Blog / Materiali dottrinali | 06 Aprile 2012

Mons. Virgilio La Rosa – Vademecum sui casi difficili del matrimonio

Pubblico un vademecum molto chiaro del Vicariato di Roma su “I casi difficili del matrimonio”. Autore è Mons. Virgilio La Rosa – Direttore dell’Ufficio Matrimoni

«I CASI DIFFICILI DEL MATRIMONIO: INDICAZIONI GIURIDICO-PASTORALI»

Il matrimonio nel progetto di Dio

«Il patto coniugale con cui l’uomo e la donna stabiliscono  tra loro una comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al  bene dei coniugi e alla procreazione ed educazione della prole,  fra i battezzati è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di  sacramento».  Così definisce il matrimonio il canone 1055 del Codice di  Diritto Canonico.  Dio che ha creato l’uomo per amore, lo ha anche chiamato all’amore, per cui la vocazione al matrimonio è nella natura stessa dell’uomo e della donna. Che l’uomo e la donna siano
creati l’uno per l’altra, lo afferma la Scrittura: «Non è bene che l’uomo sia solo; per questo l’uomo abbandonerà suo padre e si  unirà a sua moglie, e i due saranno una sola carne» (Gen 2, 24).
La verità proclamata da Dio nel V.T. è ripresa più  marcatamente nel N.T. All’inizio della sua vita pubblica Gesù partecipa con Maria e discepoli a una festa nuziale a Cana. La sua presenza è una conferma della bontà del matrimonio e l’annuncio che Cristo è un segno efficace.
In seguito tutta la sua predicazione manifesta senza equivoci il senso originale dell’unione dell’uomo e della donna quale Dio l’ha voluta all’origine. Il permesso dato da Mosè per ripudiare la propria moglie era una concessione motivata dalla durezza del cuore, ma non appartiene ai progetti di Dio:  «Quelli che Dio ha congiunto, l’uomo non separi» (Mt 19, 6).  L’indissolubilità e l’unità sono le proprietà essenziali del
matrimonio sin dalla sua prima origine e diventano più  vincolanti ed esigenti per la sacramentalità dell’istituto matrimoniale che Cristo ha rifondato sull’immagine della sua unione sponsale con la Chiesa (Ef 5, 22).  Con le proprietà essenziali stanno in intima relazione i beni del matrimonio: la procreazione e educazione della prole  (bonum prolis). La mutua fedeltà (bonum fidei); l’indissolubilità del
contratto matrimoniale (bonum sacramenti). Questi tre beni sono così essenziali che il loro rifiuto rende nullo il matrimonio. L’atto che costituisce il matrimonio è il consenso delle parti manifestato legittimamente da persone giuridicamente abili. Il consenso deve essere libero, cioè non subire violenza o grave costrizione esterna. Deve essere un atto della volontà di ciascuno dei contraenti e consiste nel darsi, e riceversi reciprocamente – «io prendo te come mio sposo, io prendo te come mia sposa». Questa promessa che lega gli sposi tra loro trova il suo compimento nei fatto che i due diventano una carne
sola.

La situazione attuale

Il matrimonio quale intima comunità di vita e di amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con proprie leggi (Gaudium et spes, n. 48), non sempre trova la piena realizzazione nelle coppie cristiane.
«Eravamo abituati ai matrimoni duraturi dei nostri nonni, dei quali spesso celebro il 50° di matrimonio», mi diceva un vecchio parroco, «ma non con altrettanta frequenza il 25° dei loro figli».
Oggi il giovane è molto più fragile nei suoi sentimenti, più esposto allo spirito d’egoismo e edonismo, meno roccioso nelle sue convinzioni religiose. Ecco allora la spiegazione di tanti fallimenti di matrimoni,
del desiderio di riappropriarsi della libertà perduta e della voglia di vivere senza assumersi responsabilità. Inoltre, si chiedono anche forme di riconoscimento legale delle convivenze di fatto, quasi ad equipararle alla comunità familiare, e non mancano tentativi di legittimazione di modelli di coppie dello stesso sesso.
Qual è il comportamento della comunità cristiana di fronte ai casi situazioni irregolari dei suoi figli, qual è la posizione giuridico-pastorale di quei cristiani che si trovano in queste circostanze della vita?

