Articoli / Blog | 12 Novembre 2020

VOI mese – Non abbiamo il diritto di offendere le altre religioni

Samuel Paty insegnava educazione civica, storia e geografia e, durante una lezione sulla libertà d’espressione, aveva mostrato in classe alcune caricature del profeta Maometto tratte dal giornale Charlie Hebdo. La cosa si era risaputa e c’erano state proteste sia sui social che direttamente al personale della scuola. Nessuno però poteva immaginare la tragica fine nella quale sarebbe incorso il malcapitato, ovvero la decapitazione del professore perpetrata da un 18enne russo di origine cecena, ucciso poi dalla polizia durante il tentativo di arresto.
L’uccisione di Paty era stata preceduta a Parigi, il 25 settembre, dall’accoltellamento da parte di un 25enne di origine pakistana di due passanti vicino alla vecchia redazione del giornale satirico francese Charlie Hebdo. L’opinione pubblica aveva collegato l’attacco all’inizio del processo – cominciato il 2 settembre – alle persone accusate di essere coinvolte nell’attentato del 2015 alla redazione del settimanale satirico, oltre che nella successiva sparatoria a sud di Parigi in cui rimase uccisa una poliziotta, e nel seguente attacco a un supermercato kosher, dove vennero uccise altre quattro persone.
Questi fatti ci impongono di pensare ai limiti tra “diritto alla blasfemia” – che la Francia vanta – e la libertà religiosa. Non accettare che il diritto di libertà religiosa comporti necessariamente un “divieto di bestemmia” porta con sé costi altissimi da pagare, in termini di vite umane e di instabilità nella vita sociale e politica.
Fino al 1999 in Italia la bestemmia era un vero e proprio reato ma da quell’anno, grazie al governo presieduto da Massimo D’Alema, chi bestemmia in pubblico rischia solo una sanzione amministrativa, ovvero una multa di 300 euro. Possiamo dire però che il divieto, anche se punito in maniera più blanda, rimane e serve a ribadire un principio sacrosanto: ovvero che quando si vuole tutelare la libertà religiosa è necessario che lo Stato protegga da chi li offende i credenti nelle diverse fedi.
Basta sapere che la parola blasfemia è sinonimo di “bestemmia” per capire subito che, proprio perché esiste ed è fondamentale il diritto alla libertà religiosa, non può sussistere alcun diritto ad offendere il credente di un’altra religione. L’esercizio di ogni libertà incontra il limite del rispetto degli altrui diritti e questo principio indiscutibile deve essere tutelato nella maniera più rigorosa in uno stato che si onora di essere laico nel senso di essere pluralista, neutrale ed imparziale rispetto alle diverse fedi religiose dei propri cittadini.
Qualsiasi significato si attribuisca alla parola blasfemo, prima o poi si evidenzia che tale atteggiamento ha un contenuto offensivo e di conseguenza che ogni cittadino ha diritto ad essere protetto da quell’offesa. Tale azione di protezione dello Stato non solo non è contraria al principio della libertà religiosa ma la protegge. Diversamente, ferire dei credenti (non importa a quale fede appartengano) immette una dose di violenza nella società che alla luna è impossibile non esploda in una violenza simile o anche maggiore. La libertà religiosa è possibile solo se non si offende nessuno.
Negare il diritto alla blasfemia non significa negare il diritto alla critica o anche alla satira: ma esistono dei confini che vengono stabiliti dalle leggi e, in caso di denuncia, vengono valutati dai giudici. Avere consapevolezza di tutto ciò significa essere un paese civile.
Anni fa Avvenire pubblicava la striscia fumettistica “Hello Jesus” di Staino. In essa il disegnatore toscano, ateo ed ex direttore dell’Unità, trattava l’argomento religioso in modo satirico. A me, come a molti, quelle vignette piacevano, ma tanti si lamentarono al punto che in un determinato momento il vignettista preferì cessare la collaborazione con il quotidiano con il dispiacere del direttore Marco Tarquinio. L’ultimo suo disegno era “Jesus” che guariva una bimba indemoniata spegnendo una tv dove si trasmetteva un comizio di Matteo Salvini, allora ministro dell’Interno. Ci furono molte polemiche e Staino decise di terminare il suo lavoro. “Le voci dissonanti, a volte al limite della volgarità, – scrisse nella lettera di congedo al direttore – sono troppe e investono, sfruttando strumentalmente il mio lavoro, la tua figura, il valore del giornale da te diretto, fino, oserei dire a colui che oggi guida il mondo cattolico”. “Caro Sergio – replicò Tarquinio – pensavo a tutto meno che a metterti in una condizione che ti avrebbe tolto serenità. Mi dispiace, così come mi dispiace che altre persone abbiano perso la loro serenità fino a concepire e scrivere invettive. Terribile, ma purtroppo per me non sorprendente”. Ci fu chi si dispiacque, qualcuno ne fu felice, ma, grazie al Cielo, non ci furono teste mozzate, bombe o ammazzamenti. Il giusto dibattito che nasce dalla critica o dalla satira religiosa aveva trovato l’alveo delle parole perché la questione non era se ci fosse o meno diritto a bestemmiare ma se quelle vignette potessero o meno essere considerate blasfeme.

Tratto da Voi mese (12 novembre 2020)