezza: ci trattavamo con il nome e ci scrivevamo le letterine…
    Buona giornata a tutti!

  144. Paola ha detto:

    Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo, scriveva quell’autore russo.
    Personalmente, pur amando molto quell’autore, non sono d’accordo. Trovo, idi fatti, un dato comune nelle infelicità delle famiglie infelici: la (quasi) certezza della impossibilità di uscire dall’infelicità.
    Questo le vedo nella vita di molte persone intorno a me. Ma lo leggo nelle frasi di Dory e Senzanome.
    @Dory ci scrivi: “Perchè se c’è infedeltà ti senti “strappato dentro” e i pezzi…non li rimetti insieme. Non più.”
    @Senzanome invece: “un pò come costruire un tunnel nella roccia”.
    Ma perché è umanamente e divinamente impossibile trovare una via per uscire dall’infelicità?

  145. Tres ha detto:

    Non so se esistono famiglie infelici o felici, come se fossero una foto, un’istantanea . Una famiglia è sempre famiglia mentre felicità e infelicità vanno e vengono. Quando sei infelice, soprattutto all’inizio e sei sotto schiaffo, sei infelice. Sei adulto e sai che questo è un momento. Ma è il tuo momento di infelicità. E’importante dargli un nome. E’importante sostare in quel momento. Se non viviamo il presente, non viviamo. Il fatto di esternare qui il proprio dolore e, quindi immagino anche in altre sedi , con altre persone, è il modo per vivere la speranza di riessere felici. Se io te lo comunico che sono infelice, è perché anche creo una comunione con te, ti ci tiro dentro al mio dolore e quindi sono già meno sola e già meno infelice. Ma per poter essere felice una seconda volta, devo sostare in questo intermezzo di dolore che è la mia vita ora. Nessuna di noi è una foto della propria vita, ce la stiamo vivendo, non posso essere felice perché lo sarò. Io vivo ora e ora sono infelice, ma scavo un tunnel nella roccia, e i tunnel si scavano per sbucare dall’altra parte.
    Me lo hanno insegnato quando non riuscivo a perdonare una persona. Non riuscivo a perdonare perché non l’avevo mai accusata. Non avevo mai dato un nome al suo comportamento nei miei confronti, non mi ero mai concessa la dignità di vittima, non mi ero permessa di soffrire per colpa sua. Una volta fatto questo, è stato tutto più reale, lineare, giusto. Doloroso ma possibile. Ho iniziato a perdonare.
    Grazie per tutte queste riflessioni di questi giorni, veramente belle.

  146. Tres ha detto:

    Scusate mi sono resa conto di essere andata fuori tema con il mio commento. Qui si parla di fedeltà. Ma forse soffrire per una persona è una forma di fedeltà/amore a quella persona. Io non soffro per chi non amo. Forse Don Gian Paolo quelle persone che se ne sono andate, non hanno semplicemente tradito ma hanno tradito soffrendo e lacerandosi e in questa sofferenza c’è tutto l’amore e quindi la fedeltà a ciò che hanno lasciato ma portato anche con sè e forse, con il tempo, ritrovato dentro di loro. Forse la fedeltà è molto più che rimanere.
    Forse la fedeltà di chi rimane diviene più ricca imparando ad amare chi va via, non sottraendo la spalla.

  147. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Sciagurata. Ieri ti avrei mandato a…., perchè sarò prete ,ma ho fatto il medico, ho studiato a Roma, vivo da decenni in Sicilia w quindi non ignoro come reagire alle osservazioni impertinenti, non sono solo triste e lagnoso….ma so anche rompermi se qualcuno mi tratta con sufficienza e un certo fastidioso paternalismo.
    Oggi sono più buono, tollerante e conciliante come si conviene a uno che vive nel postmoderno.
    Mi chiedo: fedele a chi? A Dio, agli impegni che ti sei preso, a ciò che ti sei messo a costruire con altri….Non ad una immagine davanti agli altri, ma alle scelte che hai fatto TU responsabilmente, cioè pronto a risponderne in prima persona, per la durata e con tutti gli addentellati che vanno previsti quando si fa una scelta responsabile e cosciente. Quando si fa una scelta occorre prendere coscienza delle relazioni che si pongono in atto con quella scelta e vederne le conseguenze nel presente e nel futuro.
    Tu mi parli di aver imparato ad AMARE e lo scrivi con la maiuscola,mi fa molto piacere per te. Anch’io cerco di vivere amando Dio e il prossimo, nonostante tutto. Amare per me vuol dire volere il bene dell’altro, rispettare la verità dell’altro, rispettare gli impegni che ti sei assunto con l’altro, non abbandonare l’altro quando ti sei impegnato e hai promesso di stargli accanto.
    Amare non è solo tollerare, giustificare rispettare qualsiasi cosa l’altro scelga anche in contraddizione con tutto che aveva promesso prima. Questo lo faccio anch’io per aiutare gli altri in caso di necessità e mi sforzo di non giudicare, di comprendere, di convivere, di giustificare ma pretendere che io non soffra per le delusioni che l’altro mi dà perchè lui non si senta a disagio, mi pare pretendere un po’ troppo.
    Diffondere una cultura della tolleranza a scapito della verità, questo sì che mi pare troppo. Dire che è bene in sè ciò che in sè è male perchè così siamo tutto contenti, questo non riesco ad accettarlo per amore del prossimo.
    Poi nei casi singoli non mi permetterò di giudicare nessuno e ancor meno di condannare, ma non posso teorizzare che non esiste altra verità che quello che io sento.
    Se è questo che volevi dire, non sono d’accordo.
    Io ho paura che spesso si parli della coscienza e del rispettare la propria coscienza, riducendo la propria coscienza non al giudizio sulla verità e sulla bontà oggettiva di quello che si sceglie, ma alla corrispondenza con il sentimento del momento o del periodo che si sta vivendo. Così non si adegua il sentimento alla verità di ciò che si è scelto e che si è promesso, ma si fa diventar vero quello che il sentimento vuole in quel momento e si usa la parolina magica del non voler “essere ipocrita”.
    Ahimè, quanto male si fa in nome dell’autenticità. Io non nego importanza ai sentimenti nè me la prendo in particolare con te: non ti conosco. Io contesto il tipo di ragionamento che fai e il tipo di orientamento esistenziale. Bada bene che sono prontissimo a stare vicino a chiunque soffra; non voglio roghi e tribunali dell’inquisizione. Le delusioni me le soffro io. Se ne parlo è perchè non si dimentichi che l’incoerenza e l’infedeltà fa soffrire. Coltivare una cultura dell’infedeltà in nome della tutela della felicità e dell’autenticità mi pare prometta poco per il futuro . Questo è tutto.
    Prendo atto che professare queste idee può far sembrare talebano, prete triste; dire che l’infedeltà fa soffrire può far sembrare lagnoso.
    Imparo e cercherò di adeguarmi al “politically correct”, però teniamo conto che obbligare gli altri al politically correct” è fomentare una ipocrisia di ritorno. Con affetto e con stima per la tua chiarezza e con un po’ di invidia per la tua apparente spensieratezza.

  148. la sciagurata rispose ha detto:

    don colò! lo sa che quando si incazza rende bene?
    ho letto il suo ragionamento lo trovo molto più strutturato e profondo di quelli che avevo letto precedentemente. Mi fa piacere. anche perchè adesso mi da da pensare.
    ora non ho tempo per rispondere.. ma coltiverò i pensieri che ha messo in moto col suo post in attesa dei un momento più tranquillo.
    mi sa che la farò incazzare più spesso così mi mette in movimento il cervello :-)

  149. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Tres . Mi commuovono le tue parole e i tuoi argomenti. Io cerco di trovare insieme una cultura della prevenzione. La storia della Chiesa, della società e della medicina è piena di morti che hanno contribuito al progresso e alla prevenzione. Che cosa fare per evitare le sofferenze dell’infedeltà? Lo scandalo dell’incoerenza ? Certo non lo si ottiene con la rigidezza, con le minacce dell’inferno, con le camicie di forza ( anche se il saggio Ulisse si faceva legare alle vele per resistere al canto delle sirene, ma in ogni caso debbo essere io a farmi legare ), ecc., ecc.
    Però l’amore per Dio, per il coniuge, per l’impresa cristiana cui si è dedicato la vita debbono essere “per sempre”. E’ sempre successo che….tanto dicono e forse è vero. Però che cosa si può fare perchè non succeda ? Vorrei risposte e non solo consolanti incoraggiamenti. Questi so darmeli anch’io.
    Mauro. Io però non parlerei di Milan e Inter. se questi sono gli archetipi della fedeltà, allora mi faccio playboy!!!