Situazioni irregolari e riflessi pastorali

I – Separati

Per separati s’intendono quei cristiani che hanno celebrato il matrimonio in Chiesa e che, per motivi d’incomprensione caratteriale o per gravi difficoltà, decidono di interrompere la convivenza coniugale rimanendo però fedeli al vincolo matrimoniale che resta indissolubile. La Chiesa ammette la separazione fisica degli sposi, perché concepisce questo distacco temporaneo come periodo di verifica e di riflessione al fine di ricomporre il vincolo matrimoniale. Pertanto chiede alla comunità cristiana di aiutare i coniugi in difficoltà anche attraverso l’opera di consulenza e di sostegno svolta dai consultori d’ispirazione cristiana.
La loro situazione di vita non li preclude dall’ammissione alla Confessione e all’Eucaristia, come dal fungere da padrino o madrina nei sacramenti del Battesimo e della Cresima. Infatti, la loro condizione di separati è ancora proclamazione d’indissolubilità matrimoniale e li impegna ad essere sinceramente pronti al perdono e disponibili a riprendere la vita coniugale.

II – Divorziati non risposati

«Divorziati non risposati sono coloro che dopo tre anni di separazione consensuale o giudiziale ricevono dallo Stato la “cessazione degli effetti civili” (divorzio) del loro matrimonio celebrato in Chiesa, ma non la cancellazione del sacramento, che rimane per sempre».  Occorre qui distinguere fra coloro che hanno subito il divorzio e coloro che lo hanno chiesto ed ottenuto avendolo causato con un comportamento morale scorretto.

1. Nei confronti di coloro che hanno subito il divorzio, perché costretti da gravi motivi e non si lasciano coinvolgere da una nuova unione, la comunità cristiana esprime piena stima per il loro esempio di fedeltà e di coerenza. Circa l’ammissione ai sacramenti non esistono ostacoli. La costrizione a subire il divorzio significa aver ricevuto violenza e umiliazione che rendono da parte della Chiesa più viva la testimonianza del suo amore di madre.

2. Nel caso di coloro che hanno chiesto e ottenuto il divorzio ma non si sono risposati, per essere ammessi ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia, costoro devono pentirsi sinceramente e riparare il male compiuto; in particolare devono far consapevole il confessore che pur avendo ottenuto il divorzio civile si considerano veramente legati a Dio dal vincolo matrimoniale e che sono impossibilitati per motivi
moralmente validi a riprendere la convivenza coniugale (cfr.Pastorale dei divorziati, n. 48). Solo a queste condizioni possono ricevere l’assoluzione sacramentale e la comunione eucaristica.

III – Divorziati

Divorziati risposati sono coloro che passano ad una nuova unione, naturalmente civile, dopo aver ottenuto il divorzio dallo Stato. La loro condizione di vita è in contrasto col Vangelo che proclama l’indissolubilità del vincolo matrimoniale, pur tuttavia ciò non esclude il dovere di un sereno discernimento nel valutare le diverse situazioni, lasciando alla misericordia di Dio il giudizio intimo delle coscienze.
Essi sono e rimangono cristiani e membri del popolo di Dio e come tali non sono esclusi dalla Chiesa anche se non sono nella pienezza della stessa comunione ecclesiale.
Pur tuttavia sono invitati ad ascoltare la Parola di Dio, per conservare la fede ricevuta nel Battesimo, a perseverare nella preghiera, a partecipare alla S. Messa anche se non possono accostarsi alla S. Comunione ed a condurre un’esistenza morale ispirata alla testimonianza della carità.
Purtroppo la loro non piena appartenenza alla Chiesa non permette di svolgere i servizi liturgici, come quelli del lettore, di catechista, di ministro straordinario della Comunione, di padrino o madrina, né di partecipare ai Consigli Pastorali.
Fedele al suo Signore la Chiesa non può ammettere i divorziati risposati alla Riconciliazione sacramentale, e alla Comunione eucaristica, in quanto sono in aperta contraddizione con l’indissolubile patto d’amore tra Gesù Cristo e la sua Chiesa significato dall’Eucaristia.
La riflessione approfondita, accompagnata dalla preghiera personale e dalla vicinanza spirituale della comunità cristiana, aiuterà questi nostri fratelli a comprendere la loro posizione e ad implorare la misericordia divina. Qualora la loro situazione non presenti una completa reversibilità, per l’età avanzata o per malattia, la Chiesa può ammetterli all’assoluzione sacramentale e alla Comunione eucaristica se, sinceramente pentiti, s’impegnano ad interrompere la loro reciproca vita sessuale e a trasformare il loro vincolo in amicizia, stima e aiuto vicendevole. In questo caso possono ricevere i sacramenti in una chiesa
dove non siano conosciuti per evitare lo scandalo (cfr. Familiaris consortio, n. 48).

