Articoli / Blog | 29 Maggio 2025

Blog – Il mio anniversario con Cast Away

C’è un tempo per parlare, e un tempo per tacere. Per il mio anniversario di ordinazione, ho scelto il secondo. Mi sono seduto davanti a Cast Away, lasciandomi naufragare con Tom Hanks. In quel silenzio, tra il mare e il pallone Wilson, ho riconosciuto qualcosa di profondamente mio. In quel naufragio che parla di solitudine, di tempo che si rompe, di rinascita ho trovato qualcosa che mi riguarda molto.

Anche se non è un film esplicitamente religioso Cast Away tocca alcuni temi che devono interessare a un sacerdote d’oggi. Sto pensando al distacco dai propri progetti, alla consapevolezza, alla capacità di vivere il presente, all’essenzialità.
Il protagonista, Chuck Noland (Tom Hanks), si ritrova completamente solo su un’isola deserta. Come in certi ritiri, il silenzio e la solitudine diventano strumenti di rivelazione interiore. Lì, senza distrazioni, si è costretti a confrontarsi con se stessi. Nel mondo occidentale Chuck era ossessionato dal tempo, dall’efficienza, dal controllo. Sull’isola è costretto a lasciare andare tutto: il lavoro, le abitudini, persino l’idea di salvare tutto ciò che era. Questo abbandono è molto importante per i sacerdoti di oggi. Il prete di oggi deve imparare anche a vivere il qui e l’ora. A smettere di cercare continuamente di cambiare la realtà o di fuggirla. Chuck, dopo un iniziale rifiuto, impara a vivere secondo i ritmi dell’isola: osserva, ascolta, si adatta. Diventa consapevole. Anche la sua relazione con Wilson, il pallone, nasce da questo bisogno di trovare significato e presenza anche nell’assenza. Quando torna alla civiltà, Chuck è un altro uomo. Ha perso tutto, ma ha trovato una forma di libertà interiore. Questo ritorno, che per altri potrebbe essere tragico (la donna amata è ormai sposata), per lui è sereno, quasi illuminato. È come se dicesse: “Ora non so dove andare ma so che ogni direzione è una possibilità”. Lo si capisce soprattutto dal finale quando Noland, dopo essere miracolosamente sopravvissuto a quattro anni su uno scoglio sperduto nel Pacifico, torna a casa e scopre che nulla è più come prima. La donna che amava, Kelly, si è sposata e ha avuto una figlia. Lui ha affrontato la solitudine più totale, è cambiato dentro e fuori, ma il mondo non ha aspettato. Eppure, nel loro ultimo incontro, c’è un amore che ancora brucia, forte e struggente, ma che non può più essere vissuto. Kelly gli dice: “Sei l’amore della mia vita”, ma poi lo lascia andare. È un addio pieno di amore, non di rabbia. E questo è potentissimo. L’ultima scena vede Tom Hanks solo in mezzo a un incrocio di strade che guarda in tutte le direzioni. È lì, nel cuore del nulla, che una persona gli sorride e se ne va: è quella del pacco che lui non ha mai aperto sull’isola perché voleva portarla al destinatario. Quel gesto è simbolo di speranza, di qualcosa che non si è spezzato. Chuck sorride e guarda verso la direzione da cui è venuta. Quel sorriso è tenue, fragile, ma anche pieno di fiducia.

Quel finale ci dice che anche se perdiamo tutto, anche se siamo naufraghi della vita, possiamo sempre ricominciare. Le strade davanti a noi sono tante. E c’è sempre una direzione che ci chiama. Basta ascoltarla.

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