  150. fefral ha detto:

    Ahimè quanto male si fa quando non si cerca l’autenticità!

  151. la sciagurata rispose ha detto:

    e mi risponde pure :-)
    bravo don leonardo! mi piaci

  152. la sciagurata rispose ha detto:

    un prete fa outing come i gay, l’altro minaccia di farsi playboy.. alcuni si sentono un po’ suora un po’ padre aldo..
    che figata, qui si cambia davvero :-)

  153. Antonio ha detto:

    Penso che una persona dovrebbe vivere accanto alle sue promesse … ogni sua azione dovrebbe recare il segno delle promesse che la giustificano e la alimentano. La promessa non è il mio passato, è il mio presente. Solo così posso vivere di ciò che ho promesso … altrimenti vivo in balia delle circostanze. Non dobbiamo ricordarci della fedeltà non soltanto quando l’infedeltà ci tenta … ce ne dobbiamo ricordare sempre. E sempre dovremo chiederci: sarei fedele come lo sono oggi se le circostanze fossero differenti? Se mi trovassi al posto di quel mio amico che oggi soffre tanto? Se ho trovato risposte a queste domande quando le cose mi vanno bene allora le mie promesse si rafforzeranno e saranno capaci di sostenermi meglio quando avrò le mie difficoltà … e sarò più di aiuto ai miei amici.

  154. Paola ha detto:

    Tres, credo che i piani possano esser 3.

    1) Le famiglie infelicemente felici. Qui tra essere umani nessuno si proclama felice e nessuno lo è fino infondo. E nel passare dei giorni e nel crescere delle relazioni ci si fa delle ferite reciproche ma, come dire, si cicatrizzano in modo tale da non cambiare i volti e i corpi delle persone della famiglia. Sicché sono famiglie (infelicemente) felici.
    2) Le famiglie Polifemo’s style. Lui fa una grossa cazzata, lei lo faccia di cas; il resto lo conosciamo. Rosa, insomma, non ce la faceva e ha, per un periodo, preferito rischiare di rompere la fedeltà perché non ce la faceva a vivere con lui. Ora, credo, abbiano ritrovato la normale (infelice) felicità (Anzi, sarebbe bello sapere se sono rimaste cicatrici o se, magari come nelle favole, ora con Rosa si amano più di prima!).
    3) Le famiglie felicemente infelici. Lui/lei fa qualcosa, o tante cose come nel racconto di @Senzanome, che fanno soffrire molto, e le cicatrici ci sono, restano, e sono d’ostacolo ad una felicità piena, piena anche se compatibile con la finitezza della vita umana. Qui le cicatrici si vedono e sfigurano, come dice @Dory, il volto, la relazione. E si va avanti con la fedeltà.

    Quello che mi chiedo e ti chiedo: le famiglie del terzo tipo, che con la fedeltà riescono a vivere una vita felicemente infelice, stanno vivendo un matrimonio pieno? E come fanno a continuare in questo status di felice infelicità? Ma non si impazzisce?

  155. Paola ha detto:

    “una persona dovrebbe vivere accanto alle sue promesse … ogni sua azione dovrebbe recare il segno delle promesse che la giustificano e la alimentano”

    che meraviglia! e com’è difficile …

  156. Senza nome ha detto:

    Paola ,dopo pranzo, sistemate le faccende…e pregato un pò…(anche per chiedere un pò di aiuto per quello che mi chiedi!!!) ti prometto una bella risposta, lunga lunga…se il blog me lo permette!!!perchè in pratica mi chiedi di parlare del senso della mia vita!!Ok, ci sto…

  157. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Sciagurata Me l’immaginavo che bisognasse farti un po’in…….( non è termine da prete, ma rende bene ), penso che diventeremo amici. Intanto pensa e buon appetito.

  158. Tres ha detto:

    @Don Gian Paolo, mi dispiace, non so dire più di quello che ho detto. Io ho vissuto solo fino ad oggi. Per me queste, che ho detto, non sono consolazioni ma come vivo io. E di più non so.
    @Paola non ho capito molto di quanto hai detto ma vedo che siamo daccordo che le situazioni di felicità sono liquide. Mi viene in mente quello che mi raccontavano di un gruppo di signore ricchissime e un altro poverissime che vivevano lo stesso ideale e in nome di quell’ideale avevano fatto un lavoro in comune. Alla fine di questo lavoro entrambi i gruppi avevano confidato ad una signora che non capivano come le altre potessero vivere, nella loro situazione di vita, quell’ideale che era invece loro comune. Troppo ricche secondo le une. Troppo povere secondo le altre. Eppure lo vivevano e bene. Che dire? Gli esseri umani sanno vivere e vivere quello che hanno. A volte, si, sembra di impazzire.

  159. fefral ha detto:

    Boh, io ho riletto il commento di don GianPaolo e non capisco perchè continua a mettere in bocca a chi gli risponde cose che non sono mai state dette:
    “Diffondere una cultura della tolleranza a scapito della verità”
    ” Dire che è bene in sè ciò che in sè è male perchè così siamo tutto contenti”
    “Amare non è solo tollerare, giustificare rispettare qualsiasi cosa l’altro scelga anche in contraddizione con tutto che aveva promesso prima”
    “riducendo la propria coscienza non al giudizio sulla verità e sulla bontà oggettiva di quello che si sceglie, ma alla corrispondenza con il sentimento del momento o del periodo che si sta vivendo”

    ecc….

    queste cose chi le ha mai affermate?

  160. Giaa Paolo Colò ha detto:

    fefral e d. Mauro. Io non contrappongo sentimenti e fedeltà. Fedele deve essere tutta la persona che è fatta di sentimenti, intelligenza e volontà, corpo, apparato digerente, ecc., ecc. Solamente dico, come – soavemente, è proprio bravo ! – Antonio cerca di farci capire, con la Bibbia, ecc. occorre che il tutto sia guidato armoniosamente dall’intelligenza, che è chiamata a conoscere e ad amministrare i sentimenti e a dare ordini – pieni di significato – alla volontà per prendere le decisioni necessarie a tempo debito e senza strappi.
    Io purtroppo sono più viscerale e mi accanisco contro i mulini a vento dell’emotività, attirandomi gli strali dei cuori sensibili, ma io non voglio dire altro che questo. Se dominano la sapienza e la prudenza ben condite e insaporite ( si vede che manca poco al pranzo!??! ) dai sentimenti le cose vanno bene. Però cerchiamo di non ….cercare la felicità ad ogni costo. E’il modo migliore per farla morire soffocata !
    Mi diceva una moglie in crisi matrimoniale che si è dedicata per anni a criticare il marito che sembrava non renderla felice e adesso che se ne è andato, ” acchianerebbe i mura liscia” secondo una espressione siciliana che si può tradurre togliendole molto del suo sapore ( di nuovo, l’acquolina…) “si arrampicherebbe sugli specchi ” per rimediare. Spero che ce la facciano a ritornare insieme ( pregate un po’) ma che sciocchezza questa critica accanita in nome della felicità. Certo il marito non era una perla, ma non è poi così male. Vado a tavola, però Mauro questa idea del celibato dispensabile mi sta rovinando il pranzo. Dispensabili sono le norme giuridiche il celibato propter regnum coelorum è una vocazione divina. Come la mettiamo con gli eunuchi propter regnum coelorum ( e che sciagurata non ci sguazzi su questa espressione sintetica !) Comunque il libro l’ho letto e qua e la mi sono perso in tante complesse anche se comprensibili evoluzioni dialettiche. Mi spiegherò meglio domani perchè il pomeriggio è molto preso.

  161. Giaa Paolo Colò ha detto:

    fefral Si leggono nella risposta che sciagurata mi ha dato, sviluppando solo un po’ le sue affermazioni. Prova a rileggere con attenzione. Almeno alle mie orecchie ….culturali suonano così. ma mi posso sbagliare. Purtroppo oggi per capirsi occorre la pazienza di evidenziare le proprie e le altrui precomprensioni, a costo di sbagliare. E’ lo scotto da pagare alla cultura della complessità. se mi sbaglio, ” corriggetemi”.. ( Il beato Giovanni Paolo mi protegga dai vostri strali…..)