IV – Sposati solo civilmente

S’intendono sposati solo civilmente quei cristiani battezzati che pur non avendo alcun impedimento a celebrare il matrimonio in Chiesa scelgono volutamente il rito civile. La «Familiaris consortio» (n. 45) ricorda che per i cattolici l’unico matrimonio valido che li costituisce marito e moglie davanti al Signore è quello sacramentale. Il Battesimo, infatti, impegna i cristiani a celebrare ed a vivere l’amore coniugale
nel Signore.  La comunità cristiana deve conoscere i motivi che hanno portato questi fratelli a scegliere il matrimonio civile e a rifiutare quello religioso, come ad esempio la perdita della fede, il rifiuto di una celebrazione sfarzosa e poco evangelica, la tendenza a vivere l’unione civile quasi come un esperimento.
Contestualmente la comunità li aiuti a recuperare il significato e la necessità che la loro scelta di vita sia coerente con il Battesimo ricevuto, e nell’eventualità di una richiesta di matrimonio religioso, dovrà verificare che i giovani siano pentiti e disposti a ritornare in comunione con la Chiesa riprendendo la frequenza della pratica religiosa e che la loro richiesta di matrimonio sia intesa come scelta unica e
indissolubile. Fino a quando i cattolici sposati civilmente rimangono in questa situazione di vita non possono essere «ammessi all’Assoluzione sacramentale, alla Comunione eucaristica e neanche alla Cresima, né è possibile affidare loro incarichi o servizi che richiedono una pienezza di testimonianza cristiana e d’appartenenza alla Chiesa».

V – Sanazione in radice

La sanazione in radice è uno strumento giuridico pastorale poco conosciuto dai fedeli, ma contemplato nel Codice di Diritto Canonico al canone 1161, e consiste nella convalidazione del matrimonio civile senza rinnovare il consenso in Chiesa. In realtà il matrimonio civile è un matrimonio valido, ma per i cattolici è nullo perché non celebrato in Chiesa. Ora la Chiesa con un provvedimento amministrativo può riconoscere valido, legittimo, indissolubile e sacramento quel consenso espresso davanti all’ufficiale di
stato civile, senza richiedere agli sposi di rinnovare il consenso davanti al sacerdote, e concedendo la retroazione al passato (alla radice, al matrimonio civile) degli effetti canonici, cioè della grazia del Signore. E’ una possibilità che l’Ordinario della Diocesi può concedere alle due parti o a una sola parte, specialmente nel caso in cui una parte si dichiari non credente o contraria a sottostare all’ordinamento canonico della Chiesa. La Chiesa quale madre amorosa viene incontro alla parte credente riconoscendole unilateralmente valido, legittimo e indissolubile il matrimonio civile, dandole la possibilità di  riaccostarsi ai sacramenti. La sanazione in radice permette così al battezzato di riottenere quella pace interiore perduta con la celebrazione del matrimonio civile, e reinserirsi a pieno titolo nella comunità cristiana.

VI – Conviventi

Da diversi anni anche in Italia tendono ad aumentare le convivenze, o unioni libere, di persone che vivono more uxorio, senza che loro vincolo abbia un pubblico riconoscimento né religioso né civile. Per i cristiani queste unioni sono in contrasto con il senso profondo dell’amore coniugale, non comportando il dono totale di sé all’altro e sottraendosi alle responsabilità proprie del vincolo matrimoniale. Sono varie le motivazioni che possono spiegare la scelta della convivenza. Sociali, economiche, politiche,
culturali, connesse con il rifiuto della società e delle sue regole, o con la contestazione e il rigetto del matrimonio come istituzione pubblica (vedi movimento del ’68), o con motivazioni di ordine psicologico. La comunità cristiana deve aiutare queste persone a chiarire la loro posizione, a superare le difficoltà incontrate, a spianare la strada verso la regolarizzazione del loro stato. È evidente che sino a quando i
conviventi permangono in questa situazione di vita non possono ricevere sacramenti, mancando di quella fondamentale conversione che e condizione necessaria per ottenere la Grazia del Signore (cfr. Pastorale dei divorziati risposati, n. 36). Per quanto riguarda i figli nati dalla convivenza si può procedere alla celebrazione del Battesimo a condizione che ambedue i genitori, o almeno uno di essi, si impegnino ad
impartire loro un’educazione cristiana, In caso di dubbio o incertezza dei genitori, è bene valorizzare il ruolo dei padrini, scelti con attenzione e oculatezza. Questa preoccupazione della Chiesa si giustifica con il fatto che i sacramenti dei figli ancora incapaci di giudizio e di una decisione autonomi sono da
celebrarsi nella fede della Chiesa, fede che può vivere nei genitori nonostante la loro situazione irregolare. Occorre però far notare ai genitori l’esistenza di una contraddizione tra la richiesta dei battesimo per i figli e il rifiuto del sacramento del matrimonio per loro. E’ chiaro che senza il matrimonio religioso i conviventi e gli sposati civilmente non possono ricevere i sacramenti della Comunione e della Cresima, mancando appunto la conversione necessaria per ottenere la Grazia di Dio.

