Lettere – Quando l’uomo faceva il furbo
Nella discussione Donne e lavoro (post 22 maggio ore 23:46) Paola mi chiedeva un articolo, che avevo promesso, sull’argomento. Ecco l’articolo, che pubblico ora per la prima volta. Fa parte di un saggio (Tre donne) che non ho ancora trovato il tempo di rivedere e quindi di decidere di pubblicare. Nella foto della home ho messo il Commisario Maigret con la moglie perché andando indietro con la memoria è il ricordo più netto di quella società stabile che non esiste più.
________
Per molto tempo l’uomo maschio ha fatto il furbo. Ha voluto che il matrimonio venisse trattato secondo due angolazioni diverse e separate tra loro: ciò che valeva per il maschio non valeva per la femmina. Innanzitutto aveva bisogno che il matrimonio fosse un’alleanza patrimoniale. Qualcosa che concernesse l’utile, la convenienza, il decoro, le intese, di due famiglie e della loro discendenza. Non ha creduto però che il matrimonio fosse capace di donare pieno appagamento al mondo degli affetti, della sessualità e dei sentimenti. Il pensiero infelice è stato questo: il matrimonio può bastare alla donna con figli, ma questo non vale per il maschio (per lo meno, non per tutti i maschi). Paradossalmente questa tesi nasce dal celato convincimento che l’amore inteso come sentimento non abbia la sua vera radice in quella stabilità e fedeltà che ci si auspica per gli altri aspetti della vita. Si è comportato come un bambino che sa di dover mangiare la bistecca ma che vorrebbe solo le patatine fritte. In quel mondo, i due elementi, ciò di cui c’è “veramente bisogno” (la carne) e “la gioia di vivere” (le patatine), sono strutturalmente separati. Se va bene può accadere che la vita li serva sullo stesso piatto, allora si è fortunati. Se invece va male e la vita fornisce solo bistecche, bisognerà di tanto in tanto, più o meno di nascosto, andare a mangiare anche le patatine fritte. Non voglio gettare tutta la colpa sulle spalle del maschio, sarebbe ingeneroso e, probabilmente, sbagliato. Sarebbe facile per questi difendersi dicendo che, mentre affrontava il suo piatto di carne con le patatine, ha sempre avuto dinanzi una donna/mamma/matrigna che gli diceva di mangiare prima la carne e poi le patatine. Potrebbe scusarsi dicendo che, poiché nessuno gli ha insegnato a gustare la carne e a scoprire che è buona, che il suo sapore è unico, è stato messo nell’unica possibilità di concepire sé stesso come goloso. Come qualcuno che, appena riesce a evadere dal controllo (giudicato, si badi bene, necessario) corre dalle patatine.
Probabilmente è impossibile dire quale dei due fenomeni sia iniziato prima. Di fatto l’impostazione di cui sto parlando separa la fedeltà dall’amore, per lo meno dall’amore inteso come mondo dei sentimenti, delle emozioni e degli affetti. Così disossata la realtà si presenta con lo scheletro da una parte e con la polpa dall’altra. E ciò crea problema perché l’amore inteso solo come sentimento/passione non può accettare quelle regole di stabilità e di permanenza che sono dettate dalla preoccupazione per la corretta amministrazione del patrimonio e per la discendenza. Nascono così i presupposti per la posta in essere di una sorta di doppia morale: se la famiglia è il luogo della generazione e dell’educazione dei figli e della conservazione della proprietà, non può però pretendere di esaurire in sé stessa il mondo dell’affettività e della sessualità, ciò significa che bisognerà costruirsi un adeguato “altrove”. La soluzione è stata quella di consentire al maschio, e solo a lui, un doppio regime di vita. Due regimi quindi. Uno all’interno del matrimonio, e ciò avveniva con un tipo di donna: quella virtuosa, obbediente, saggia amministratrice, fedele, dedita al servizio, all’educazione dei figli, e che conquista la sua dignità essendo la regina assoluta della casa, della famiglia e del marito (quando è in casa). Il secondo regime è quello