  162. Paola ha detto:

    Io ho una domanda per i “don” del blog: che significa fedeltà nel matrimonio?

    Per esempio:

    1) Tizio e Tizia, sposati, vivono sotto lo stesso tetto. Ma da 2 anni, per incomprensioni e ferite varie, non si uniscono sessualmente (ma non si cercano un altro amante; come dire sessualmente quiescenti). Ma rimangono sotto lo steso tetto e magari non litigano nemmeno. Però non si uniscono. Sono fedeli?

    2) Caio e Caia, sposati, vanno d’amore e d’accordo. Ma lei fa sesso con Paperino, anche se il marito non lo sa. Lei si confessa, ma ci ricade. Ma non litigano. Sono fedeli?

    3) Sempronio e Sempronia sposati, si amavano alla follia poi boh… qualcosa succede. Vanno a vivere in case separate e non fanno sesso con nessun altro. Sono fedeli?

    Perché a questo punto, come direbbe Antonio, dobbiamo chiarirci sul nome fedeltà.

  163. Paola ha detto:

    La mia paura è che le famiglie del terzo tipo, le felicemente infelici, rischiano di non essere famiglie. Se la cicatrice sfigura, non c’è più una relazione personale. Sicché è una fedeltà all’istituzione “matrimonio” ma non al matrimonio che vivo ora e adesso.

  164. Senza nome ha detto:

    Ora potrei rispondere…a Paola…ma vedo che il tema è completamente cambiato! Dal “come vivere felicemente infelici e non impazzire” ad un discorso “mirato” al problema dell’unione fisica (molto importante pure…ma tema diverso!o meglio, direi che è una parte del tutto di prima)e boh, non so più a cosa rispondere!

  165. Senza nome ha detto:

    Senti Paola,il mio tentativo di risposta te lo lascio qui, anche perchè poi devo uscire con i figli e ho impegni vari(o tu mi dirai che non ho risposto!!!)
    Mi chiedi se non si impazzisce quando le ferite ti sfigurano e la felicità sembra un miraggio e soprattutto, tranne con una separazione,(che escludo a priori dalle possibilità che prendo in analisi!!) non ci sono possibilità di “cambiare” l’altra persona( soprattutto perchè, non ha nessuna intenzione di cambiarsi !!ritenendo di essere fatto in modo giusto così e piuttosto SEI TU MOGLIE-CHE NE SOFFRI-AD ESSERE SBAGLIATA!!!la prova è proprio nel fatto che tu soffri e io no!)

    Ti confesso che c’è stata una fase nella quale vedevo solo negatività nella mia vita e rischio di impazzire…ma poi, penso (senza esagerare), che Lui abbia deciso di intrufolarsi nella mia vita proprio “entrando” da quel negativo ; scusa la citazione, ma sono passata a trasformar lentamente le ferite dell’anima in feritoie per far passare la Sua Luce.
    Per non essere troppo teorica: il non trovare appiglio umano( nel senso che la relazione che hai tra le mani non ti soddisfa e non ti riempie la vita) lo puoi vivere come maledizione, ma può essere anche la più potente spinta del mondo a cercar Qualcun altro del quale altrimenti forse non avresti nessun bisogno.
    E’ un pò la storia del popolo ebreo che ogni volta che si trovava in difficoltà, “si ricordava” di Dio,salvo a deviare di nuovo appena le cose andavano meglio( per carità…non sono ebrea!e non auguro a nessuno di soffrire! ma quella storia mi sa che è paradigmatica, per capire LA NOSTRA storia.)
    Infatti dimmi la verità, quando ti alzi la mattina o ti fermi a pregare, dici DAVVERO che la tua vita è un esilio? la avverti veramente questa sensazione? Beh…IO SI!
    E il fatto che siamo in cammino, lo vivi davvero come sensazione che non hai nulla di sicuro tra le mani e ogni giorno potresti trovare un panorama diversissimo da quello di ieri?
    Il tuo “felicemente infelici” mi ha fatto pensare ad un santo che parla di “santamente insoddisfatti”…ecco il mio matrimonio è un difficile equilibrio di questo genere, mai raggiunto del tutto e sempre in fieri, e questo ti fa sentir DAVVERO SEMPRE IN CAMMINO!
    Io ho imparato a scoprire questo nella mia vita, che le cose che mi fanno soffrire posso “cambiarle di segno”…è qualcosa di simile al concetto di felix culpa che si canta nella notte di Pasqua…….può essere felice una colpa?
    Si,se “merita un tale Salvatore”( mi sembra siano parole della celebrazione), se ti fa scoprire Dio.
    E frasi come “ti fidanzerò a me nella tenerezza”…non si rischia di sentirle un pò esagerate? Si, sarà così…ma poi chi mi tratta con tenerezza reale è la persona che ho vicino!
    Per me invece spesso è davvero così.
    Insomma tutto( nel Vangelo, Bibbia,Salmi, s Paolo etc..) mi parla in modo nuovo e bellissimo e questa è una perla alla quale non rinuncerei per niente altro!

    Ovviamente non pensar che queste scoperte siano un possesso duraturo! Sapessi quante volte mi scoraggio! E sono cose di cui non puoi fare provviste(la famosa manna che marciva il giorno dopo! sono ritornata agli ebrei…)e quindi devi cercarle ogni giorno.
    Ma so da che parte guardare…e questo è di sicuro,il dono più bello che mi fatto il mio matrimonio!
    Forse con una storia diversa, sarei rimasta solo una che cerca di fare le cose bene( ero la classica brava ragazza, tutti 10) perchè così si fa …il marito ne è contento e la mia vita borghese procede serena…senza scossoni..mangiando e bevendo e poco più….fino alla fine.Spero di essermi un pò fatta capire,anche se non è facile, è troppo personale!Buon pomeriggio a tutti!

  166. Mauro Leonardi ha detto:

    Cerco di spiegare perché secondo me per capire cos’è la fedeltà è importante capire perché il matrimonio è indissolubile e che il celibato è dispensabile. Parto da una constatazione diversa da quella di don Gianpaolo, e che credo sia comune a tutti voi. Io, oltre a conoscere tante persone che hanno lasciato il loro impegno di matrimonio o di celibato con grandi sofferenze, ne conosco ancora di più che l’hanno fatto come fosse bere un bicchiere d’acqua. Ho presente adesso il caso di un signore che ha lasciato il celibato dopo trent’anni e che lo ha fatto apparentemente senza nessun motivo: non c’era una donna, non c’erano conflitti particolari, e così via, cioè non c’era “niente”. Quel niente che c’era e che si è rivelato quando ha lasciato, era evidentemente un “niente” per cui non era sufficiente rimanere. Potrei fare cento casi analoghi per il matrimonio. Ma potrei fare anche tanti altri esempi di tante relazioni diverse: ma come, scusa, non eravamo amici? ma come ti ho mandato un sms preoccupato o felice, e tu non mi rispondi? Il punto è che oggi (al di là del matrimonio e del celibato) capita spessissimo di non avere a cuore il bene della relazione.
    Ma purtroppo ora per spiegare cos’è questo bene devo fare un po’ di fatica e – se volete capirlo – dovete farla anche voi. Purtroppo è inevitabile.
    (continua)