VII – Funerali religiosi

Per i fedeli che al momento della morte si trovano in una situazione coniugale irregolare, la Chiesa non vieta il funerale religioso, purché si verifichino due condizioni: primo, che il defunto o la defunta non abbia in vita manifestato una opposizione orale o scritta; secondo, che il rito delle esequie non costituisca scandalo per gli altri fedeli. La celebrazione del funerale è concessa per il fatto che le esequie cristiane sono un ringraziamento al Signore dei dono del battesimo concesso al defunto, una implorazione della misericordia di Dio che solo conosce il cuore umano e gli ultimi istanti della persona, una professione
di fede nella risurrezione dei corpi ed una invocazione a Dioper tutti, specialmente per i familiari, del dono della speranza cristiana, Anche ai momento del distacco terreno, la Chiesa si mostra madre amorevole e si affida al Dio della misericordia.

VIII – Matrimoni misti

In questa disanima giuridico-pastorale, non posso non citare i matrimoni misti e quelli con disparita di culto o interreligiosi. I primi sono quelli celebrati tra una parte cattolica e una parte battezzata in altre comunioni cristiane. (Sono validi i battesimi degli Ortodossi, Valdesi, Metodisti, Anglicani, Battisti,
Luterani, e in genere quelli amministrati nel nome della SS.ma Trinità. Non sono validi i battesimi dei Testimoni di Geova e dei Mormoni, non avendo il riferimento trinitario). Questi matrimoni, più frequenti che nel passato, sono certamente frutto di una mobilità più accentuata degli uomini del III millennio. Nell’affrontare il matrimonio i contraenti devono riconoscere le differenze esistenti tra le due confessioni
religiose, devono essere consapevoli delle difficoltà che potranno sorgere in una vita coniugale tra due persone che non vivono in perfetta comunione ecclesiale. Pur tuttavia in queste unioni miste ci sono numerosi elementi positivi che è bene valorizzare e sviluppare per l’apporto che possono dare al movimento ecumenico (Familiaris consortio, n. 78).

XI – Matrimoni interreligiosi

I matrimoni interreligiosi o di disparità di culto sono quelli celebrati tra una parte cattolica e una appartenente a religioni non cristiane, non battezzata. Occorre ricordare che lo sviluppo di situazioni plurietniche, pluriculturali e plurireligiose comporta l’aumento di tali matrimoni e contestualmente pone serie difficoltà da non sottovalutare. Il Direttorio di Pastorale Familiare ricorda ai nubendi cattolici le difficoltà cui potrebbero andare incontro in ordine all’espressione della loro fede, al rispetto delle reciproche convinzioni e all’educazione dei figli. Una particolare attenzione riserva ai matrimoni tra cattolici e persone appartenenti alla religione islamica, per le difficoltà connesse con gli usi, costumi, mentalità e cultura del mondo musulmano, per la condizione della donna nei confronti dell’uomo e per la concezione stessa della famiglia musulmana in contrasto con quella cristiana. Si cerca di dissuadere tali unioni, perché non sono sacramento (il Sacramento è solo tra due battezzati, così recita il canone 1055) e di facile fallimento nel tempo. La questione «figli» poi è motivo di particolare preoccupazione per la Chiesa. Il Corano stabilisce che i figli seguano la religione del padre, che diventa così il padrone dominus) della famiglia e spesso li sottrae alla madre (sarebbe meglio usare il verbo «rapire»), trasferendoli nel suo Paese d’origine.