della vita sessualmente ed affettivamente “libera”, quella nell’altrove. Qualcosa che, a seconda dell’ideologia dell’epoca e della civiltà, poteva essere di volta in volta dichiarata esplicitamente o ipocritamente coperta, giustificata o negata. Regina di questo altrove è l’altro tipo di donna: chiamiamola la donna “libera”. Mentre la prima è la regina della stabilità, la seconda è la regina dell’effervescenza; a questo infatti si riduce l’amore, quando si accetta di spaccare la vita e la società in due tronconi: né l’anima dell’uomo è veramente l’anima dell’uomo se rimane senza corpo, né il corpo dell’uomo rimane veramente il corpo dell’uomo se rimane senza anima. La donna dell’altrove è la regina del cuore e dei sensi dell’uomo, e per gli stessi motivi uguali e contrari ai precedenti le è proibito tutto quello a cui l’altra è obbligata: la stabilità, la fedeltà, l’onestà, così come alla precedente è proibito ciò che per la seconda è obbligatorio. Al di là di molti altri ovvi problemi questa dicotomia pone in modo lacerante la questione femminile. Si sviluppa un’ingiustizia, un’immoralità, che non solo è tale per essenza ma che è anche unilaterale e questo la rende ancor più odiosa. Il maschio gironzola libero e scagionato e la donna paga il doppio della pena. Per l’uomo è normale da giovane vivere una sessualità sregolata; poi, a partire da una certa età, si sposerà e condurrà una vita familiare apparentemente onesta, variata da avventure tenute più o meno celate. Ovviamente alla donna, che necessariamente porta in sé stessa il frutto del concepimento, il regime di vita del maschio non è consentito. Ella non può avere una sua vita sessuale sregolata, come quella del maschio. Ed è questo il terreno ben preparato dove può crescere una certa concezione della verginità che poi verrà rifiutata nel mondo successivo, quando cambieranno le cose. È il mondo in cui la donna può far libero uso della contraccezione e pertanto svincolare, come fanno i maschi, l’atto sessuale dal concepimento.
Non sto sostenendo che il comportamento immorale sarebbe lecito se fosse consentito sia agli uni che agli altri, sto solo raccontando che è molto triste venir spinti a comportamenti “morali” da motivi insufficienti. Un tempo, nei fatti, non nelle parole, la donna veniva sollecitata ad un comportamento onesto per non correre il rischio di introdurre tra le mura di casa un figlio illegittimo con evidente pericolo per la stabilità della società e del patrimonio. Se invece il libertinaggio è concesso al solo maschio, ciò non avviene: ecco la motivazione orrenda. Alla donna il doppio registro maschile non è consentito. L’uomo si conduce in entrambi i modi ma la donna deve sceglierne uno dei due. Come si vendica il sistema? come si tutela di fronte a chi vuol fare il furbo? Diffondendo e instaurando un clima di diffusa ipocrisia che poco per volta viene sentito come un peso insopportabile. Ma il mondo della doppia morale, che preclude alla donna onesta di vivere il modo di vivere disonesto del marito, non riesce a produrre il contrario e cioè che sia il maschio a diventare onesto, che sia lui ad avere le stesse virtù delle donne, togliendo in questo modo alla donna “libera” il perché del suo esistere. Nel mondo della doppia morale la donna fedele rimane il tranquillo adempimento degli obblighi che le derivano dalla sfera di ciò che è stabile, e cioé concepirsi come amministratrice del patrimonio familiare e come educatrice dei figli: se non si atterrà a tali condizioni avrà una sola alternativa, essere considerata “perduta”, meretrice e compagna di piacere.
Commenta nel forum in Donne e lavoro . Chi è iscritto a facebook o twitter (come anche a uno degli altri social network) cliccando sull’icona corrispondente in fondo al post, può scrivere direttamente un commento o un tweet sulla propria home dando così maggior diffusione al post. Se lo fate mi facilitate il lavoro. Grazie!