  167. Mauro Leonardi ha detto:

    Farò un esempio. Se io regalo al mio amico Andrea un libro e lui accetta il dono, con quel gesto succedono due cose non solo una. La prima è che il libro diventa un dono e in questo diventare dono si intrecciano i gesti miei e di Andrea: al mio gesto attivo di donare corrisponde il suo passivo di accogliere il dono. Contemporaneamente però, oltre a questa relazione che si crea, si genera una seconda cosa che si chiama “il bene della relazione” – o “il frutto”, o “l’oggetto”, o “il bonum” ed espressioni sinonime – che è qualcosa di assolutamente reale ma di invisibile, immateriale, e che potrei descrivere come quell’insiemedi pensieri, affetti, sensazioni, suoi e miei che danno luogo a qualcosa di nuovo: guarda un po’ Mauro come mi conosce e capisce che mi piace questo libro, meno male che Andrea si è accorto che lo conosco e che ecc.ecc.. Forse potremmo chiamare questa nuova realtà spirituale “amicizia” ma io vorrei che fosse chiaro che l’amicizia non è solo il dono del libro – il legame che c’è tra noi due simbolizzato da una riga al centro della quale c’è un libro – ma qualcosa d’altro che è nuova, che non è soltanto la somma dei due estremi che siamo io e Andrea, ma è un’altra cosa, una terza cosa. La relazione tra me e Andrea cioè, non va immaginata come una specie di canale che collega noi due: è una terza realtà, spirituale, che ha una sua consistenza importantissima anche se è immateriale. Se invece di essere io e Andrea i termini della relazione, i termini fossero Angelo e Margherita, e se l’oggetto della relazione non fosse un libro ma la loro vita inclusi i loro corpi, se quindi Angelo e Margherita donassero sé stessi l’uno all’altro nel corpo, quella relazione si chiamerebbe matrimonio (o anche famiglia) e il bene della relazione sarebbe una terza cosa rispetto a loro due, una terza cosa che inizierebbe a esistere nell’istante stesso in cui si donano. E’ importante avere chiaro che il bene – o il frutto – della relazione matrimoniale non è il figlio, perché il bene della relazione esiste a prescindere dal fatto che arrivino o no dei figli. Sembrerà strano, ma quello che voglio dire – cioè che la relazione e il frutto della relazione sono due “cose” diverse – si spiega nel modo più pieno e più perfetto pensando alla Trinità. Nella Trinità avviene che il Padre dona tutta la propria vita al Figlio (la dona in un modo infinitamente superiore rispetto a quanto può fare un marito con una moglie, o un amico con un amico) e il Figlio riceve tutta quella vita dal Padre e la riceve come propria (e la riceve infinitamente di più di quanto una moglie possa ricevere in sé il marito, o un amico possa ricevere nella propria vita la confidenza di un altro amico) e, a sua volta, proprio perché si comporta come il Padre, ridona la vita al Padre. Questa relazione tra Padre e Figlio si chiama relazione di paternità (in un senso) e di filiazione (in un altro). Ora il bene – il bonum – di questa relazione è un’altra cosa rispetto alla paternità/filiazione ed è lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo – si badi bene – “procede” dal Padre e dal Figlio ma non è figlio del Padre e non è figlio del Figlio. Lo Spirito Santo procede proprio come procede il bene della relazione nel caso del dono del libro, solo che essendo i termini della relazione Dio Padre e di Dio Figlio, e essendo il dono la Vita divina perfetta e eterna, quella che procede è addirittura una Persona, una terza Persona in tutto uguale alle prime due, tranne che per le relazioni. Infatti nella Trinità tutto è uguale per ciascuno tranne che per le relazioni che sono tre: paternità (dal Padre al Figlio), filiazione (dal Figlio al Padre), spirazione (attiva dai primi due verso lo Spirito Santo, e passiva dallo Spirito Santo verso i primi due).
    (continua)

  168. Mauro Leonardi ha detto:

    Facciamo degli esempi di questo bonum o frutto della relazione. Per i cristiani la Chiesa è relazione, ed ha un proprio bonum. Per i militanti della Lega, la Lega è relazione è ha un proprio bonum. Per gli juventini tifare Juventus è una relazione che ha un proprio bonum o frutto. Questo “frutto” è quello che viene difeso da certi “riti” (guardare la partita alla Tv avendo addosso la sciarpa della Juve, pensare che Luciano Moggi è stato un benefattore della Juventus, ecc. ecc.) ma il bonum non è nessuna di queste cose. Eppure se un tifoso della Juventus dicesse ai suoi amici tifosi, da oggi sono milanista tutti ne proverebbero disgusto, ira, ecc. tutti sentimenti derivanti dall’avere tradito il bonum immateriale che li lega. Quindi, ogni relazione è due cose: la relazione e il bene della relazione. Essere fedeli vuol dire avere a cuore non solo la relazione ma anche il bene della relazione. Se una mamma dice al figlio che sta al computer: piantala di stare al computer e studia, potrebbe anche fare un gesto contro il bonum della relazione familiare. Perché dovrebbe dire: ma il papà cosa ha detto a nostro figlio? Ha detto la stessa cosa che ho detto io e sarebbe d’accordo? Perché magari il papà gli ha detto che per fare bene i compiti deve imparare a usare internet ecc. ecc. Se la mamma si disinteressa di tutto ciò lascia al figlio il peso di curare il bene della relazione che c’è tra i suoi genitori. La fedeltà a un matrimonio, al celibato, a un’amicizia, al tifo calcistico, al voto politico, ecc. ecc., insomma “la fedeltà”, è sempre fedeltà a due cose: a quella relazione (e ogni relazione è diversa) e al suo bene specifico, che è distinto dalla relazione in sé.
    (continua)

  169. Mauro Leonardi ha detto:

    Ecco quindi che la relazione matrimonio ha anche un bene del matrimonio che è fatto dall’unione dei due corpi: i due diventano una sola carne (ovviamente non mi riferisco al mero aspetto fisico): ecco perché la relazione è indissolubile. Perché non si può squartare un un corpo che è unico. Quante volte succede che una moglie muoia pochi mesi dopo la morte del marito con il quale è vissuta cinquant’anni. Sono un solo corpo, e non possono vivere divisi. Nel celibato non è così perché il bonum della relazione di celibato è spirituale, è immateriale. E’ qualcosa che ha a che fare tremendamente con l’amicizia (per questo ho chiesto a don Gianpaolo se ha letto il mio libro) e l’amicizia c’è solo (come condizione necessaria, non come condizione sufficiente) se la si sceglie continuamente, se la si vuole continuamente, se è qualcosa che mi sta a cuore per cui io la costruisco. Il corpo ha bisogno di istituzioni, l’amicizia invece non le tollera. Non è possibile istituzionalizzare l’amicizia. Non distinguere tra matrimonio e amicizia (cioè tra amore sponsale e amicizia) porta a enormi problemi. Per esempio quello della convivenza. Nella convivenza si vorrebbe che un legame che è nel corpo (un legame matrimoniale) fosse come quello dell’amicizia, cioè continuamente scelto, voluto, vivo, da “innamorati”. Non sto dicendo che nel matrimonio tutto ciò non ci debba essere, sto dicendo che se nel matrimonio tutto ciò non c’è il matrimonio c’è lo stesso e che invece per l’amicizia non è così, per in quel caso l’amicizia c’è. E, alla lunga, non c’è neppure il celibato. L’amico di Sciagurata San Josemaría Escrivá a proposito del celibato dei laici (che per me, essendo la vita nascosta di Gesù a Nazareth, è il nocciolo del celibato in quanto tale) diceva che il celibato dei laici, quello senza voti, è “un impegno d’amore”: un compromiso de amor. E il suo fedele discepolo Álvaro del Portillo chiosava: è quello che fanno i fidanzati che stanno per sposarsi. Questo esempio, pur rimanendo nell’ambito del linguaggio sponsale, dà qualche luce perché fa capire che l’andare avanti è frutto dell’amore e non del vincolo: anche se hanno intenzione di sposarsi, finché non lo fanno i fidanzati possono lasciarsi. Mi fermo qui. So benissimo di essere stato troppo lungo. Ma credo che tutto ciò sia veramente importante e spero di suscitare molte domande in proposito. Non so a questo punto se don Gianpaolo sarà più agitato o più tranquillo. Credo che il motivo per cui a volte quello che dice suona un po’ duro è che ha sempre sotto gli occhi uno dei due estremi della relazione, un individuo (che deve essere coerente con la parola data, con la verità, non essere sentimentale ecc.) e non il “bene delle relazione” che è un’altra cosa, una terza cosa: se no ci sarebbero solo il Padre e il Figlio e non anche lo Spirito Santo.
    (Fine)

  170. Mauro Leonardi ha detto:

    Errata corrige. La frase “Non sto dicendo che nel matrimonio tutto ciò non ci debba essere, sto dicendo che se nel matrimonio tutto ciò non c’è il matrimonio c’è lo stesso e che invece per l’amicizia non è così, per in quel caso l’amicizia c’è” va semplicemente letta: “Non sto dicendo che nel matrimonio tutto ciò non ci debba essere, sto dicendo che se nel matrimonio tutto ciò non c’è il matrimonio c’è lo stesso e che invece per l’amicizia non è così.”