X – Matrimonio di battezzati non credenti

È la situazione spirituale di tanti giovani battezzati nella Chiesa cattolica, che chiedono il matrimonio religioso, ma che dimostrano di non essere pienamente disposti a celebrarlo con fede, o perché vi accedono per motivi che non sono propriamente di fede (per es. la tradizione, la coreografia), o perché si tratta di nubendi totalmente indifferenti alla fede, o che dichiarano esplicitamente di non credere. In questi casi la Chiesa, pur sapendo che solo Dio può scrutare il cuore degli uomini, non può esimersi dal dare un giudizio sulle condizioni di fede dei suoi figli, consapevole che questa per il matrimonio può esistere in gradi diversi (Familiaris consortio, n. 68).  Quando tutti i tentativi per ottenere un segno di fede sia pure marginale risultassero vani, e i nubendi mostrassero di rifiutare in modo esplicito e formale ciò che la Chiesa intende compiere quando celebra il matrimonio dei battezzati, solo in questi casi si rende dolorosa la decisione di non ammettere i nubendi al sacramento. E’ un gesto di rispetto per chi si dichiara non credente, un gesto di attesa e di speranza, un appello alla comunità cristiana perché continui ad essere vicina a questi fratelli con la preghiera e la testimonianza, per riscoprire, nutrire e rendere maturo il dono ricevuto.

XI – Matrimonio di battezzati non cresimati

«I cattolici che non hanno ancora ricevuto il sacramento della confermazione, lo ricevano prima di essere ammessi al matrimonio, se è possibile farlo senza grave incomodo», così recita il canone 1065 del C.I.C.
E’ necessario ribadire ai nubendi l’importanza della Cresima, come sacramento della maturazione cristiana, e della conferma di quelle promesse che nel Battesimo hanno fatto i genitori e i padrini. Pur tuttavia può accadere che nel corso degli anni i giovani si allontanino dalla fede, specialmente dopo la terza media, per una molteplicità di cause, non ultima la disaffezione verso un impegno d vita cristiana forte e coinvolgente. In prossimità del matrimonio, una buona percentuale di giovani riscopre il valore della fede e chiede di prepararsi alla cresima, e lo fa con impegno e serietà. Molti altri vi arrivano privi del sacramento. Come conciliare allora l’obbligatorietà della Cresima per il matrimonio, come prescrive il canone 1065, con la situazione spirituale di molti giovani? La risposta sta nella seconda parte del canone: «Se è possibile farlo senza grave incomodo». Il «grave incomodo» è rispettare i giovani che si trovano in
crisi di fede, non obbligandoli ad esibire il «certificato di Cresima» privo di valore spirituale, ma unicamente necessario per le nozze. Questo non esclude l’invito a porsi il problema e verificare in un contesto di maturità psico-fisica e intellettuale il rifiuto della Cresima, in particolar modo alla luce della scelta del matrimonio- sacramento. In caso negativo, non possiamo rifiutare la celebrazione delle nozze.
«Grave incomodo» è quando due giovani vivono in situazione coniugale irregolare (conviventi o sposati solo civilmente). In questi casi la Cresima non può precedere il matrimonio-sacramento, «mancando quella fondamentale conversione che è condizione necessaria per ricevere la grazia del Signore » (cfr. Pastorale dei divorziati risposati, n. 36). Sono sempre più convinto, e l’esperienza me lo conferma, che in questi casi è fondamentale l’accoglienza che i giovani ricevono dal sacerdote.
Un’accoglienza umana, calorosa, paziente, improntata al rispetto della persona, permette al giovane di aprirsi, ed affrontare con occhi diversi quelle difficoltà che lo hanno allontanato dalla Chiesa. All’accoglienza deve corrispondere una testimonianza di vita sacerdotale.

Conclusione

Ho delineato alcuni aspetti di vita pastorale che maggiormente si presentano ai parroci e agli operatori
familiari. Le indicazioni suggerite permettono di affrontare i problemi con serenità e certezza morale, evitando di presentarci ai fedeli con posizioni difformi nella valutazione dei casi, ingenerando in essi confusione e disorientamento. Alcune soluzioni sono dure e non facili a recepirsi. Ma questo non consente di «svendere » i sacramenti, che rimangono sempre segni efficaci della Grazia per la salvezza dei cristiani.
Quanto presentato è un piccolo contributo e un vademecum che l’Ufficio Matrimoni offre ai Parroci e agli operatori della pastorale familiare, per meglio districarsi in questa delicata materia.

 

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