    Ne approfitto per dire che credo sia chiaro a tutti che l’amore di cui parlano Escrivá e Del Portillo non è mero sentimento (se no don Gianpaolo mi ammazza…) ma una “pasta” fatta di tante cose: sentimento, corpo, senso, significato, preghiera, fraternità, amicizia ecc. ecc, cioè la vita la vita la vita… e che – essendo una relazione – si può anche chiamare con un nome: chiesa, opus dei, ecc. ecc. ma il bonum relazionale che questa relazione produce e fatto a tutti coloro che appartengono alla relazione. Non solo da uno o qualcuno cui gli altri aderiscono: ma da tutti e ciascuno.
    E questa volta ho proprio finito.
    Grazie!

  171. fefral ha detto:

    @don Gianpaolo: io invece penso che quello che debba guidarci e debba guidare le nostre scelte e possa far sì che tutte le nostre facoltà siano orientate al bene non è l’intelligenza ma qualcosa di più completo, che io chiamo cuore e che non c’entra nulla con il sentimentalismo che lei continua a tirare in ballo come rischio da cui rifuggire e che attribuisce (in maniera abbastanza insistente e fastidiosa) prevalentemente alle donne e alle generazioni più giovani.
    Io sviluppando i commenti di Sciagurata non sono arrivata alle conclusioni che lei ha riportato. Sviluppando i suoi invece mi pare che si arrivino a considerare le emozioni e i sentimenti (che sono tra l’altro cose diverse) come un rischio da cui fuggire, come delle bestie da tenere a bada, come qualcosa che non costituisce armoniosamente la persona ma che in un certo senso la snatura. E questo è molto pericoloso. Pericoloso almeno quanto mettere le emozioni al primo posto a scapito di intelligenza e volontà.

    A proposito invece di fedeltà, io credo che fedeltà sia cosa molto diversa da lealtà. La lealtà è il rispetto di un impegno. Fedeltà è prendersi a cuore quell’impegno con tutto sé stesso. Fedeltà c’entra col dare la propria vita. Per questo sento molto più vicini al mio pensiero i discorsi di sciagurata che i suoi. Non sono fedele se mi limito a rispettare i patti. Per questo in tanti episodi di infedeltà “puntuali” (uno che molla la sua vocazione dopo 20 anni senza nessuna motivazione apparente; una che lascia marito e figli dopo un matrimonio che sembrava funzionare) in realtà sono spesso esempi di una fedeltà mai vissuta.
    Quello che racconta don Mauro, di questo che lascia la vocazione dopo 30 anni perchè si rende conto che in quella vocazione non c’era nulla… non è infedele nel momento in cui lascia, probabilmente non è mai stato davvero fedele, pur non essendo mai stato infedele… probabilmente è stato semplicemente per 30 anni leale con gli impegni presi, ma quella, come le ho detto, è una cosa diversa.

  172. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Sciagurata. La mia confessione di tendenza al playboysmo deriva dal fatto che io dopo una terribile delusione calcistica giovanile ( non farò l’outing come Mauro ) il cui contenuto non rivelo, tifo sempre, di domenica in domenica, per la prima in classifica e a volte mi abbandono anche tra le braccia di quella che ha segnato di più o giocato meglio oscillando tra l’estetismo più puro e la relazione di convenienza. Perciò l’esempio di d. Mauro mi metteva in difficoltà. Perciò sono un playboy innocente o sublimato (?)

  173. Giaa Paolo Colò ha detto:

    Mauro. Rifletteremo, rifletteremo, anche se questi voli dalla Trinità alla Lega mi lasciano un po’ tramortito e trasecolato e mi tolgono per qualche istante la serenità di giudizio.
    Però di prima botta io non mi sento amico di Dio e di quelli che Dio ha chiamato con me, per un rapporto di amicizia, spirituale, puro, senza carne e sangue, che si può sgonfiare non si sa bene perchè. Io sono figlio di Dio,fratello dei miei fratelli, unito in un solo corpo con Cristo. Io appartengo a questa famiglia: chiamami come vuoi zio,cugino, nipote ma nelle mie vene scorre il sangue di Cristo e chi abbandona questa famiglia e tradisce questo sangue, mi fa male come se mi abbandonasse mia moglie o se un mio figlio morisse o ancora di più perchè tradisce un amore ancora più grande e perchè rinnega una chiamata di grande portata. Perchè si comporta come Dema, perchè mi lascia solo e senza un mantello, perchè mi abbandona solo davanti al tribunale del mondo, perchè appanna lo splendore di questa famiglia divina e umana e defrauda il mondo di una testimonianza oblativa di grande importanza.
    Perciò la tua analisi teosociologica è bella ma mi gela un po’ il cuore: così si capirà che non sono un intellettualista e un volontarista senza cuore.
    Io non giudico e non condanno nessuno; non lo ha fatto Gesù con Giuda figurarsi se posso permettermi di farlo io. Ma se c’è la chiamata e la grazia relativa occorre fare qualcosa di preventivo e non solo mettersi nelle mani di Dio e ricordarci che non si può giudicare nessuno o dare la colpa ai difetti delle persone che hanno convissuto. Perchè si svuotano i cuori dell’amore di Dio, dell’amore coniugale, dell’amore al prossimo ? Questo è il problema che vorrei discutere con voi. Mi fermo perchè è tardi e debbo andare a scaldare la minestra che fa parte del dono della relazione. Buona cena

  174. Paola ha detto:

    Io sono stata in una riunione tutto il pomeriggio e ho pensato e ripensato alla relazione, al bonum e … confesso, don Mauro, non mi ha proprio chiarito le idee.

    Scusi se sono pragmatica (ma sono una giurista per cui se non capisco la fattispecie mi sfugge la disciplina). Ma cos’è il frutto della relazione matrimoniale? la relazione stessa più qualcos’altro? perché la relazione tra Padre e Figlio è lo Spirito Santo. Quindi qui la la relazione è il frutto.
    Insomma mi sembra che, per schematizzare, il matrimonio sia come la tubercolosi: una volta contratto (contratta) il segno sul corpo rimane indelebile (o per la malattia sui polmoni). Quindi gli sposi, no matter what they do, sono nel sacramento, restano sposi, anche a prescindere dal fatto che consumino i riti (come li chiama lei, insomma a prescindere dal vedere la partita)?

  175. Mauro Leonardi ha detto:

    @Giampaolo e tutti
    Grazie infinite per la pazienza di aver letto quello che ho scritto…
    @Gianpaolo
    La fedeltà nel matrimonio indissolubile è una cosa diversa dalla fedeltà nel celibato. Il matrimonio è indissolubile perché lo dice Jawhé nella Genesi e a lui si rifà Gesù (Mt 19,6) ed entrambi adducono lo stesso motivo: essere una sola carne (“non sono più due ma una carne sola”). Io – da quando ho visto morire i miei genitori – mi sono convinto che Gesù va preso sul serio, proprio alla lettera, e chi può capire capisca (Fefral questa frase Gesù la dice anche per l’indissolubilità del matrimonio non solo per il celibato, anche se in genere i preti e i cristiani non lo sanno e quindi la riservano al celibato…). Poiché Jawhé e Gesù non hanno fatto lo stesso per il celibato, la Chiesa (che non è guidata né dai teologi, né dai sociologi, né dagli psicologi, né dai preti… ma dallo Spirito Santo) non riserva al celibato lo stesso trattamento che riserva al matrimonio. Questo non vuol dire che non ci sia una fedeltà del celibato: secondo me c’è ed è anche maggiore di quella del matrimonio. Proprio perché non ha molto a che vedere con le istituzioni (come il matrimonio) ma a molto a che vedere con il cuore, l’amore, e l’amicizia. Si l’amicizia. Perché, scusa, secondo te la fedeltà con l’amicizia non centra? Per quelli che hanno in grande stima l’amicizia (come avviene a Gesù e a tanti altri) la fedeltà nell’amicizia è una cosa infinitamente seria e infinitamente più delicata e, se vogliamo, “complicata” della fedeltà nel matrimonio. Scusa Gianpaolo ma la risposta – di prima botta e senza cena – “io non mi sento amico di Dio e di quelli che Dio ha chiamato con me, per un rapporto di amicizia, spirituale, puro, senza carne e sangue, che si può sgonfiare non si sa bene perché” è infinitamente triste e credo sia alla radice di tante defezioni dal celibato nella Chiesa. Rileggi bene, a pancia piena, cosa hai scritto e forse ti viene voglia di rettificare. Te lo riporto “… amico… amicizia…. che si può sgonfiare non si sa bene perché” ma questa è l’amicizia? Qualcosa di volatile l’amicizia? Ma dove lo metti Gesù “vi ho chiamato amici perché tutte le parole che ho udito dal Padre mio le ho fatte conoscere a voi” (Gv 15,15). Dove metti tutti quegli uomini e quelle donne che nell’amicizia ci credono sul serio?

  176. Mauro Leonardi ha detto:

    @Paola grazie per aver letto quello che ho scritto.
    “… perché la relazione tra Padre e Figlio è lo Spirito Santo… quindi qui la la relazione è il frutto…”. Tecnicamente questa è un’eresia (ovviamente tu non sei eretica… :-) )
    La relazione tra il Padre e il Figlio si chiama paternità/filiazione. Dal punto di vista del Padre si chiama paternità e dal punto di vista del Figlio si chiama filiazione, come tu sei madre dei tuoi figli e i tuoi figli sono… i tuoi figli.
    Lo Spirito Santo “procede” dal Padre e dal Figlio è frutto o bene o bonum o… della relazione di paternità e di filiazione. Cioè è un’altra “cosa”, è una “seconda cosa”. Quando tu e tuo marito vi siete sposati è nata una relazione sponsale tra voi ma è nata anche una seconda cosa che non siete semplicemente tu + lui ma è un’altra cosa diversa e nuova che si chiama il bene, il contenuto della relazione tra voi due che è quella sponsale. Potrei chiamare questa “cosa nuova” famiglia o matrimonio ma un po’ paura a farlo perché vorrei che fosse chiaro che la cosa nuova non siete solo voi due (e questo a prescindere dagli eventuali figli). Per questo non si può tornare indietro, non è un’operazione reversibile. E’ nata un’altra cosa inscindibilmente legata alla vostra relazione ma che è diversa. Se tornate indietro semplicemente la ferite, non la annulate.

  177. Antonio ha detto:

    Qui ci vuole un terzo prete per dirimere la questione :-))))

  178. Mauro Leonardi ha detto:

    @Paola
    Il frutto della relazione matrimoniale e la relazione matrimoniale sono due cose diverse. Sono la relazione matrimoniale (marito e moglie= famiglia) e il bene di quella relazione. Se arriva 1 figlio aumentano le relazioni (tra marito e moglie, tra marito e figlio 1, tra moglie e figlio 1); se ne arriva un altro aumentano ancora le relazioni (quelle di prima, più marito e figlio 2 e moglie e figlio 2) e così via ma il frutto delle relazioni è sempre uno, è sempre il medesimo e si chiama famiglia, quella famiglia. Quel frutto, che è sempre il medesimo, cambia e si sviluppa (come un seme e l’albero) ma è sempre uno, quella famiglia.

  179. Mauro Leonardi ha detto:

    Per favore, posso non essere considerato “un prete” ma quello che sono… Mauro Leonardi?
    Grazie.

  180. fefral ha detto:

    don Ma’ ma lei è un prete!

  181. La sciagurata rispose ha detto:

    Senta don Leonardo, Lei sa spiegare la Trinità ai duri di cervello.. Capisce? Un mistero della fede, un dogma.. E lei l’ha spiegato e illuminato.. Propongo di togliere l’imu alla parrocchia di don Leonardo! Bravo! Grazie!

  182. fefral ha detto:

    @Don mauro “(Fefral questa frase Gesù la dice anche per l’indissolubilità del matrimonio non solo per il celibato, anche se in genere i preti e i cristiani non lo sanno e quindi la riservano al celibato…).”
    in realtà questa frase la dice principalmente per rispondere ai discepoli proprio riguardo l’indissolubilità del matrimonio.
    Cioè dopo che ha spiegato che non si può ripudiare la moglie quelli si fanno due conti è dicono “uh mamma allora il matrimonio è una roba difficile, meglio non sposarsi” e Lui dice “eh sì, proprio così, ma non tutti se ne rendono conto. Non tutti capiscono cosa comporta la fedeltà matrimoniale, ma solo alcuni (e io, Fefral, aggiungo, per fortuna, se no faremmo tutti i numerari dell’opus Dei)

  183. fefral ha detto:

    Non le ascolta, Don Mauro. E spiega loro che non devono vivere di sentimentalismi.
    Grazie di aver ripreso lei quelle parole sull’amicizia, probabilmente don GianPaolo leggerà le sue obiezioni non considerandole emotività di una femminuccia.
    “Mandatum novum do vobis: ut diligatis invicem, sicut dilexi vos” giusto? E com’è che ci amati Lui? Come amici.
    Non ci chiama cugini, fratelli, cognati. Ci ha chiamati amici. I legami più forti di quelli del sangue sono legami di amicizia, perchè è quello l’amore con cui il Figlio ha scelto di donarsi agli uomini.
    Però don GianPaolo (e non solo lui) preferisce i cugini e i nipoti agli amici. Che peccato!

  184. Paola ha detto:

    Grazie Mauro Leonardi.

  185. Lidia ha detto:

    io, da non-ancora-sposata-e-neanche-ancora-fidanzata me ne sto zitta e buona, e lascio il passo a celibi e sposati.
    Però una cosa la dico: una defezione dal celibato mi può far male, ma bisogna capire perché di quella defezione come giustamente diceva Fefral. Una mia amica aveva scelto il celibato, fin da giovanissima, poi, a circa 23 anni le è venuta una crisi depressiva fortissima, rischi di anoressia etc. e le è stato detto “evidentemente non è la tua strada” e le è stato consigliato di lasciare la via del celibato. Se si fosse sposata, depressa o no, nessuno si sarebbe sognato di dirle “evidentemente il matrimonio non è per te”.
    Poi, io capisco la sofferenza di Don Gianpaolo. Davanti a casi di gente che esce sbattendo la porta, e magari iniziando a parlar male di tutto e tutti, capisco la sofferenza. Ma non è il caso di tutti.
    Mi ha colpito il caso di Scott Hahn e sua moglie Kimberley, entrambi teologi protestanti. Quando Scott, da pastore protestante, si converte al cattolicesimo Kimberly lo vede come un tradimento verso di lei personalmente. E pensa addirittura di divorziare, per non essere sposata con un apostata. E Scott, che le aveva promesso di non convertirsi prima una certa data, le dice “Kimberley, o sono fedele alla promessa verso di te o lo sono a Dio. E credo che ora debba esserlo verso Dio”. Kimberley si sente tradita – suo marito, un apostata. Ma evidentemente Scott in coscienza sapeva di dover “tradire” la fede protestante. Ora io mi chiedo, come possiamo noi sapere nelle vocazoni al celibato quante volte il “laciare” sia dovuto ad un egoista “non ce la faccio più” e quante, invece, ad una coscienza che il perseverare sarebbe un mentire, un essere fedele alla forma ma infedele alla sostanza? Alla fine uno ci si gioca l’anima! E se, in coscienza, davanti a Dio, questa persona ritiene giusto andarsene (o per sposarsi, o per vivere in altro stato) penso meriti se non altro rispetto. Allo stesso modo, non possiamo sapere se un non perseverare che a noi pare dettato da motivi altissimi non sia sia in realtà dettato da egoismo, incertezza, slealtà. Nel dubbio, pro reo. Ma a me questi concetti sembrano talmente basilari che mi pare persino scemo stare a ribadirli.
    è ovvio che tutto ciò al matrimonio non si applica.
    Don Mauro, i discorsi trinitari etc. li ho letti ma non ci ho capito niente. La prossima volta pane e salame, ok?
    Ma dov’è finita la cara Ester?

  186. Tres ha detto:

    Don Gian Paolo non capisco cosa è quel qualcosa di preventivo che lei vorrebbe conoscere per evitare che i cuori si svuotano. Mi sono sposata tanti anni fa e non penso di aver avuto nulla di preventivo da portare a casa nuova. Sicuramente ora ne so molto di più sul matrimonio, la relazione, il bonum. i figli, la fedeltà, o per lo meno ora so che si chiamano così, e li ho approfonditi, studiati e fatti miei. Sicuramente ora la mia fede è qualcosa in più di quella che mi portò in chiesa quel giorno. Ma tutto questo è venuto durante la mia vita matrimoniale e non credo che se lo avessi saputo prima i momenti dolorosi mi avrebbero stupito di meno. Perchè ,ecco, Don Gian Paolo, a me il dolore nel matrimonio mi ha stupito tanto. Lo conoscevo il dolore ma non nel matrimonio. Tra gli sposi anche il dolore si fa “una carne sola”. E’ diverso il dolore che si prova da soli o nelle altre relazioni da quello che si prova nel matrimonio. Ma c’è una fecondità nel matrimonio che è, secondo me nascosta nella fedeltà, che ripara l’irreparabile. Ciò che fa male nel matrimonio, trova nella fedeltà un riparo. Riparare non è ricominciare come prima ma è una profondità di radici. P.s.Sono fuori orario massimo di sonno.Ho trovato il computer acceso e forse questa è la mia preghiera serale. Notte

  187. Lidia ha detto:

    sarà, ma a me questa cosa dell’amicizia e Dio non convince. cioè convince l’amicizia, ma il sentirsi figli di Dio non mi pare sbagliato. Dio Padre non è mio amico, è mio padre. Gesù è mio amico, ma non è il Padre. E sinceramente io voglio più bene a mio papà che alla mia migliore amica, è butto quantificare l’affetto e probabilmente manco si può fare, ma in soldoni è così.
    I legami di sangue sono diversi dall’amicizia, ma non si possono paragonae in termini più forte più debole. Se mia sorella morisse starei malissimo, non me lo posso neanche immaginare. Ma lei non è mia “amica”. Se morisse la mia migliore amica starei malissimo, ma (è brutto ma è così) forse troverei un’altra amica. Magari no, magari non sarebbe mai rimpiazzabile (del resto nessuna relazione lo è, rimpiazzare si possono solo gli oggetti), magari diventerei sociopatica e non avrei mai più amici, ma non credo.
    Certo, vivere senza amici è impossibile, e nessun cugino sopperisce un vero amico…a meno che il cugino stesso non sia un amico. IO credo don Colò veda la fraternità così: un essere fratelli e anche amici.
    Gesù è allo stesso tempo amico e amore e creatore e tutto, ed è un affetto diverso da tutti gli altri (anche se molto simile all’amicizia).

  188. Lucy ha detto:

    Non leggo spesso il blog , ma ora voglio proprio dire la mia. Io sono sposata e dopo un pò di anni di vita matrimoniale,per motivi molto seri e fondati(non alla leggera, intendo) è venuta a me la crisi depressiva(come alla numeraria di cui parla Lidia) e il non trovar senso più in nulla di quello che riguarda la vita matrimoniale.Siccome un pò di fede ce l’ho,ho fatto appello a quella,per andar avanti, ma il marito se ne è accorto e mi dice- si vede che il matrimonio non era la tua strada! ti piace leggere,scrivere, pregare,occuparti degli altri etc:quelle cose ti vengono spontanee e ti danno gioia, non le fai perchè devi.Significa che la tua vocazione era un’altra!”
    Anche se ovviamente è un caso senza soluzione, (non posso far altro che cercar di amare quello che ho tra le mani) e anche se ho notato che in questo blog, non ci sono mai risposte, ma solo un accavallarsi veloce di pareri, vorrei chiedere-come lo classifichiamo e affrontiamo il mio caso, d Mauro?(o d Colò o chiunque voglia dirmi qualcosa?)

  189. Forza Juve ha detto:

    non parlar male degli autori russi, che a lidia pesti la coda!

  190. Forza Juve ha detto:

    la moglie di Hahn non era una teologa, protestante sì ma non teologa, che ci rimase male all’inizio proprio perché figlia di pastore protestante e fin da piccola col sogno di diventare moglie d’un pastore protestante
    La cosa bella è che lui arriva a convertirsi non cadendo da cavallo mentre va a Damasco, ma cercando di approfondire la teologia protestante, scava scava si rende conto che sviluppando le premesse teologiche protestanti si arriva alla teologia cattolica.
    Racconta anche, e questo è meno bello, di aver cercato lungamente un sacerdote cattolico per convertirsi, ma di averne trovati parecchi che gli sconsigliarono questo passo, dicendogli fosse inutile, che l’unica cosa da fare fosse cercare di essere protestante nel migliore dei modi, finché non si imbatte in un prete dell’Opus, e qui comincia tutta un’altra storia.

  191. Paola ha detto:

    Lucy, ti scrivo quello che ho capito in pane e salamese (così decodifico per Lidia).

    Il tuo matrimonio è una realtà che c’è a prescindere da quello che senti tu, sente lui e facciano i figli. Il matrimonio, per essere esagerata, per esistere non ha bisogno di te e tuo marito; non ha bisogno della tua gioia o della comprensione del tuo marito. C’è ed è indelebile, indissolubile. Il matrimonio è lì sia che tu sia depressa, sia che tu sia eccitatissima, sia che lui sia pazzo d’amore per te, sia che lui sogni di fuggire in Brasile e finalmente divertirsi un po’. Il matrimonio resta sempre lì. Il matrimonio non soffre per il freddo e non aumenta per il caldo. Il matrimonio è fortissimo, inattaccabile.

    Io, ti confesso, fino in fondo prima di ieri sera non l’avevo capito!

    E, allora, (don Mauro controlla che non sia eretica di nuovo, mi raccomando!!), permettimi Lucy di scriverti una metafora del matrimonio paragonando questo bonum immateriale (la famiglia) ad un bonum materiale, per es. un appartamento.

    Tu e tuo marito, sposandosi in Chiesa, avete generato il matrimonio, la famiglia. Ok? Immagina che questa famiglia sia come un appartamento. Tu, sposandoti, decidi che lo spazio in cui vivere la relazione d’amore con tuo marito sia la famiglia, sia l’appartamento nel nostro esempio (l’appartamento è il luogo fisico come metafora del bonum immateriale la famiglia/il matrimonio). Se poi, per motivi santi e comprensibile, tu ti accorgi che questo appartamento (questo matrimonio) non ti dà più la gioia che pensavi, tu puoi pure decidere di uscire di casa (puoi pure decidere di non nutrire la tua relazione d’amore con tuo marito) o peggio le vicende della vita possono pure spingerti ad uscire da quell’appartamento (per esempio un tuo collega ti mostra una villa bella e ricca di fiori e tu pensi: oh, ma che sarebbe la vita là dentro? Oppure al contrario una tua mica ti parla della sua piccola casetta intima e tu pensi: beata lei, con quella casetta intima!) oppure può succedere che tuo marito si ammali di cancro per cui davvero è faticoso vivere in quell’appartamento (è difficile vivere in un matrimonio quando un coniuge è malato). Tu sei libera di fare o non fare quello che vuoi di quell’appartamento. Ma l’appartamento resta. Il tuo matrimonio resta. E’ indissolubile.

    Ciao Lucy!

  192. Paola ha detto:

    ps: Lucy io adoro dare consigli. Soprattutto sugli appartamenti. Ma le mie amichette del blog non lo sopportano!!! Sicché se vuoi un consiglio da me, chiedimelo tu!

  193. Lidia ha detto:

    Kimberley aveva studiato teologia in seminario con Scott, e ribadisce spesso nel libro che proprio per questo la decisione di Scott le era parsa difficile da accettare: perché avevano studiato assieme, lei la teologia la conosceva e non capiva perché Scott fosse arrivato a quelle conclusioni proprio dalla teologia che anche lei conosceva. E non “ci rimase male”. Si sentì tradita profondamente. Certo le motivazioni di Kimberley erano più emotive di quelle di Scott. Lui la coinvolgeva per ore in discussioni di alta teologia (ecco perché è importante sottolineare anche anche Kimberley era esperta nel campo) sulla Vergine, sul Purgatorio mentre ciò che serviva davvero a Kimberley era affetto e comprensione (e infatti lei si converte quando Scott mostra di accettarla così com’è. A quel punto le sue riserve contro il cattolicesimo cadono, si mette ad approfondire la teologia cattolica e si converte). Questo secondo me è un punto importante. La pura verità non serve a niente senza affetto e comprensione, anzi.
    è vero che purtroppo molti sacerdoti cattolici lo hanno sconsigliato. Cmq i preti validi che lui alla fine trova sono dell’Opus Dei, ma anche non dell’Opus Dei, sacerdoti diocesani o francescani, tanto per ribadire che grazie a Dio i preti buoni sono tanti.

  194. Antonio ha detto:

    dice @donMauro: “Quando tu e tuo marito vi siete sposati è nata una relazione sponsale tra voi ma è nata anche una seconda cosa che non siete semplicemente tu + lui ma è un’altra cosa diversa e nuova che si chiama il bene, il contenuto della relazione tra voi due che è quella sponsale”. Cioè è nata la “coppia” come nuovo soggetto per nuove relazioni. Non è però che i singoli si annullino nella coppia. Continueranno ad avere, ad esempio, le relazioni di amicizia che avevano prima di sposarsi … ma soltanto se ciò sarà possibile, cioè se ciò costituirà un bene per la coppia.
    E non è vero che “il matrimonio, per esistere, non ha bisogno di te e di tuo marito” perchè, ad esempio, se uno dei due muore il matrimonio non c’è più … se non c’è relazione non può esserci un bene della relazione. La coppia poi, come ogni realtà personale, si sviluppa nel tempo e soffre per il freddo e per il caldo: non tutto ciò che nasce giunge a maturazione … per cui ci sono i buoni matrimoni e i cattivi matrimoni.

  195. Lucy ha detto:

    Tranquilla Paola! so che il matrimonio-appartamento-bonum va salvato(ho anche figli).Solo che questa discussione sul blog,mi ha preso, sino al punto di dire la mia( nella vita reale fose non lo farei, sono cose personali).
    Comunque , dato l’anonimato, ti aggiungo un tassello inedito della mia vita.
    Da giovane ho frequentato molti anni un ambiente religioso nel quale mia madre è di casa(credo sia chiaro che significa);ebbene, durante una oziosa chiacchierata, mi butta là una rivelazione agghiacciante, (senza minimamente capire cosa per me significasse), più o meno in questi termini-sai, quando eri ragazza, mi ero accorta che stavano per farti una proposta di celibato, ma ho discretamente fatto capire che a te piaceva tanto l’idea di sposarti, così ho evitato che ti creassero preoccupazioni inutili-
    Allora mi viene da pensare che in tutte queste storie di vocazioni, celibati e matrimoni ci sia solo un gioco di circostanze ,tempi e persone che a volte va bene, ma spesso va male. E Dio?dove sta nel frattempo?
    Non voglio dire che si distragga, ma di certo, succede come per i malati di Lourdes: partono in 20000 e di questi 2 avranno un miracolo, tanti torneranno come sono partiti e una ventina avranno un miracolo interiore( la guarigione del cuore)
    Io, visto che il miracolo fisico, è fuori discussione, aspiro all’ultima cosa,che forse è la principale,la guarigione interiore, ma per ora sono proprio tra quelli che pur pregando e andando, tornano uguali.
    Ora sono sicura che nessuno mi risponderà più o che i 2 don mi cacceranno a pedate virtuali dal blog.

  196. Lidia ha detto:

    @ Lucy io intendevo nessuno si sognerebbe di dirti “Lucy, abbandona tuo marito e va a vivere da monaca”, in questo senso. Piuttosto, suppongo, chiunque ti direbbe “Lucy, proviamo a ricostruire il tuo matrimonio”. Sai, la depressione (che va curata perché è una malattia, mia mamma è una delle massime esperte di depressione in Italia) non è per forza sintomo del fatto che “hai sbagliato strada”…anche nel caso di una vocazione al celibato non lo è. Nel caso della mia amica evidentemente lo era (e infatti poi si è risolta felicemente, adesso è sposata ed è felice e contentissima), ma ci sono santi preti, suore, numerari e quant’altro depressi senza che ciò significa automaticamente che si “siano sbagliati”.
    Io credo, Lucy, che la vocazione a priori non esista. Dio rispetta le nostre scelte, e la nostra vocazione, alla fine, è la nostra vita. Cioè la tua vocazione non è che fosse un’altra e poi toh ho buttato la mia vita in una strada che non è la mia. La tua vocazione te la crei tu assieme a Dio. Cioè: ti sei sposata? Significa che questa è la tua vocazione. Io credo che se pensi “ah ma no, era un’altra” ti rovini davvero la vita. Pensa invece che la tua vocazione è proprio questa. Ma perché non puoi leggere,s crivere, pregare e occuparti degli altri anche da sposata (e forse da madre?)? Non ami più tuo marito? Se non lo ami più, capisco che sia difficile, ma se lo ami, non puoi vedere lui come il primo “altro” di cui occuparti? Magari meno gratificante che tenere corsi di formazione ma alla fine è pur sempre un servizio. E non puoi leggere e scrivere anche a casa? O forse non hai tempo per il lavoro…e non puoi cercarne un altro?
    Cmq guarda, magari ti risponderanno altri meglio, ma la mia risposta, per ciò che vale è: non hai “sbagliato” vocazione. Io penso che effettivamente ci siamo persone profondamente inadatte al matrimonio o alla paternità/maternità, ma ti assicuro,s arebbero egualmente inadatte ad una vita di celibato religioso. Sono persone che vivono una vita piena e ricca anche da sole (come mia zia, che non si è mai sposata), ma non credo sarebbero buone suore o quel che sia (a meno che non si parli di clausura). Un buon prete è un buon padre.
    perciò io ti direi: smettila di tormentarti sulla vocazione sbagliata che non è vero. pensa piuttosto alla tua vera vocazione: cioè di essere sposata a tuo marito (e forse madre?). Parti dalla realtà senza pensare “ah ma in realtà avrei dovuto fare X”, perché in questioni così non è, semplicemente, vero.
    Ok questa è la mia opinione, magari te ne daranno altre molto migliori :)

  197. Lidia ha detto:

    PS: ma infatti non è che Dio sta là ha deciso che tu dovevi essere celibe e poi si è distratto, tu ti sei sposata e toh, povera Lucy, ha butato via la vita, che inutile. Dio crea continuamente, non esistono cose come “eh ma dall’eternità aveva progettato per me questa strada e ora nisba”. Dio si muove con te. Io suppongo che tu ti sia sposata perché amavi tuo marito e volevi costruire una vita con lui, non perché nessuno ti aveva proposto di diventare numeraria, perdona la franchezza. Se davvero avessi avuto un così forte desiderio di celibato, l’avresti proposto te da sola. Scusa, sai, non è una critica, ma è per dirti: il nostro passato può essere stato manipolato (se penso alle tante manipolazioni, in buona fede, di mia mamma, con affetto, lo dico! scegli quella scuola lì…quel corso là…non fare quella scelta lì…), capita sempre. Ma adesso non stare a pensare “ah ma se mia mamma non avesse detto così adesso sarei una numeraria felice” perché forse è vero che lo saresti, ma forse anche no, o magari saresti una numeraria depressa e ti diresti “ah ma perché non ho ascoltato mia mamma e non mi sono sposata”. Non so, secondo me pensa alla tua vita con più libertà – la vita è tua e ne fai ciò che vuoi. Ok nei lmiti dell’essere moglie e madre, ma una certa misura di libertà ce l’hai. Dio non è un crudele regista che si è dimenticato di te e moh te la prendi in saccoccia se reciti la parte sbagliata. Se ti fa bene pensa che è volontà di Dio che tu adesso sia sposata e madre, e che vivi al meglio così. alla fine la vocazione al celibato non è vocazione a leggere scrivere e dare formazione, è vocazione ad amare Dio. Evidentemente Dio vuole che lo ami da moglie e madre. Se pensi così magari ti senti meglio?

  198. Mauro Leonardi ha detto:

    Abbiamo ormai imparato che quando si arriva a 200 commenti blogger ci stoppa. Ecco quindi che abbiamo iniziato il terzo capitolo della Discussione “La suora e Padre Aldo”. E molto merito – bisogna riconoscerlo – va a don Gianpaolo.

    Ho copiato nel post gli ultimi vostri commenti. Mi sono trattenuto dal copiare i miei sul bene relazionale e la relazione… chissà se ho fatto bene. In ogni caso chi vuole può venire a leggerli qui.